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Martedì 15 Giugno 2021 14:06

Caso Ardea, Dell’Acqua: «Altro che colpa della legge Basaglia! Vedo decadimento generale»



Lo psichiatra: «Tornano le accuse alla 180, ma quella legge presuppone i diritti, l’attenzione. La salute mentale sta tornando psichiatria della contenzione»

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Un’altra strage, un altro fatto di sangue che ha interessato stavolta la periferia romana. Innescando le solite paure, i consueti interrogativi, le ricorrenti interpretazioni. I fatti sono noti: Andrea Pignani è uscito di casa domenica 13 giugno, intorno alle 11, con felpa, zainetto e guanti percorrendo con la pistola in pugno alcune strade del comprensorio di Colle Romito. Poi ha sparato contro le prime persone che ha incontrato, due bambini e un anziano. Uccidendoli. L’uomo, 34 anni, possedeva l’arma appartenuta al padre morto mesi fa e mai riconsegnata. Fatto oltremodo grave, anche in relazione a un disagio psichico che il trentaquattrenne aveva palesato fin dallo scorso anno. E mentre gli investigatori stanno cercando di ricostruire l’accaduto, partendo dalle eventuali motivazioni di una simile condotta, da più parti si è tornati a puntare l’indice su quell’uomo, sulle sue condizioni di salute, sulla sua solitudine e su un approccio sanitario che in molti fanno risalire a Basaglia e a una legge, la 180, che proprio un mese fa ha compiuto 43 anni.

Una tendenza che, ieri, 14 giugno, ha spinto Rosy Bindi, ex ministro della Salute ed ex presidente della commissione Antimafia, a scrivere in un editoriale per il sito de
lavialibera.it
(rivista di Libera e Gruppo Abele): «La tragedia di Ardea non è responsabilità della legge voluta dallo psichiatra Franco Basaglia ma di chi quella legge non l’ha applicata o, se l’ha applicata, l’ha fatto per un breve periodo. La legge 180, nota come legge Basaglia, non prevedeva di “lasciare liberi i matti” – ricorda Bindi -. Ha consentito la chiusura dei manicomi e l’abbattimento di qualunque ‘muro’, segregazione e istituzionalizzazione della salute mentale, ma non prevedeva affatto l’abbandono della persona con problemi di salute mentale. Piuttosto ne prevedeva l’accompagnamento, la presa in carico, e, da quel punto di vista, la legge è un prototipo di Servizio sanitario nazionale. Dico di più, è il prototipo addirittura della società, di quella società che dovrebbe prendere in carico ogni forma di fragilità e disabilità».

Sulla vicenda di Ardea, sul ciclico ritorno delle accuse alla Basaglia, sulle carenze dei servizi per la salute mentale abbiamo sentito Giuseppe Dell’Acqua, psichiatra, direttore a Trieste del Dipartimento di salute mentale per 17 anni, fino all’aprile 2012, allievo di Basaglia, docente all’Università di Trieste e autore di numerosi libri. «Queste sono situazioni che non invochiamo ma che accadono e sono sempre accadute, fin da quando Caino ha ucciso Abele – afferma Dell’Acqua, partendo proprio dai fatti di Ardea -. Sul piano dell’immediatezza ho vissuto come sempre con dolore e partecipazione ciò che è successo vicino Roma. Una reazione che ha a che fare con il mestiere che faccio da 54 anni, con il coinvolgimento emotivo che ho in queste situazioni. È il dolore che si mette in movimento in questi casi. Dopo di che, devo dire che la lettura che si fa sempre – quasi 50 anni dopo l’approvazione -, è quella che porta a dire che la colpa è della legge Basaglia! In realtà, in questi casi, io rispondo che la legge 180 non c’entra affatto. Anzi, occorre smetterla di parlare della 180 quando ci sono queste vicende!».

Eppure la legge Basaglia viene tirata subito in causa.
Vero. Ma fare questo significa in realtà stendere dei veli impenetrabili su quanto sta accadendo. Non voglio nemmeno discutere del perché la legge 180 non c’entri: mi sembra ovvio, intuitivo. La legge 180 e i suoi 11 articoli hanno a che vedere, infatti, con la cittadinanza, con i diritti, con l’uguaglianza, con la cura della persona… E invece anche quest’ultimo fatto di cronaca – così come viene raccontato in queste ore – in realtà ha a che vedere con tutt’altro.

Parliamone.
Leggo e sento che questo ragazzo vive solo con la madre, che non aveva amici, che era stato segnalato per dei comportamenti preoccupanti, qualcuno ha anche parlato di un Tso (ma le ultime notizie e le dichiarazioni del sindaco sembrano smentire questa ipotesi, ndr)… Potrebbe essere il caso paradigmatico di un ragazzo che arriva in un servizio, viene visto e magari è capace di dire delle cose che sono ritenute accettabili. Così il giorno dopo gli viene detto: “Vai a casa e prenditi delle medicine”. Ma può essere sufficiente? In realtà quel servizio che avrebbe dovuto aver cura ed essere vicino al cittadino, diventa – con tutto il rispetto – semplice odontoiatria! Ecco, allora, le domande da fare sono: chi è andato a vedere come e con chi vive il ragazzo? Chi è andato a conoscere i vicini di casa, la mamma? Chi è andato a sincerarsi se questo ragazzo assumesse davvero quei farmaci? Ecco, dire che la 180 ha fallito e che è tutta colpa di quella legge significa dire una cosa sbagliata e ingiusta. La follia è dentro di noi, è nella vita degli uomini. Ma occorre aver cura delle persone. In molte parti riusciamo a farlo, in altre no. Occorre un rapporto più stretto con i servizi.

Sulla base di quanto detto, proprio l’inefficienza dei servizi sembra essere il nemico principale dell’approccio basagliano.
Che hanno fatto le regioni dopo che hanno avuto l’onere e l’onore di realizzare una legge così straordinaria? Gli scheletri negli armadi che si stanno ricreando sono troppi. Facciamoci altre domande: chi forma gli psichiatri? Come funzionano i servizi? E le equipe territoriali?
Il farmaco da solo non serve, se non a emarginare le persone. Questa è la situazione che va denunciata. Per il resto, la litania della legge Basaglia non serve più. I casi sono tanti: c’è il ragazzo che muore mentre viene eseguito un Tso in maniera brutale. Poi, ogni tanto, ecco la notizia delle forze dell’ordine che vanno nelle strutture di accoglienza, strutture che sono luoghi peggiori di tanti altri! E, magari, quando mettono la telecamere scoprono le cose peggiori: trovano sevizie, brutture di ogni tipo. Ma tutto passa in un giorno, nessuno denuncia più! Basaglia, invece, aveva denunciato gli scheletri che aveva trovato negli armadi. E oggi occorre fare la stessa cosa.

Accennava alla responsabilità delle regioni, nonché a un certo tipo di informazione e all’approccio di certa psichiatria. Riusciamo a mettere in fila le responsabilità?
C’è sicuramente un cortocircuito tra una psichiatria che non vuole diventare salute mentale e certa stampa che con una leggerezza tratta queste cose o le enfatizza. Una psichiatria che divora in chiave biologica l’individuo. Checché se ne dica che c’è stato Basaglia, oggi la realtà è che vado da un professionista, me ne torno con una ricetta e lì finisce tutto. Ma con quali risultati? Invece posso assicurare che con un approccio diverso ci sono tante persone che riescono a farcela. E queste persone recuperano perché si pensa alle buone cure, quelle fatte nel rispetto dell’individuo: con relazioni costanti, con il coinvolgimento delle associazioni, con l’inserimento al lavoro, con lo sport, ecc… Quello che spesso accade (come ad Ardea, ndr) in realtà addolora perché significa aver vanificato ciò che doveva essere proprio la prospettiva della 180. Mi parlava di responsabilità: c’è la convergenza tra certe amministrazioni regionali, che di fatto si sono staccate dai riferimenti della legge dello Stato, lo abbiamo visto anche recentemente in altri ambiti. Con la regionalizzazione, ognuno ha fatto ciò che faceva comodo fare. Dall’altro lato una psichiatria che si è arroccata nelle accademie, inseguendo un modello medico fallito. Che dire? Occorre stare attenti: per cambiare ci vuole fatica, ma per cambiare in peggio basta un semplice temporale.

Brutti momenti per chi crede nella via indicata da Basaglia. A partire proprio da Trieste.
Guardi, nei giorni scorsi l’Oms ha pubblicato un documento sulla salute mentale e ha fatto tre esempi di situazioni virtuose dei servizi: l’italiana Trieste, la francese Lille e la brasiliana Campinas… Chi dice che la psichiatria basagliana è arcaica non ha mai messo il naso nei servizi di salute mentale!   Stiamo vivendo in prima persona e con gran dolore quanto sta accadendo a Trieste con la vicenda del concorso per la direzione del Centro di salute mentale (il candidato che svolge già funzioni di direttore è stato a sorpresa sopravanzato da altri due candidati di opposto orientamento): quanto sta accadendo in Friuli accade perché negli ultimi anni c’è stato un decadimento generale della salute mentale. Una salute mentale che sta tornando ad essere psichiatria della contenzione, della violazione dei diritti, della farmacologia! (Daniele Iacopini)

15 giugno

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