Lunedì 5 Aprile 2021 20:04
“VianDante”: i luoghi della “Divina Commedia” nel Lazio (3)
“Piangerà Feltro ancora la difalta / dell’empio suo pastor, che sarà sconcia / sì, che per simil non s’entrò in
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Ci troviamo nel comprensorio del lago di Bolsena (il più grande lago vulcanico d’Europa – e bellissima zona della Tuscia a confine con l’Umbria e la Toscana) la cui caratteristica è di avere al suo interno due isole: la Martana e la Bisentina che conservano e tramandano antiche storie e leggende.
La parola “malta” deriva dalla forma latina medievale “maltha” che anticamente significava fango, melma. Poi con uso estensivo della parola passò a significare “prigione buia, umida e fangosa” trovandosi le stesse prigioni – quasi sempre – nei sotterranei di palazzi e/o torri. Dobbiamo dire che in molte località italiane si trovavano carceri/prigioni denominate così; possiamo affermare che “la malta” era il nome generico comune con cui venivano indicate le varie tipologie di prigioni.
A quale “malta” si riferiva, dunque, Dante?
Seguendo i commenti di Benvenuto da Imola, uno dei primi e dei più autorevoli commentatori della “Comedìa”, scopriamo che la prigione terribile destinata agli ecclesiastici viene collocata proprio nel territorio del lago di Bolsena. Queste le sue parole: “Malta è una torre orrenda, nel lago di S. Cristina, carcere amaro per i sacerdoti riconosciuti colpevoli di gravi delitti. In questo terribile carcere fu rinchiuso l’abate di Montecassino perché non aveva ben custodito Papa Celestino a lui affidato da Bonifacio VIII vi sopravvisse nell’afflizione appena pochi giorni nel pane della tribolazione e nell’acque dell’amarezza”.
La “torre orrenda”, secondo le diverse ipotesi e ricostruzioni storiche da parte degli studiosi, viene posta ora sull’isola Bisentina, ora sull’isola Martana. Soltanto nel 1830 si arriverà a sostenere che la malta fosse proprio quella posta “nella torre del castello di Marta”.
L’isola Bisentina – la maggiore delle due isole del lago di Bolsena – prende il nome da Bisenzio, antica città posta nelle immediate vicinanze. Nel corso dei secoli fu un territorio, seppur piccolo, sempre molto conteso. Per il discorso che ci riguarda possiamo dire che nel 1261 fu riconquistata da Papa Urbano IV che la ribattezzò “Urbana” utilizzandola come prigione per i religiosi rei di gravissimi delitti (un orribile carcere ottenuto scavando una galleria, un cunicolo nel tufo attraverso un pozzo alto circa 30 metri). Tra i vari detenuti ricordiamo Ranieri Ghiberti, Gran maestro templare tenuto prigioniero nella torre dell’isola nel 1295. Inoltre, ben sette chiese rurali furono costruite tra il XV e il XVI secolo (erette sulla scia delle “sette chiese” del pellegrinaggio romano) dall’Ordine dei Frati Minori, le quali divennero, in alcuni periodi, meta di pellegrinaggi religiosi. Non dimentichiamo che in questi territori passava, e passa tuttora, la famosa via Francigena.
Un’altra prigione, anch’essa destinata agli ecclesiastici, si trovava a Viterbo sin dal 1255.
Il pontificato di Adriano V durò soltanto un mese ma la sua figura fu resa immortale dai versi dell’Alighieri (Purgatorio, Canto XIX, vv. 99-105).
Ma a cosa alludeva il pontefice quando parla di “preservare dal fango”? Secondo la tradizione si tratta di una prigione che si trovava a Viterbo in prossimità del Ponte Tremoli. Era una costruzione di oltre trenta metri che aveva le fondamenta molto più in basso, nelle vicinanze del greto dell’Urcionio, corso d’acqua il cui interramento novecentesco ha fatto sparire gran parte della mole della torre. Tristemente famosa per il buio, la malsana umidità e per le sofferenze che ivi vi si infliggevano. Una corrente di pensiero ha identificato in questa “torre viterbese”, posta sulle rive fangose di un vecchio corso d’acqua, la malta dantesca.
La parola decisiva non è stata ancora pronunciata e la questione sull’esatta ubicazione della malta rimane tuttora aperta. Tuttavia, se consideriamo che il paese si chiama “Marta” al pari dell’emissario che si forma nella parte più bassa del lago; l’isola Martana è lo scoglio che da Marta ha preso il nome; “malta” è un riflesso di “Marta” e che nella maggior parte dei territori dialettali circostanti (umbro-orvietano-senese) non è rara la trasformazione della “L + consonante” in “R + consonante” (fenomeno linguistico del “rotacismo”) appare plausibile la sua collocazione nella parte bassa della Torre dell’Orologio, come detto all’inizio.
Il sommo poeta, inoltre, fu “sponsor” inconsapevole di questi territori che doveva conoscere molto bene. In un altro passo della “Divina Commedia”, precisamente ai vv. 20-24 del Canto XXIV del Purgatorio, così leggiamo:
Marta e il lago di Bolsena conservano e tramandano non soltanto storie antiche e leggende ma sono territori di prodotti enogastronomici di lunga tradizione e di prim’ordine. Lasciamoci guidare dai versi e dalle suggestioni dantesche per conoscere questa zona del Lazio così affascinante e misteriosa.
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; Castell’Araldo, uno dei siti templari più importanti della Tuscia.Bolsena, la “città del miracolo eucaristico” da cui la solennità del Corpus Domini si è estesa a tutta la Chiesa. Da vedere: la Cappella del Miracolo all’interno della Basilica di Santa Cristina, la Rocca Monaldeschi della Cervara che ospita il Museo territoriale del lago di Bolsena, il geosito delle pietre lanciate, il parco archeologico naturalistico di Turona.
Montefiascone, patria del vino “Est Est Est”. Da vedere: la chiesa di San Flaviano dove si trova la tomba di Johannes Defuk, prelato tedesco al centro della leggenda del famoso vino, la Cattedrale di Santa Margherita che vanta la terza cupola in Italia, dopo quella di San Pietro e Santa Maria del Fiore a Firenze, la Rocca dei Papi.
Capodimonte, il cui piatto tipico è il coregone, vanta una posizione caratteristica sulle sponde del lago.
Valentano, tipico borgo medievale. Da vedere: Lago di Mezzano.
Torre Alfina e il “Bosco del Sasseto”.