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Lunedì 30 Maggio 2022 20:05

Perché la Conference tifava Roma

Non è stata tanto la vittoria in coppa ad aumentare il prestigio giallorosso, quanto la vittoria giallorossa ad aumentare il prestigio della Conference League. Grazie a Josè Mourinho

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C’era una volta una “coppetta di Serie B”. Sembrava proprio una roba da sfigati, una cosa da ripescati, piena zeppa di squadre dimenticate da Dio e dagli uomini, provenienti da luoghi lontani e misteriosi come l’Islanda o le Isole Faer Oer.

Mentre il Milan, l’Inter, la Juventus, andavano spavalde a sfidare gli squadroni del Liverpool e del Real Madrid nella blasonatissima Champions League, la Roma era finita in quella coppetta lì, quella cosetta da poverelli, di cui all’inizio si faceva fatica anche a ricordare il nome.

Conference League l’avevano chiamata, quella coppa nuova di zecca, di cui nessuno sembrava sentire il bisogno, a parte le federazioni calcistiche minori, quelle albanesi, o moldave, o cipriote, che solo così potevano sperare di giocarsi una coppa europea per club. All’Albania avevano persino concesso di organizzare la finale: a Tirana. Una roba che, ma quando mai gli ricapita all’Albania?

D’altronde anche l’Albania, Cipro, la Moldavia, l’Islanda, le Isole Faer Oer, contano voti a livello Uefa. Contano poco, certo, ma messe tutte insieme, anche quelle piccole federazioni fanno numero, possono determinare la vittoria o la sconfitta di un candidato presidente dell’unione calcistica europea. E allora, uno zuccherino tocca pur darglielo. Un contentino. Una “coppetta di Serie B”, per l’appunto.



Fatta la coppa, bisognava però renderla appetibile. Occorreva rapidamente creare quell’afflato epico che si sono conquistati nei decenni i tornei più prestigiosi, trasformando la cenerentola Conference, in una regale principessa, degna della Coppa dei Campioni. Sì, ma come?

L’occasione, si cominciò a presentare all’inizio della stagione calcistica, quando – del tutto a sorpresa – l’AS Roma fece sedere sulla propria panchina il più famoso e prestigioso allenatore ancora in attività: il portoghese Josè Mourinho. Quell’uomo che è già di suo una leggenda vivente, un brand di successo che da solo vale mezza Uefa.

Tempo fa, quando si pensava che Italia e Portogallo si sarebbero dovute sfidare negli spareggi per l’accesso ai mondiali, qualcuno disse che mai e poi mai l’Italia avrebbe potuto vincere, perché i mondiali non potevano permettersi di rinunciare a Cristiano Ronaldo, un personaggio che da solo “fa provincia”, col suo marchio vincente, quel CR7 che muove milioni e folle di fan. Ecco, lo stesso potrebbe dirsi per il suo connazionale Mourinho.

Tutto andò avanti per caso, per un fortunato gioco del destino, senza polemiche, senza sospetti, senza aiuti. La coppa è stata vinta con grande merito. Vuoi per l’effettiva bravura di Mourinho, vuoi per la determinazione della squadra, vuoi per la scarsa esperienza di alcuni avversari. Certo è che, se a decidere il cammino della Conference League 21/22, ci avesse dovuto pensare uno sceneggiatore della Netflix, non avrebbe potuto fare di meglio.



Perché la Roma è andata avanti nel cammino della coppa. Spedita, però mai speditissima. Con inciampi e momenti di pathos. Quelli che, per qualche istante, parevano preludere al peggio. Com’è bene che sia per ottenere le attenzioni e la partecipazione emotiva del pubblico. D’altronde, ogni supereroe ha sempre bisogno di scontrarsi e perdere importanti battaglie col “villain” della storia. L’importante è che quella persa non sia mai la battaglia decisiva.

Il “villain”, in questa di storia, si chiamava Bodoe Glimt, quella squadra capace d’infliggere un disastroso 6-1 ai giallorossi, una sconfitta capace di mettere in ginocchio chiunque. Chiunque, ma non la Roma, non Josè Mourinho, non il nostro supereroe, che si risolleverà dalla disfatta e si ritroverà di nuovo di fronte al “cattivo”, più avanti nel corso del racconto, in un momento decisivo: negli scontri diretti, per prendersi la doverosa rivincita e farlo fuori definitivamente.

Come in ogni fiction di successo, ci sono stati poi i momenti toccanti, quelli commoventi, quelli ricchi di nostalgia. Come durante la semifinale Roma-Leicester, quando a presenziare all’incontro fu chiamato Claudio Ranieri, ex acerrimo nemico proprio di Mourinho. È a quel punto che lo “Special One”, con sapiente maestria, in conferenza stampa decide di tesserne l’elogio. Quello degli ex nemici che si riconoscono il reciproco valore, si riconciliano, diventano amici, è un espediente narrativo che ha sempre la sua efficacia.

Ranieri, inoltre, è il simbolo stesso della Cenerentola che diventa principessa, in modo epico e inatteso. Fu lui a guidare il piccolo Leicester alla conquista della Premier League, battendo giganti come il Manchester, il Liverpool, il Chelsea. I tifosi inglesi e romanisti che lo adorano per questo e che lo applaudono insieme, durante la partita, facendolo commuovere, finiscono così per applaudire insieme, senza saperlo – sotto metafora – quella nuova Cenerentola in grado di diventare principessa, che è la Conference League. Un momento struggente, degno di una scena madre.



Ma la vera scena madre, la sequenza cardine dell’intera storia, doveva ancora arrivare. Arriverà nella notte della finale di Tirana. Arriverà al termine di una partita in bilico fino alla fine, con l’assalto della squadra olandese, che si schianta contro un portiere in forma smagliante e contro due pali galeotti. La Roma vince. Non una vittoria schiacciante, che avrebbe reso il tutto meno interessante. Una vittoria sofferta, capace di tenere gli spettatori col fiato sospeso fino alla fine.

È a quel punto che Josè Mourinho si prende per intero la scena. Entra in campo e scoppia in lacrime. Come un esordiente al suo primo successo. Lui che di trofei importanti ne ha vinti ventisei. Lui che ha conquistato due Champions e due Europa League. Ma allora, se anche uno come lui piange, allora non era proprio una “coppetta di Serie B” questa Conference, si dicono tutti coloro che stanno guardando. Allora questa coppetta qualcosa conta. Allora, prima o poi, voglio vincerla anch’io!

Come un Banderas nel vecchio spot del Mulino Bianco, che non si sente ridicolo a coccolare le galline, Josè Mourinho in lacrime nello stadio di una sperduta Albania, diventa così il più sensazionale testimonial per quella Conference League che quasi nessuno voleva, sicuramente nessuno apprezzava, ma che, grazie al suo carisma, diventa ora un brand fascinoso, un oggetto dei desideri, un sogno, un tesoro inatteso, una stupenda principessa!

Il pianto di Mourinho nella notte di Tirana, ha dunque decretato la vera vincitrice della serata. A vincere la Conference League non è stata solo la Roma, ma è stata la Conference League stessa, quella Cenerentola sfigata, che il fascino di un allenatore plurivincente e delle sue lacrime, ha trasformato in una meravigliosa principessa, capace di rivaleggiare con la regina delle coppe, la Champions, e di sfilare in trionfo sotto il Colosseo, come gli antichi imperatori.

Tutto merito di un uomo proveniente da Setubal, Portogallo: Josè Mario dos Santos Mourinho Felix, detto “Special One”. E, mentre la Roma gode, anche la Uefa gongola.

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