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Mercoledì 24 Aprile 2024 12:04

Wojtyla, sulla Croce «fino all’ultimo istante»

Articolo storico di Roma Sette del 26 marzo 2006, intervista a Comastri su papa Wojtyla
Articolo storico di Roma Sette del 26 marzo 2006, intervista a Comastri su papa Wojtyla
Marzo 2006, su Roma Sette l'intervista all'allora arcivescovo Comastri sulla testimonianza di Papa Giovanni Paolo II un anno dopo la sua morte

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Articolo storico di Roma Sette del 26 marzo 2006, intervista a Comastri su papa Wojtyla
Articolo storico di Roma Sette del 26 marzo 2006, intervista a Comastri su papa Wojtyla
Si avvicina il primo anniversario della morte di Giovanni Paolo II e aumenta di giorno in giorno il flusso di fedeli alla sua tomba: un pellegrinaggio ininterrotto, a cui si assiste da un anno l’arcivescovo Angelo Comastri, vicario generale di Sua Santità per la Città del Vaticano, coadiutore dell’arciprete della Basilica Vaticana e presidente della Fabbrica di San Pietro. Un triplice incarico affidatogli da Papa Wojtyla il 5 febbraio 2005, iniziato ufficialmente il 31 marzo: due giorni prima della scomparsa del Pontefice.

Cosa ricorda degli ultimi momenti di Giovanni Paolo II?

Quando arrivai in Vaticano, il 30 marzo, si affacciò per l’ultima volta alla finestra del Palazzo Apostolico: un’apparizione completamente muta. Il Papa chiese insistentemente di aprire i battenti e accendere i microfoni, perché voleva salutare la gente. Riuscì a fare solo un grande segno della croce con la mano, pronunciando la parola «Amen». Fu una predica potentissima, espressione del suo amare la gente fino alla fine. Lo rividi il 1° aprile, alla vigilia della sua morte: disteso sul letto, molto sofferente, aveva gli occhi limpidissimi; ebbi la percezione che stesse già guardando al di là. Era molto gonfio, in viso e sulle braccia, ma il suo sguardo rivelava una grande serenità e pace. Un sacerdote gli leggeva in polacco il racconto evangelico della morte e della risurrezione di Gesù. Gli dissi che sarei andato a celebrare una Messa in basilica per lui e volevo portare ai fedeli la sua benedizione; tentò di alzare il braccio ma non ci riuscì. Glielo sorressi con le mie mani e lui fece con le dita il segno della croce.

Prima di arrivare in Vaticano, era delegato pontificio per il Santuario e arcivescovo della Prelatura di Loreto. In questa veste, qual è stato il suo ultimo incontro con il Papa polacco?

Il 30 settembre 2004 il Santo Padre fece il suo ultimo viaggio a Loreto. Mi avvicinai esprimendogli la mia gratitudine per la fatica che aveva fatto. «Coraggio, Padre santo», gli dissi. Stringendomi le mani, mi rispose: «Coraggio, figlio mio». Il fatto che lui si preoccupasse di infondere coraggio agli altri, nonostante la sua malattia, mi commosse. Si spendeva per gli altri; in un’epoca di individualismo, caratterizzata dalla paura della malattia e della morte, è restato sulla croce fino all’ultimo istante.

Eccellenza, è tra noi gli autori del volume «Lasciatemi andare: La forza nella debolezza di Giovanni Paolo II», appena pubblicato dalle Edizioni San Paolo, in cui racconta le sue impressioni davanti alla folla che ha reso omaggio alla salma del Pontefice in San Pietro.

Ho voluto testimoniare l’immediata percezione, da parte della gente, della santità di Giovanni Paolo II: un fiume umano ininterrotto è passato davanti alla salma. Una di quelle notti un giovane italiano, tra i 30 e i 40 anni, mi chiese aiuto: «Devo inginocchiarmi davanti al Papa; avevo perso la fede, mi ero totalmente allontanato da Dio. Ma la fede di quell’uomo mi ha riavvicinato al Signore». Sostò qualche minuto in preghiera e mi accorsi che piangeva dal sussulto delle spalle. Invece un 25enne si denudò il braccio facendomi vedere i buchi delle siringhe: «Sono un tossicodipendente – mi confessò –, sono vecchio dentro; lui aveva 85 anni ma era giovane. Mi ha fatto capire he devo cambiare vita; per favore, gli baci i piedi da parte mia». Poi ho visto famiglie intere: questa è una caratteristica del rapporto del Santo Padre con la gente, perché è stato percepito come il Papa che ha amato la famiglia, ne è stato il cantore e l’ha difesa in modo straordinario come base della società.

Sulla tomba continuano a essere deposti centinaia di messaggi?

Ne abbiamo già raccolti migliaia e consegnati al postulatore della causa di beatificazione. In tanti biglietti, genitori e figli gli affidano la loro famiglia, chiedendogli protezione. Un giovane fidanzato scrive: «Aiutami a vivere il mio amore con purezza e verità», e una ragazza: «La tua benedizione muta, in questi tempi di chiasso, è stato un gesto profetico di intensità straordinaria: mi hai riavvicinato alla fede».

Scrivendo le meditazioni per la prossima Via Crucis al Colosseo, ha pensato a Papa Wojtyla?

L’avevo davanti come icona, avvertivo la sua presenza e il suo accompagnamento. Come si fa a non sentirlo? I santi sono in Dio. (di Laura Badaracchi)

26 marzo 2006

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