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Martedì 27 Luglio 2021 10:07

L’importanza della tartaruga marina. Reportage dal Turtle Rescue di Lampedusa

“Il nostro centro aiuta circa cento esemplari di tartaruga marina ogni anno, ma la vera battaglia da fare è una battaglia culturale”. Daniela Freggi spiega così qual è la missione del Centro Recupero Tartarughe di Lampedusa. Cambiare il modo in cui ci relazioniamo con questo animale, con il mare, con la natura. Docente di matematica […]

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“Il nostro centro aiuta circa cento esemplari di tartaruga marina ogni anno, ma la vera battaglia da fare è una battaglia culturale”. Daniela Freggi spiega così qual è la missione del Centro Recupero Tartarughe di Lampedusa. Cambiare il modo in cui ci relazioniamo con questo animale, con il mare, con la natura. Docente di matematica e scienze alla Scuola Media dell’isola, ma soprattutto direttore del Lampedusa Turtle Rescue, un centro che da oltre trent’anni va avanti senza finanziamenti pubblici né privati, ma che riesce a mantenersi grazie alle donazioni dei visitatori. “E grazie all’instancabile lavoro di tutti i volontari, giovani e meno giovani”.

Incastonato tra l’acqua cristallina di Cala Francese e appena sotto la Grotta del Bue Marino, a due passi dall’Aeroporto, il Centro Recupero Tartarughe è un piccolo gioiello di ricerca e di passione. Aperto ai visitatori, soprattutto nei mesi estivi, accoglie esemplari malati o in difficoltà tutto l’anno, grazie alla collaborazione con pescatori locali, turisti e forze dell’ordine.

Da questa porta d’Europa che è Lampedusa, terra di migrazioni, di accoglienza, di solidarietà e di speranza, ecco che si alza un altro grido. Che riguarda tutti noi, il nostro modo di vivere, la nostra economia, il nostro benessere e quello della natura. E che passa per un animale in pericolo: la tartaruga marina.

I volontari del Centro Recupero Tartaruga Marina di Lampedusa. Foto Il Nuovo Magazine
I volontari del Centro Recupero Tartaruga Marina di Lampedusa. Foto Il Nuovo Magazine
Non si può capire l’importanza del Turtle Rescue di
Lampedusa
senza capire l’importanza della conservazione delle tartarughe marine. Questi animali infatti sono equilibratori del sistema marino, in quanto si alimentano di organismi presenti in numero elevato che porterebbero a uno squilibrio o addirittura alla scomparsa dell’ecosistema stesso. Stiamo parlando delle meduse. Le tartarughe marine infatti sono gli unici predatori delle meduse. Animali che oltre a essere pericolosi, sono anche dei consumatori di ossigeno. Cosa vuol dire? Più meduse ci sono nel mare, meno ossigeno c’è, di conseguenza c’è anche meno vita.

Le tartarughe marine le chiamiamo così perché vivono nel mare ma sono animali terrestri, sono infatti dei rettili. La caratteristica principale che li rende tali è che respirano aria come noi. Hanno i polmoni, ma hanno un’apnea molto lunga: possono stare senza respirare dai 40 minuti in estate alle 2 ore in inverno.

“Caratteristica tipica della Caretta caretta è il suo carapace – spiega la dottoressa Marina Zucchini, responsabile sanitario del centro – che non è una cosa a sé stante ma sono le ossa stesse della tartaruga. Altra caratteristica è che non hanno denti ma un becco molto forte, tipo tenaglia. La masticazione avviene nell’esofago. Un esofago particolare, muscolare, con all’interno dei dentini, chiamate spicole. Il problema è che tutto ciò che scende non riesce a risalire. Altra caratteristica delle tartarughe marine è che essendo animali terrestri depongono le uova sulla terra”.



Carapace di tartaruga marina al Turtle Rescue di Lampedusa. Foto Il Nuovo Magazine
Carapace di tartaruga marina al Turtle Rescue di Lampedusa. Foto Il Nuovo Magazine
È qui che si gioca il tassello fondamentale. Quello della procreazione. Le tartarughe marine diventano adulte tra i 30 e i 35 anni, quando la femmina è pronta a deporre le uova inizia un viaggio verso la spiaggia dove è nata.

“Depone circa un centinaio di uova e può fare cinque nidi per stagione – continua ancora la Dottoressa Zucchini – questo processo di deposizione è molto dispendioso dal punto di vista energetico. In primis perché per creare le uova la tartaruga marina utilizza sue risorse personali, ad esempio il calcio gli viene dalle sue ossa. Inoltre un esemplare medio pesa tra i 60 e i 70 kg, deve uscire dall’acqua, trascinarsi per un minimo di 10 metri per un massimo di 200 metri, a seconda della grandezza della spiaggia, e fare una fossa di 50 cm. Poi deporre un centinaio di uova, richiudere il nido e tornare in acqua. La stagione della deposizione delle uova dura poi solo due mesi, immaginate quindi lo sforzo energetico”.

Riproduzioni di uova di tartaruga marina. Foto Il Nuovo Magazine
Riproduzioni di uova di tartaruga marina. Foto Il Nuovo Magazine
L’energia spesa è talmente alta che la tartaruga marina impiega due o tre anni per riprendersi, quindi la deposizione avviene solo con questo intervallo. Stesso intervallo che impiega per trovare il maschio. “E come spesso accade in alcune specie animali, i maschi sono pochi e pigri. È stato appurato utilizzando un radio satellite che mentre le femmine percorrono chilometri per trovare alimenti, i maschi invece rimangono nella zona dove sono nati e aspettano il passaggio delle femmine”.

Per ovviare a questo problema, le tartarughe marine hanno una particolare sacca, chiamata spermateca, che gli permette di mantenere vitali per due anni gli spermatozoi. Arrivati a questo punto, però, entra in scena l’uomo.

Il Turtle Rescue di Lampedusa. Foto Il Nuovo Magazine
Il Turtle Rescue di Lampedusa. Foto Il Nuovo Magazine
L’incubazione delle uova dura dai 40 ai 70 giorni, a seconda della temperatura. La stessa temperatura che va a influire sulla scelta del sesso dei nascituri. Il limite è 29°, se la temperatura è stata superiore nasceranno più femmine, se è stata inferiore nasceranno più maschi. “In questo momento è un problema a causa dell’innalzamento della temperatura, perché fa nascere sempre più femmine, riducendo sempre di più le possibilità di procreazione”. Il 70% delle uova schiude ma purtroppo solo in pochi riescono ad arrivare all’anno di età.

Questo, insomma, è il ciclo vitale della tartaruga marina, che va avanti da milioni di anni. “Il problema viene adesso, mancano infatti i siti di deposizione e purtroppo siamo protagonisti negativi noi. Abbiamo iniziato a costruire stabilimenti, ville, alberghi direttamente sulla spiaggia. Per farvi capire il problema parliamo dell’Italia. L’Italia è una penisola, ha chilometri di spiaggia. Fino al dopoguerra c’erano 10.000 nidi l’anno, ora sono tra i 200 e i 300”.

C’è poi la questione plastica. Le tartarughe marine infatti non sanno distinguere un sacchetto di plastica da una medusa,
o una bottiglia di plastica da un pesce
. “Sta a noi chiaramente dopo aver creato il problema, trovare una soluzione. Basta fare tutti del proprio, basta non girare la testa quando troviamo una bottiglia di plastica e utilizzare tutti i mezzi che abbiamo per lasciare alle nuove generazioni un mare più pulito”.



Le vasche di riabilitazione al Turtle Rescue di Lampedusa. Foto Il Nuovo Magazine
Le vasche di riabilitazione al Turtle Rescue di Lampedusa. Foto Il Nuovo Magazine
Le altre problematiche a cui vanno incontro le tartarughe marine sono legate alla pesca, “anche se dobbiamo ringraziare quei pescatori che hanno capito l’importanza della conservazione della tartaruga marina e ci portano tutti gli animali che pescano accidentalmente”. Il principale rischio per questo animale è legato non tanto all’amo, ma alla lenza, che se non è tagliata corta può arrivare dall’esofago  all’intestino, lacerare gli organi interni, portare alla fuoriuscita di materiale. E provocare così una morte lentissima e un’agonia che può durare addirittura due anni.

“Fino a qualche anno fa si pensava che animali con l’amo nell’esofago non potessero essere operati a causa di una struttura ossea che rende difficile qualsiasi tipo di intervento chirurgico. Non è più così grazie alle ricerche del professor Antonio Di Bello, del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Bari, che ha messo a punto un’eccellente tecnica, conosciuta nel mondo per questo tipo di operazione. Studiando l’anatomia della tartaruga marina, si è accorto che entrando a livello inguinale era in grado di esteriorizzare gran parte dell’intestino e accedendo a livello ascellare addirittura raggiungere lo stomaco.”

 

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“Il professor Di Bello ha sviluppato questa tecnica proprio nell’ampia casistica affrontata da noi, oltre 2000 interventi ed oggi questa tecnica è conosciuta nel mondo come “Tecnica Lampedusa”, un piccolo gioiellino italiano che ci fregiamo di portare nel mondo, riconoscenti al grande Maestro, che non smette di trovare nuove strategie per curare le tartarughe ferite”.


Foto
https://it.lampedusaturtlerescue.org/
È questa la missione del Turtle Rescue di Lampedusa. Da un lato identificare, curare e rilasciare le tartarughe catturate accidentalmente in mare. Dall’altro studiare i dati, ricercare, sviluppare tecniche per aiutare questo animale e per preservare il loro ambiente.

E i volontari del centro portano avanti dal 1990 questo progetto. E lo fanno esclusivamente grazie alla loro passione, alla loro competenza e al loro impegno. Per andare avanti, però, serve l’aiuto di tutti. Da lontano, informandosi e sensibilizzando (e perché no, magari donando sul sito a questo
link
). E da vicino, per chi ha la fortuna di visitare Lampedusa, andandoli direttamente a trovare. Per un’esperienza che può cambiare veramente il modo di pensare.

 

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