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Venerdì 3 Maggio 2024 13:05

Parigi 2024: annunciata la Squadra olimpica dei rifugiati del Cio



36 atleti di 11 Paesi, ospitati da 15 Comitati olimpici nazionali, che gareggeranno in 12 sport. Tra loro anche due residenti in Italia. Rappresenteranno oltre 100 milioni di sfollati

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Iman Mahdavi (lotta libera) e Hadi Tiranvalipour (taekwondo). Ci sono anche loro, entrambi residenti in Italia, tra i 36 atleti della Squadra olimpica dei rifugiati del Cio per Parigi 2024. Provenienti da 11 Paesi diversi, ospitati da 15 Comitati olimpici nazionali, gareggeranno in 12 sport, in rappresentanza di oltre 100 milioni di sfollati nel mondo. Lo ha annunciato ieri, 2 maggio, il presidente del Comitato olimpico internazionale (Cio) Thomas Bach, in una cerimonia alla Olympic House di Losanna, in Svizzera.

Per la Squadra olimpica dei rifugiati del Cio, sarà la terza volta ai giochi olimpici. «Accogliamo tutti voi a braccia aperte – ha detto Bach, rivolto agli atleti -. Siete un arricchimento per la nostra comunità olimpica e per le nostre società. Con la vostra partecipazione ai Giochi Olimpici, dimostrerete il potenziale umano di resilienza ed eccellenza. Invierete un messaggio di speranza agli oltre 100 milioni di sfollati nel mondo. Allo stesso tempo – ha aggiunto -, renderete consapevoli miliardi di persone in tutto il mondo della portata della crisi dei rifugiati. Pertanto, incoraggio tutti, in tutto il mondo, a unirsi a noi nel fare il tifo per voi, la Squadra olimpica del Cio per i rifugiati».

Per la prima volta, la Squadra dei Rifugiati gareggerà ai Giochi di Parigi con il proprio emblema di squadra: un simbolo unificante che unisce atleti diversi e conferisce alla squadra una propria identità unica. «Provenendo da diversi angoli del mondo, ogni membro della squadra è un individuo con una propria storia – affermano dall’Unhcr -. Come i 100 milioni che rappresentano, hanno anche l’esperienza condivisa e vissuta dei loro viaggi: l’emblema mira a trasmettere questo aspetto attraverso il design della freccia a pennarello». Al centro c’è un cuore, che deriva dal logo della Fondazione Olympic Refuge, a rappresentare l’appartenenza che la squadra spera di ispirare e che gli atleti e gli sfollati di tutto il mondo hanno trovato attraverso lo sport.

«Questo emblema ci unisce tutti. Siamo tutti uniti dalla nostra esperienza: anche se tutti diversi, abbiamo fatto un viaggio per arrivare dove siamo», è il commento della Chef de Mission della Squadra Masomah Ali Zada, campionessa afghana che gareggiò nel ciclismo per la Squadra olimpica dei rifugiati a Tokyo 2020. « Gli atleti non rappresentano un Paese specifico, ma la Squadra olimpica dei rifugiati: avere il nostro emblema crea un senso di appartenenza e ci permette di rappresentare la popolazione di oltre 100 milioni di persone che condividono la stessa esperienza – sono ancora le sue parole -. Non vedo l’ora di indossarlo con orgoglio!». Quindi, rivolta direttamente agli atleti, ha detto: «Tutti voi avevate un sogno e oggi il vostro sogno di gareggiare ai Giochi Olimpici è più vicino che mai. Con tutte le sfide che avete affrontato, ora avete la possibilità di ispirare una nuova generazione, rappresentare qualcosa di più grande di voi e mostrare al mondo di cosa sono capaci i rifugiati. Questo sarà il vostro momento a Parigi, godetevelo. Non vedo l’ora di lavorare con tutti voi per fare in modo che questa sia l’esperienza di una vita».

Nelle parole dell’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi, «la Squadra olimpica dei rifugiati dovrebbe ricordarci la resilienza, il coraggio e le speranze di tutti coloro che sono stati sradicati da guerre e persecuzioni. Questi atleti rappresentano ciò che gli esseri umani possono fare, anche di fronte ad avversità estreme. La squadra ci ricorda anche che lo sport può essere trasformativo per le persone la cui vita è stata sconvolta da  circostanze spesso strazianti – ha aggiunto -. Trasformativo non solo per gli olimpionici, ma per tutti. Lo sport può offrire tregua, una fuga dalle preoccupazioni quotidiane, un senso di sicurezza, un momento di divertimento. Può dare alle persone la possibilità di guarire fisicamente e mentalmente e di tornare a far parte di una comunità».

Presenti per la prima volta nel team dei rifugiati anche due atleti residenti in Italia: Iman Mahdavi, lotta libera 78kg, e Hadi Tiranvalipour, taekwondo categoria -58kg, entrati a far parte del Programma olimpico per i rifugiati nel 2022 e 2023. «La selezione di Iman Mahdavi e Hadi Tiranvalipour per le Olimpidi di Parigi 2024 è senza dubbio un traguardo importantissimo non solo per i due atleti selezionati ma per ciò che esso rappresenta per la causa dei rifugiati e per l’Italia che li ha accolti – è il commento di Chiara Cardoletti, rappresentante Unhcr per l’Italia, la Santa Sede e San Marino -. Le persone in fuga sognano di poter ricostruire il proprio futuro in sicurezza e dignità. Troppo spesso la narrazione che li riguarda mette in luce solo i bisogni primari tralasciando il talento, il coraggio e la determinazione che portano con se.  Lo sport rappresenta uno dei palcoscenici più importanti per ribadire i valori della solidarietà e dell’inclusione e per questo siamo grati al Coni per l’impegno dimostrato nel sostenere gli atleti rifugiati nel loro sogno olimpico».

La composizione della squadra è stata approvata dal Consiglio esecutivo del Cio (Eb) e si è basata su una serie di criteri tra cui, in primo luogo, le prestazioni sportive di ciascun atleta e il suo status di rifugiato verificato dall’Unhcr. Si è tenuto conto anche di una rappresentanza equilibrata di sport e genere, nonché della diffusione dei Paesi di origine. Il sostegno ai rifugiati e alle popolazioni sfollate «rimane una priorità fondamentale per il Cio e fa parte della Raccomandazione 11 dell’Agenda Olimpica 2020+5. La Fondazione rifugio olimpico (Orf) è stata istituita nel 2017 per dare seguito a questo impegno, e funziona al posto di un Comitato olimpico nazionale tradizionale, gestendo i borsisti atleti rifugiati e la Squadra olimpica rifugiati del Cio per Parigi 2024», spiegano dall’Unhcr in una nota. L’Orf inoltre lavora per garantire l’accesso allo sport sicuro alle persone colpite da sfollamento in tutto il mondo, attraverso le partnership o i suoi programmi in tutto il mondo. Dalla sua nascita nel 2017, il lavoro dell’Orf ha permesso a quasi 400mila giovani di accedere a uno sport sicuro. Più di 1.600 allenatori sono stati formati per offrire sessioni di sport sicuro e i suoi programmi hanno sostenuto i giovani in 11 Paesi nei cinque continenti.

3 maggio 2024

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