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Martedì 26 Maggio 2020 15:05

Pesi da condividere per il bene comune


La "trinità" di oranti formata da Mosè, Aronne e Cur, che unitamente, supplicano Dio mentre infuria la battaglia. La preghiera è una lotta e si deve fare insieme

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Il viaggio dell’Esodo è affannoso, imprevedibile e pieno di agguati. Accampati a Refidim, gli ebrei vengono a combattimento con gli Amaleciti, discendenti di Esaù – fratello di Giacobbe – che si mostrano affatto ostili verso i migranti provenienti dall’Egitto. Si può immaginare l’angoscia che dovette cadere sul cuore degli ebrei già provati dalla fame e dalla sete. Ci voleva anche una certa dose di malvagità per infierire su quella folla di disperati e nullatenenti. Ma la malvagità è una “merce” che non scarseggia mai in nessun angolo della terra e, soprattutto, là dove arrancano i poveracci.

Mosè non si sottrae al compito di difendere il suo popolo e lo fa con un’unica “arma”: il bastone di Dio. Quello che aveva appena usato per far scaturire l’acqua dalla roccia, quello da cui passava la forza della sua fede in Lui e la misericordia di Dio verso Israele. Oltre al bastone Mosè usa le mani: le sue risorse umane. Nella Bibbia la “mano” viene celebrata come una grande ricchezza, uno strumento davvero decisivo per potercela fare: «Contro la selce l’uomo
porta la sua mano, nelle rocce scava gallerie», recita il libro di Giobbe, elogiando la potenza della tecnica (28,9–10); «il Signore Onnipotente li ha respinti con la mano di una donna», canta Giuditta dopo aver liberato Betulia dagli invasori (Gdt 16,5). Ma le mani di Mosè sono più tenere di quelle di una donna! C’è bisogno di chi le sostenga, a destra e a sinistra. Stupenda la “trinità” di oranti formata da Mosè, Aronne e Cur: immaginiamo i loro profili sulla collina dove, unitamente, supplicano Dio mentre infuria la battaglia. La preghiera è una lotta e si deve fare insieme. Così le mani di Mosè: «Rimasero ferme fino al tramonto del sole», finché la guerra non si fu placata.

L’esperienza della fragilità è una scuola di saggezza per Mosè. Egli è un uomo pieno d’entusiasmo e gli parrebbe di riuscire a far tutto da solo ma presto si avvede del contrario. Preziosa è per lui la parola di suo suocero Ietro che gli suggerisce comportamenti umili e
prudenti. Vedendo come suo genero svolgesse anche il ruolo di giudice e sedesse a dirimere le cause che il popolo intentava, Ietro lo fa riflettere dicendogli: «Perché siedi tu solo, mentre il popolo sta presso di te dalla mattina alla sera? (…) Non va bene quello che fai! Finirai per soccombere, tu e il popolo che è con te, perché il compito è troppo pesante per te; non puoi
attendervi tu da solo» (18,14.17–18).

Mosè diede ascolto al monito del suocero e designò uomini validi che giudicassero gli affari del  popolo e, solo nei casi difficili, si rivolgessero a lui. Così dovremmo fare anche noi sia nella società civile che nella Chiesa: condividere il peso e la responsabilità di ogni servizio indispensabile alla vita e al benessere comune. Non cedere alla tentazione di concentrare ogni “potere” e ogni ruolo nelle mani di uno solo o di pochi. Ma conferire a ciascuno il suo compito, riconoscendogli il carisma per l’edificio comune. Se ne otterrà successo e salute per la  comunità e, cosa ancor più importante, impareremo ad amarci.

26 maggio 2020

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