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Domenica 11 Aprile 2021 19:04

Sgarbi: con me Roma rinasce

Il critico d'arte e politico si candida a sindaco da indipendente, ma è pronto a un accordo col centrodestra, anche per fare l'assessore. Punta su Roma città d'arte. E ritiene che in estate la Capitale sarà libera dal Covid

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Parlamentare, critico d’arte, da diverso tempo sulla scena mediatica e politica, tornato anche di recente sulle prime pagine dei giornali, sia per la sua adesione alle manifestazioni antigovernative delle categorie più colpite dalla crisi pandemica, sia per la sua attribuzione al Caravaggio di un quadro raffigurante il Cristo coronato di spine, scoperto nei giorni scorsi a Madrid, Vittorio Sgarbi si è da qualche tempo lanciato in una nuova e ambiziosa avventura politica: creare un proprio partito e con questo puntare alla poltrona di sindaco della Capitale.

Lo abbiamo raggiunto al telefono, per sentire dalla sua voce quali siano, più nel dettaglio, i suoi programmi e i suoi progetti. Ne è risultata una lunga e ricca intervista, in cui si parla di Roma, ma anche di storia, di arte, di politica, di Rinascimento, di pandemia, di murales. Un’intervista in cui Sgarbi ci presenta nei particolari le sue idee per la Capitale e come intende trasportare anche in Campidoglio l’esperienza maturata nei suoi precedenti mandati da sindaco di altre città.

Sgarbi, lei ha confermato la sua intenzione di candidarsi a sindaco di Roma, dopo essere già stato sindaco in diversi altri comuni italiani, tra cui Sutri, dove è ancora in carica.
Sì. In tutte e tre le mie precedenti sindacature, all’inizio degli anni Novanta a San Severino Marche, nel 2008 a Salemi, in Sicilia, e poi adesso a Sutri, in realtà io sono stato o coinvolto o chiamato, al di là della mia volontà di essere il sindaco di questi luoghi, quasi a fare da commissario, accettando con una certa generosità – senza volermi autocelebrare – per far sì che questi paesi, che meritavano una maggiore attenzione, grazie anche alla mia notorietà, potessero diventare luoghi più grandi e più visti, attraendo maggiore turismo.
Questo è avvenuto e ancora avviene a San Severino, o a Salemi, dove per mandarmi via hanno dovuto sciogliere il Comune per mafia – senza che nessuno fosse mai stato indagato per mafia – agendo con la solita retorica, perché non capivano le novità che io portavo. Lì ho avviato alcune esperienze innovative come le case a un euro, che da ogni parte oggi vengono ricordate.
Sutri, invece, è una città legata all’immaginario della mia natura di viaggiatore. Tutte le volte che passavo sulla Cassia, tra Viterbo e Roma, vedevo questo paese meraviglioso. Quindi me lo sono scelto, pensando che una legislatura parlamentare come l’attuale, dominata dai grillini e quindi sostanzialmente vacua, mi avrebbe lasciato tempo per dedicarmi a fare rinascere quel paese. Cosa che è stata, con il turismo che si è moltiplicato e soprattutto con l’annessione di Sutri fra i “borghi più belli d’Italia”, come era giusto, non solo in virtù dei miei rapporti con i fondatori dell’iniziativa.
Quindi ho fatto un’azione di natura quasi missionaria, come riconobbe anche Agnese Borsellino, la moglie di Paolo Borsellino, che, venendo in visita a Salemi, mi disse: “Io ti stimo come storico dell’arte, ma devo soprattutto lodare il fatto che tu, unico, dal nord sei venuto a fare il sindaco nel sud, cosa strana perché d solito accade il contrario, facendo così un’azione da missionario”. Missionario non inteso su un piano moralistico, assistenziale, ma nel senso di ridare dignità a una città.

Adesso però ha scelto di puntare le sue attenzioni sulla Capitale.
Quanto detto finora sui Comuni che ho amministrato, in grande, è il motivo della mia candidatura a Roma. Roma è stata mortificata da un personaggio negativo che si chiama Pignatone (si riferisce al procuratore capo Giuseppe Pignatone, ndr) e da un orrendo sindaco, con il desiderio di “sputtanarla” in tutto il mondo, attraverso quell’operazione – fortunatamente sventata dalla magistratura in Cassazione – volta a chiamare Roma: “Mafia Capitale”.
È una cosa che io ho sempre trovato ripugnante, perché la criminalità è una cosa, e Roma ha la sua criminalità, come tutte le città, ma non è che puoi farla coincidere con la mafia. La mafia è una cosa diversa. La mafia riguarda la violenza, le stragi, la morte dei bambini. La corruzione semplice è un reato, certamente grave, ma è l’unica cosa che puoi immaginare a Roma.
Quindi mi ripugnava – e l’ho detto in tutti i modi, anche all’ex capo della polizia Franco Gabrielli, così come in Parlamento – l’idea di sciogliere il Comune di Roma con una dichiarazione di mafiosità, cosa che poi si è rivelata solo un teorema giudiziario e che fortunatamente si è evitata.
Comunque si è vissuto un triennio di follia e di sputtanamento. E nessun altro ha combattuto con la mia stessa determinazione affinché il destino ci desse ragione e la parola mafia non venisse legata a Roma.



Il giudizio sull’attuale gestione della città è dunque negativo, soprattutto per la pessima immagine di Roma che viene trasmessa.
La colpa più grave della signora Virginia Raggi e di Pignatone è stato questo compiacersi di umiliare Roma fino a questo punto. Poi indicherei altre due azioni negative concomitanti. La prima è stata quella di rifiutare le Olimpiadi. Il che non vuol dire avere sicuramente le Olimpiadi, ma concorrere, che è comunque cosa buona, poi se perdi perdi, ma perlomeno occorre partecipare. La seconda è fare lo stadio, che di per sé non è cosa sbagliata, ma era diventato solo il pretesto per fare due o tre grattacieli, quando lo skyline di Roma è senza grattacieli.
È da allora che io ritengo che, sia sul piano del nome, sia sul piano dell’immagine, Roma abbia bisogno di una grande operazione di rilancio e io possa essere il sindaco del rilancio, di “Roma capitale del mondo e capitale dell’arte”. Capitale dell’arte come è, ma non certamente perché i sindaci, dopo Giulio Carlo Argan, abbiano fatto sentire questa sua dimensione.
Occorre dunque immaginare una candidatura che abbia questo significato, quello di moltiplicare per mille ciò che ho fatto a San Severino, a Salemi, a Sutri, cosa che evidentemente a Roma è persino più facile, perché a Roma c’è tutto. Avendo però una squadra di assessori che, ciascuno nel proprio settore, abbiano capacità e autonomia. Non voglio occuparmi personalmente anche di strade, rifiuti, trasporti, perché non solo sarebbe un impegno che va al di là delle mie competenze e che deve affrontare chi è più esperto di me in ciascun settore, ma soprattutto perché toglierebbe tempo all’azione di rilancio che io intendo fare sulla sua storia e sulla sua immagine. La mia è una candidatura che deve avere un carattere di rinascita per Roma, di Rinascimento.

Difatti il suo movimento politico si chiama proprio Rinascimento.
Rinascimento, nella storia di Roma, è Raffaello, è Michelangelo. Il movimento che ho fondato si chiama appunto Rinascimento. Quello che farò a Roma è fare vedere nel 2021 la linea politica che poi, nel 2023, sarà estesa anche a livello nazionale. D’altronde le prossime amministrative sono già esse stesse estese, nonostante siano limitate ai comuni, perché riguarderanno quasi tutte le principali città, come Milano, Torino, Bologna, Napoli e Roma, più altri 1.400 comuni. Per cui le liste, che presenteremo in almeno cento di questi comuni, sono anche l’embrione del partito Rinascimento, che sarà un partito nazionale.

Storicamente, il Rinascimento fu anche il periodo che seguì la grande crisi del Trecento, causata dalla pandemia di peste. Pensa che potrebbe verificarsi qualcosa di simile anche oggi? Ci sono le condizioni per trasformare l’attuale crisi in un nuovo Rinascimento?
Lei ha colto il mio pensiero in maniera molto precisa.
Rinascimento di per sé è un bel nome, rimanda al periodo più alto che la civiltà umana abbia espresso, alto quanto la civiltà greca e quella romana classica. Rinascimento è tutto quello che la civiltà umana poteva portare a compimento. Così lo avevo concepito. Discutendo con il gruppo di persone che ha fondato il Partito delle Partite Iva, dissi loro che, pur comprendendo tutti quanti i problemi che hanno le partite Iva, non credo che uno prenda i voti solo per questo.
Bisogna partire da un’idea, come Rinascimento, che è una grande idea, per poi all’interno occuparsi anche delle partite Iva. Io trovo sbagliato eliminare dai partiti la componente ideale, chiamarli “Forza Italia”, chiamarli “Cinque Stelle” come gli alberghi. Manca il pensiero. Liberale, socialista, comunista e Rinascimento sono dei pensieri, delle idee.
Che questa idea sia vincente lo dimostra poi non un sondaggio, ma il dato concreto delle elezioni in Val d’Aosta del 2020, quando, presentando le nostre liste, abbiamo preso il 6% a livello regionale e il 25% nella città di Aosta, capoluogo in cui siamo stati il primo partito, davanti al PD e alla Lega.
Da allora a oggi, l’avanzare dell’epidemia ha poi innescato anche l’idea che Rinascimento sia il modo per rinascere dopo un anno e mezzo di letargo. Quindi che abbia un significato non solo storico ma anche letterale: rinasciamo non perché c’è il Rinascimento di Raffaello e di Michelangelo, ma perché ritorniamo a vivere. Questo aumenta la forza evocativa della parola, cosa che lei ha capito perfettamente.

Il settore culturale, quello su cui lei ha le maggiori competenze – che a Roma è una forza economica, poiché muove circa un decimo del PIL capitolino – è anche uno dei settori che ha risentito maggiormente della crisi: teatri e cinema chiusi, musei aperti a singhiozzo, turismo azzerato. Come pensa di poter invertire la rotta?
Si invertirà naturalmente. Coi vaccini da un lato, sui quali sono sempre stato favorevole, al di là del fatto che funzionino o portino qualche controindicazione, ma in linea generale frenano una situazione incontrollabile. Ma poi l’altra volta, non avendo i vaccini, siamo usciti totalmente, coi contagi a zero, il 3 giugno. Oggi il ministro del turismo Garavaglia parla di 2 giugno. Quindi, fra la fine di aprile, il mese di maggio e i primi di giugno non avremo debellato il virus, pur combattendolo coi vaccini, ma se ne sarà andato lui, lasciandoci lo spazio per un’estate di aperture. Se questo funziona come ha funzionato la volta scorsa, già nell’arco di poco tempo noi avremo le città riaperte, con un grande entusiasmo per tornare a fare quello che è stato impedito per molti mesi. Quindi sono del tutto ottimista.



Dopo di che, a Roma si andrà anche a votare.
Si andrà a votare in autunno, come era prevedibile. Quando il presidente Sergio Mattarella disse “O Draghi, o Draghi” e non “O Draghi, o voto”, io ho detto che, se non si può andare a votare per il Parlamento, perché c’è una grave situazione di pandemia, non si possono fare i comizi, non ci si può contagiare, allora è assurdo non fare le politiche ma fare le comunali fra maggio e giugno, elezioni che vedono almeno metà d’Italia in movimento.
Si creano a volte delle situazioni paradossali. Di recente, come mi ha segnalato il presidente di Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani, 150 mila persone sono state convocate a votare per le elezioni dei Consorzi di Bonifica, contemporaneamente 900 euro di multa sono stati comminati a due ragazzi seduti sui gradini di un palazzo gotico. Se noi multiamo, in questo modo grottesco, persone che non fanno nulla se non camminare e poi consentiamo di votare a 150 mila persone, abbiamo una contraddizione.
Se Mattarella avesse consentito di fare a maggio le elezioni amministrative, avrebbe creato un’ulteriore contraddizione con il discorso fatto quando ha nominato presidente del consiglio Draghi. Quindi era inevitabile che si andasse in ottobre. Questo però cosa vuol dire? Che la previsione, anche minima, guardando quello che è accaduto l’anno scorso, di ciò che potrebbe accadere nel futuro, porta a dire che noi ad ottobre dovremmo essere nella piena normalità, che consentirà di fare i comizi a settembre.
Quindi, chiunque teme chissà quale pericolo – le proteste di piazza insistono, dando il senso di una situazione insopportabile – siamo abbastanza vicini alla linea di svolta. Non nell’arco di un anno, ma nell’arco di un mese o due, dovremmo uscire completamente dalla crisi. Ne avremo l’emblema quando i vaccinati o i covidati come me, che ho avuto il Covid, usciranno senza mascherine, sia perché è assurdo portare le mascherine all’aperto, ma anche perché, se sei vaccinato o hai avuto il Covid, da cosa ti devi proteggere?
Quindi questa specie di emblema, automatico, della condizione in cui siamo, dà il segno di un turbamento mentale piuttosto grave. Occorrerebbe già fin d’ora che, chi è vaccinato o ha avuto il Covid, uscisse senza mascherina, ma la porti perché vivi ancora nel terrore di quello che è accaduto.
Io però vedo la crisi velocemente sul punto di finire, con le conseguenti riaperture. Ho in corso delle mostre a Ferrara e a Sutri, ho in corso delle mostre molto importanti al museo di Rovereto, che presiedo e io sono ottimista che intorno alla fine di maggio si possa riaprire tutto.

Tornando al suo impegno per Roma e alle politiche culturali adottate in città: il rapporto fra arte e istituzioni pubbliche, a Roma, ultimamente si configura soprattutto con le sempre più numerose commissioni per murales e altre opere di street art finanziate da Comune, Regione e persino da squadre di calcio come l’AS Roma. Lei cosa pensa di questo fenomeno? Lo valuta positivamente o ha qualche perplessità?
Anche su questo io fui profeta, perché assessore a Milano nel 2006, fui il primo a legittimare i graffitisti con una mostra. Per cui, quello che loro facevano in trasgressione, che è la natura stessa del graffito, inteso come ribellione a un potere che non ti dà spazio, è diventato con quella mostra una legittimazione, che ha portato poi a far realizzare una serie di dipinti alla Bicocca, alla Triennale, e quindi a chiamare questi artisti, trasgressivi e fuori dall’ordine, dentro il sistema della produzione artistica legittimata.
Quindi, da quel momento, quindici anni fa, è cominciata questa azione, che adesso porta a quello che lei dice, che è solo una apparente contraddizione. Stabilendo dei limiti, quelli che avevo posto io, parlando con loro, come in un armistizio. Bisogna evitare che loro facciano murales su edifici che abbiano più di settant’anni, perché sarebbe uno sfregio. Sarebbe come fare un taglio di Fontana, anziché su una tela bianca, su una tela di Caravaggio. Invece, edifici che hanno meno di settant’anni sono generalmente edifici grigi, in cui la vitalità del colore crea un effetto di miglioramento di molte periferie. Da questo punto di vista, la legittimazione che iniziò allora ha portato qualche esito buono, positivo.

Le voglio citare ora una frase che a me piace molto, anche se viene da una persona politicamente a lei non vicinissima: “Roma crea immaginario, non vende e non compra”. Cioè Roma è arte, immaginazione, creazione. La frase è di Renato Nicolini, l’inventore dell’Estate Romana. La trova corrispondente anche a una sua idea della città?
Sì, certamente. Io ero amico di Nicolini, anche se ho avuto delle polemiche con lui, prima che morisse, perché era passato dalla sua visione di assessore, piena di vitalità per una città nuova, a una posizione politica più di squadra. In passato però i rapporti sono stati ottimi.

Nicolini è un modello importante a cui riferirsi. Indica di Roma quella natura che corrisponde a quella del sogno e a quella del cinema. Il cinema con Cinecittà e il sogno con la storia, sono la dimensione di un film perenne che Roma è: un film che si apre davanti al mondo. Chiunque viene a Roma è come se entrasse dentro a un sogno o dentro un film, un film che racconta una storia, che non puoi certo raccontare con Tokio o con Pechino. Questo anche grazie al fatto di avere avuto delle leggi fasciste straordinarie, che hanno conservato almeno la metà del patrimonio che meritava di essere conservato. Il che è naturalmente poco rispetto a tutto, ma molto rispetto alla distruzione che ha sconvolto il 95% delle città storiche in altre nazioni.

A proposito di vicinanza o lontananza politica: la sua attualmente è una candidatura indipendente, ma so che ha cercato un dialogo e una convergenza con il centrodestra. Questo dialogo è ancora in corso o si è interrotto?
Beh, loro sono molto indietro. È strano che l’area di sinistra e l’area di destra siano abbastanza equivalenti nell’avere intuito, come me, che non si sarebbe votato a maggio e quindi abbiano serenamente traccheggiato. Ora siamo arrivati al limite del traccheggiamento, che può durare al massimo fino a giugno. Sia il PD, come partito principale della sinistra, sia l’area di centrodestra, non hanno un candidato. Al momento si sono presentati: una reduce, una che aveva detto “non mi ricandido” tre anni fa, ma che ora si candida per i 5 Stelle o per quello che sia, poi Carlo Calenda e poi io. Quindi anche nei sondaggi, dividendoci in tre, io ho assorbito i voti del centrodestra e Calenda quelli del centrosinistra.
Andando invece a una definizione in cui i candidati, a parte le liste minori, passino da tre a cinque, si dovrebbe avere un candidato del PD e uno comune di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega. A quel punto il panorama e anche i sondaggi cambiano.
Io ho parlato a lungo con Giorgia Meloni, la quale poteva convergere su di me. Non ha mai detto che non andassi bene io, ma immaginava un candidato che fosse meno autonomo e quindi più colorabile da lei e ha indicato questo Andrea Abodi, che non so quanto… Certo, quando comincia la campagna, con me lei non avrebbe bisogno di niente e potremmo vincere quasi al primo turno.
Il mio problema non è comunque quello di vincere col centrodestra, il mio problema è far riconoscere l’identità della lista Rinascimento. Quindi, se la lista va da sola, facesse anche solo il 10% o il 12%, sarebbe un segnale e consentirebbe a me di lavorare con un eventuale vincitore, prevalentemente di centrodestra, nella funzione di assessore.



Quindi: o sindaco in autonomia, oppure assessore in uno schema più ampio.
Io ho immaginato tutto: se sono il candidato del centrodestra vinco al primo turno, o comunque posso vincere; se sono candidato da solo devo negoziare, per il ballottaggio, una posizione che mi consenta di essere a Roma non il sindaco che intende occuparsi della gloria di Roma, ma l’assessore che intende occuparsi della gloria di Roma.
Quindi, dal punto di vista del campo che io ho scelto, il ruolo di sindaco o di assessore sono molto più vicini di quanto non sembri. Né io posso pensare di dedicare cinque anni della mia vita all’immondizia, alle strade, agli extracomunitari. Sono cose di cui ovviamente mi occuperei come sindaco, ma con una squadra così forte da avere ognuno la propria competenza.
Dunque io non sono particolarmente esagitato. Sono sicuro che io mi farò riconoscere. Questo lo farò, o come candidato unico del centrodestra, o come candidato che fa la sua strada, come la fa Calenda. Anche Calenda credo che potrebbe essere il candidato unico della sinistra, ma se non lo fosse sarebbe un elemento che crea problemi a sinistra. Non so se sia in grado di andare al ballottaggio, ma certamente dopo il primo turno porterebbe i suoi voti al centrosinistra. Quindi non cambia molto.
Se siamo noi i candidati delle due aree prevalenti, io forse sono avvantaggiato, perché lui ha un elettorato più vicino a quello dei 5 Stelle. Quindi, a tre, io potrei vincere. A cinque può vincere chiunque e poi si valuta cosa fare al ballottaggio. Lo schema è già abbastanza chiaro. Oggi è a tre, domani sarà a cinque. Parlo, considerando anche me, delle liste che faranno più del 5%. Poi è chiaro che avremo anche dei satelliti.
Dando le cinque componenti, con i 5 Stelle intorno al 20%, il PD al 20%, Calenda al 15%, da una parte abbiamo un blocco che supera il 50% ma diviso fra centrosinistra e 5 Stelle. Dall’altra parte hai un blocco unitario che, mettendo insieme la Lega, Fratelli d’Italia, Rinascimento e Forza Italia, potrebbe lo stesso arrivare al 50%. Divisi, il candidato di centrodestra potrebbe fare il 35% e Rinascimento il 15%. Il quadro è abbastanza facile da comporre, a tre e a cinque, ma non cambia poi molto.

Lei sicuramente è un candidato ideale dal punto di vista mediatico, vista la sua storia, la sua notorietà. Cosa risponde però a chi dice che non ha un forte legame con il territorio, che non è romano, come invece potrebbero essere altri possibili competitor?
Non ero neanche sutrino, non ero neanche marchigiano, non ero neanche siciliano. Roma è il mondo, Roma è l’Italia. Io sono un candidato italiano e internazionale. Quindi non è un’appartenenza che connota. È un discorso che potrebbe valere per un’area diciamo leghista, dove c’è il senso del nord, che però ormai non ha più neanche la Lega. Roma è una capitale di tutti. Come anche Milano, peraltro, ma Roma non ha neanche la Lega. Non è che Roma abbia “Forza Nord”. Quindi la nascita c’entra poco.
C’entra però il fatto che io sono considerato generalmente poco governabile. La mia autonomia è evidente. Anche come sindaco di Sutri io non sono né destra, né sinistra. Ho il vicesindaco che è di ultrasinistra. Ho dato la cittadinanza onoraria a Mimmo Lucano, pur difendendo spesso Matteo Salvini. Io ho delle posizioni che certo non sono di squadra. Per questo non convergeranno su di me. Ma se dovessero convergere, probabilmente potremmo vincere al primo o al secondo turno, con una potenzialità che la sinistra non ha, anche perché deve dividere i voti con i 5 Stelle e non potrebbe mai arrivare al primo turno al 51%.

Nell’ipotesi che lei divenisse sindaco, quali sono a suo avviso le tre priorità, le tre cose che Roma dovrebbe fare subito?
Istituire una specie di “Fondazione Louvre”, come a Parigi. Noi abbiamo 85 musei separati, che devono diventare una sola realtà. Quando vai a Parigi vai al Louvre. Parigi e il Louvre coincidono. Lì veramente arte e città coincidono. A Roma no, arte e città non coincidono, sono due mondi diversi. Poi potenzierei la parte universale legata al cinema, con una Cinecittà che diventi come Hollywood. Poi farei un referendum per lasciare libera Ostia.
E poi immaginerei l’idea di una città aperta, una città in cui ci sono mille occasioni: ecco cos’è il turismo a Roma, ecco cos’è la capacità di attrazione di una città che è un sogno. Quindi diciamo l’idea di investire nell’immagine attraverso la comunicazione.



Comunicazione che lei ritiene la priorità assoluta per Roma e per l’Italia.
Lo ha visto in questi giorni: io ho scoperto un Caravaggio a Madrid. I giornali ne hanno parlato, ma ogni volta era l’ultima notizia. No, basta! La prima notizia deve essere una notizia positiva, non l’ultima. Dev’essere qualcosa in cui l’arte trionfa, per cominciare a fare entrare dentro le persone l’idea che tu hai il privilegio di vivere in Italia, di vivere a Roma, che è il luogo più bello del mondo. Devi fare quello che aveva fatto Franco Maria Ricci con “la rivista più bella del mondo”, cioè non devi dire “Mafia Capitale”, ma “Roma capitale del mondo”. Devi comunicare la grandezza di Roma e per questo io sono un comunicatore. Devi ribaltare la gerarchia: non ambulanze, scippi… Certo tutto questo entra in un telegiornale, ma in una comunicazione in cui ciò che è positivo prevale. E allora: scopri Caravaggio? Prima notizia! Poi dopo potrai parlare della Fiat elettrica o dell’epidemia di Covid. Ma non puoi occupare il telegiornale solo di tristezze.
Perciò la comunicazione, l’idea della grandezza di Roma, l’opposto di “Mafia Capitale”, è il primo compito, affinché, consapevole di chi sei, Roma diventi quello che Parigi è come ville lumière. Parigi è una grande città di notte, la ville lumière appunto, Roma è una grande città di giorno. La luce di Roma: potrebbe essere lo spot.

Quindi l’augurio che fa alla città, chiunque ne dovesse diventare sindaco, è questo: quello di trasformare in positivo la propria immagine?
Sì. Non ci riusciranno, però. A meno che il sindaco non fossi io…

 

Le immagini sono diffuse su Flickr.com con licenza Creative Commons

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