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Domenica 6 Giugno 2021 06:06

Riapre la Domus Aurea. Qui nacquero le “grottesche”

Il pubblico potrà visitare la reggia di Nerone a partire dal 23 giugno. La nuova passerella firmata Boeri che conduce all'Aula Ottagona

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Tutti usiamo il termine “grottesco” per definire qualcosa di deforme o di bizzarro e in pochi sappiamo che questa parola trova origine proprio nella Domus Aurea, sul Colle Oppio.

Nel 1480 i pittori più famosi dell’epoca furono attirati da alcune cavità sotterranee che erano riccamente decorate. Pinturicchio, Filippino Lippi, Signorelli e altri pensavano di trovarsi nelle Terme di Tito e invece, in quelle grotte coperte da terra e mattoni, c’erano i resti dell’immenso palazzo imperiale di Nerone.

Le decorazioni delle grotte erano appunto “grottesche”, cioè tipiche di quelle cavità e con caratteristiche molto particolari rispetto alla pittura del tempo.

Nel secolo successivo Raffaello prese spunto da quelle figure e creò uno stile straordinario che caratterizzò il XVI secolo dal Manierismo al Barocco. Insomma se solo i  resti contenuti nelle grotte erano così magnificenti, si può immaginare cosa fosse il palazzo originale.

La visita alla Domus Aurea era sospesa da tempo e l’arrivo del Covid è stato ulteriore causa di rinvii per la riapertura, ma questa volta ci siamo. Il prossimo 22 giugno ci sarà l’inaugurazione della nuova stagione e dal 23 giugno il pubblico potrà varcarne le porte. L’ingresso sarà da viale del Serapide perché proprio qui si potrà ammirare la nuova passerella progettata da Stefano Boeri, l’architetto del Bosco Verticale, che ha immaginato questo passaggio suggestivo dall’entrata fino all’Aula Ottagona.

Ecco, nel render realizzato dallo studio Boeri, come sarà un tratto della passerella sotto le volte, mentre nell’immagine di copertina si può avere un’idea del nuovo ingresso/biglietteria da via del Serapide.



 

Un tocco di modernità che va ad arricchire la già magnifica struttura della Domus. Purtroppo ciò che è arrivato a noi è solo una piccolissima parte di quello che venne definito il palazzo più bello mai realizzato a Roma. Si narra che fosse tappezzato d’oro zecchino (da cui il nome) perché in questo modo Nerone avrebbe sottolineato il suo potere grazie ad un edificio unico.

Lo fece costruire subito dopo il grande incendio del 64 d. C. ma dopo la morte dell’imperatore, i suoi successori vollero cancellare ogni traccia di lui e fecero distruggere il palazzo. La parte inferiore si salvò dai saccheggi ma venne seppellita e da qui appunto nacquero le cosiddette grotte che furono scoperte solo nel 1400.

Peccato perché la maestosità dell’edificio era tale che oggi avrebbe raccontato moltissimo degli artisti dell’epoca. Svetonio scrive che il palazzo era circondato da giardini, boschi e che aveva padiglioni giganti. Perfino un lago artificiale era protagonista di battaglie navali alle quali potevano assistere gli ospiti di Nerone.



 

Parte dei materiali della Domus furono usati per costruire il Colosseo, nato pochi anni dopo a breve distanza. Ma proprio il Colosseo che oggi ci sembra enorme, era poca cosa rispetto al palazzo dell’imperatore che insisteva sul Colle Oppio e sul Palatino.

Oltre ai bagni termali serviti sia da acqua sulfurea che acqua potabile, c’era una grande tavola centrale dove gli ospiti potevano sedere per i pasti. La CoenatioRotunda ruotava su se stessa con un complesso meccanismo di corde e tiranti. Ma non basta: anche la cupola del soffitto ruotava in maniera più veloce mostrando la volta celeste e il sorgere del sole.

Il fulcro era la Sala Ottagona dove oggi sbarca la passerella di Boeri, attorno alla quale si distribuivano in maniera radiale diverse stanze. Era la prima volta nella storia dell’architettura che si costruiva un luogo a forma ottagona con gli ambienti tutti collegati tra loro e alla stanza principale.



 

Quest’anno, oltre ai resti della Domus, sarà possibile visitare una mostra tutta dedicata a Raffaello che, come abbiamo detto, amò profondamente le cavità affrescate e ne fornì una interpretazione che ha avuto molti seguaci fino ai giorni nostri. Da Paul Klee a Salvador Dalì, da Max Ernst a Joan Mirò, in tanti si sono ispirati alla natura fantastica, irrazionale e irrealistica delle grotte neroniane.

 

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