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Lunedì 25 Maggio 2020 10:05

San Cleto, una comunità maturata dall’esperienza della pandemia

parrocchia San Cleto roma
La testimonianza: un decalogo per la parrocchia, due dimensioni essenziali come la Parola e l’Eucaristia, relazioni intensificate

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parrocchia San Cleto roma
Dopo quasi tre mesi, dopo aver vissuto un vero deserto quaresimale, dopo aver celebrato il triduo e la Pasqua a porte chiuse, nella solennità dell’Ascensione (e anche 54esima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali), abbiamo ripreso a celebrare con la presenza del popolo, rispettando tutte le norme per garantire sicurezza e serenità ai fedeli.

 A San Cleto ci siamo ritrovati una comunità certamente cambiata, rinnovata, maturata dall’esperienza del Covid-19. Ha scoperto che questo cammino è la traccia che lo Spirito ci ha indicato, l’opportunità, l’occasione che cercavamo/aspettavamo, perché proprio a Pentecoste (solennità alla quale ci stiamo preparando), lo Spirito ha scaraventato la comunità degli Apostoli dal cenacolo alla piazza. E noi abbiamo fatto diventare il mondo, la piazza, anche quella mediatica, una Chiesa viva, nella quale ci siamo entrati tutti, proprio come ci disse Papa Francesco, in quella suggestiva piazza San Pietro, vuota il 27 marzo scorso: «Siamo tutti sulla stessa barca».

«Una Chiesa viva», come ci disse Benedetto XVI, all’indomani della sua elezione nell’aprile 2005: «Sì, la Chiesa è viva – questa è la meravigliosa esperienza di questi giorni. Essa porta in sé il futuro del mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noi la via verso il futuro. La Chiesa è viva e noi lo vediamo: noi sperimentiamo la gioia che il Risorto ha promesso ai suoi. La Chiesa è viva – essa è viva, perché Cristo è vivo, perché egli è veramente risorto».

Alla comunità di San Cleto abbiamo consegnato un decalogo, 10 punti che elencano e descrivono la nuova faccia della parrocchia, maturata appunto dal Covid-19.

Una comunità che ha colto che due dimensioni sono essenziali per la sua vita: la Parola e l’Eucarestia. Due elementi, due doni di uno sposo innamorato e fedele che ama la sua Sposa e come un fedele coniuge, sul letto della croce ci ha mostrato il suo Amore e ci ha donato se stesso.

Una comunità che sa vivere relazioni più che appuntamenti e programmi. L’esperienza delle restrizioni ci ha permesso di recuperare e intensificare le relazioni interpersonali con tutti i componenti della comunità attraverso tante iniziative a distanza per piccoli e grandi.

Una comunità che sa vivere “l’esserci” mettendo in comune le proprie cose. Mai come in questo periodo ci sono stati tanti segni di solidarietà, e ci siamo fatti buoni samaritani nel cammino faticoso dei fratelli della comunità.

Una comunità che non si accontenta della Messa ma che anche in casa vive la sua piccola “Chiesa domestica”. Abbiamo, altresì, sperimentato che il Signore non ci chiede di riempire chiese, assumendo la maschera dei pii devoti, rischiando di imprigionare nella sacralità del rito ciò che il Maestro ci ha invitato a testimoniare nella vita. Il compito dei cristiani non è quello di riempire le chiese, ma di ridare un’anima al mondo. Si va in chiesa per poter essere lievito nel mondo; non si sta nel mondo per andare in chiesa!

Una comunità che mette nella propria vita percorsi sulla Parola. Da casa, con l’ausilio dei messi di comunicazione, i fedeli si sono nutriti della Parola di Dio, proprio come ci invitava a fare il Signore, all’inizio della pandemia: «Non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4).

Una comunità che ha cuori pacificati dalla Pasqua. Nonostante le restrizioni, attraverso un opuscolo distribuito online, con tutti i mezzi e canali possibili, il Risorto ha donato la Pace con la sua presenza alle famiglie riunite a casa in preghiera.

Una comunità che sa che ognuno è tempio di Dio e sa adorare in Spirito e Verità; per quella radicalità di sequela che vuole che «i veri adoratori adorino il Padre in Spirito e verità», perché «Dio è Spirito. E coloro che lo adorano, in Spirito e verità devono adorarlo» (Gv 4, 23-24), così come Gesù ricordava alla samaritana che gli poneva il problema se Dio andava adorato nel tempio di Gerusalemme o in quello di Samaria.

Una comunità non inglobata in schemi, tradizioni e consuetudini (si è sempre fatto così) che non portano a nessun tipo di conversione, né di cammino e né di fede. Il cardinale vicario, la scorsa settimana ci invitava e ci esortava a ripensare la pastorale; abbiamo l’occasione, oggi, di uscire fuori da schemi adagiati e portati avanti per anni, che oggi non sono più all’altezza né efficaci.

Una comunità che si prende cura degli invisibili e di tutti quelli che sono nelle povertà spirituali e materiali.

Una comunità che vive la fatica della maturazione della fede come “incontro” e non come incontri. Ricordandoci l’incontro, con l’unica figura consegnataci dai Vangeli: l’Angelo che davanti al sepolcro vuoto esclama: «Chi cercate? Non è qui! Andate in città. Là lo troverete!». Non siamo venuti meno all’ascolto dell’urlo della città, anzi paradossalmente la pandemia del Covid-19 ci ha aiutato ancora di più a metterci in ascolto e a partecipare del cammino dei nostri fratelli e sorelle, anche quando, per esempio, ci siamo ritrovati dai balconi a cantare con “un cuor solo e un’anima sola”.

È stato un tempo di grazia, di opportunità, quello che abbiamo vissuto, proprio come ci ricordava padre Raniero Cantalamessa, citando sant’Agostino, lo scorso venerdì Santo nella basilica di San Pietro: «Dio non permetterebbe mai che un qualsiasi male esistesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente potente e buono, da trarre dal male stesso il bene».

Crediamo di aver avuto l’opportunità di trasformare il semplice dato temporale, “cronos”, nel più pregnante ed evangelico momento propizio, “kairos”. Ringraziamo la Vergine Maria per il sostegno datoci lungo il cammino fatto finora, e le affidiamo il tempo futuro, perché continui ad essere proficuo, per fare quello che suo Figlio ci dice (cfr. Gv 2,5). (don Armando Bazzicalupo)

 25 maggio 2020

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