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Lunedì 14 Giugno 2021 11:06

Rifugiati, l’accoglienza “diffusa”



In vista della Giornata mondiale del 20 giugno, Caritas diocesana, Centro Astalli e Scalabriniani rilanciano i programmi segnati dall’emergenza sanitaria

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«Ogni parrocchia, comunità religiosa, monastero, santuario d’Europa ospiti una famiglia, incominciando dalla mia diocesi di Roma». Sono trascorsi quasi sei anni dall’appello di Papa Francesco all’Angelus del 6 settembre 2015. Per aiutare chi fugge dalla guerra e dalla miseria, Caritas Roma, Centro Astalli e Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo si sono uniti per creare programmi di “accoglienza diffusa” che inevitabilmente hanno fatto i conti con l’emergenza sanitaria.

Alla vigilia della Giornata mondiale del rifugiato indetta dalle Nazioni Unite, che dal 2001 viene celebrata il 20 giugno per commemorare l’approvazione della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, specifica che la pandemia «non ha svelato nulla di nuovo». Già prima del Covid-19 «c’erano grandi difficoltà per l’inclusione. Il coronavirus ha estremizzato la situazione dei rifugiati». Il Servizio dei Gesuiti si è quindi impegnato per «stabilizzare » l’avvio di percorsi di inserimento e di «accompagnamento di persone vulnerabili, evitando che si facessero passi indietro nell’integrazione. È stato importante individuare nuove chiavi di lettura per un futuro che vada verso un’amicizia sociale perseguita attraverso la ricostruzione di una società che non discrimini ma includa».

Per dare seguito all’appello del Papa, l’Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo, diretta da Emanuele Selleri, ha trasformato il vecchio seminario dei missionari in Casa Scalabrini 634, che unisce «l’accoglienza con il servizio al territorio e alla comunità locale». Progettata per ospitare 30 persone, «con il Covid è stato necessario dimezzare il numero degli ospiti». A risentirne è stata tutta l’attività, impostata sull’incontro, la relazione, la conoscenza. «La pandemia ha stroncato i progetti di chi stava avviando un percorso di autonomia personale e professionale – prosegue Selleri -. Ora che si sta ripartendo sarà ancora più importante promuovere processi di inclusione».

La Caritas diocesana ha invece coinvolto le parrocchie, alle quali è stato chiesto «non solo di ospitare le famiglie ma anche di coinvolgere le comunità nel cammino di accompagnamento e di integrazione », dice Lorenzo Chialastri, responsabile area immigrati Caritas Roma. Sono 25 quelle che dal 2015 ospitano in modo continuativo. «Le comunità parrocchiali si sono maggiormente aperte alle problematiche dei migranti, con i quali si instaurano solidi rapporti. Molti stranieri, infatti, dopo aver trovato lavoro restano a vivere nel quartiere che li ha ospitati».

14 giugno 2021

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