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Giovedì 28 Maggio 2020 12:05

Enzo Bianchi: «Abbiamo chiesto di conoscere le prove delle nostre mancanze»


Dal fondatore della Comunità di Bose un comunicato per chiedere spiegazioni alla Santa Sede dopo il provvedimento che ne dispone l'allontanamento

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«Conoscere le prove delle nostre mancanze, così da poterci difendere da false accuse». Questo quello che il fondatore della Comunità di Bose Enzo Bianchi chiede alla Santa Sede, in un comunicato «ufficiale», all’indomani del
provvedimento che ne dispone l’allontanamento
, insieme ad altri due fratelli e a una sorella. Un testo, quello firmato da Enzo Bianchi, che si conclude comunque con un attestato di fiducia: «Nella tristezza più profonda, sempre obbediente, nella giustizia e nella verità, alla volontà di Papa Francesco, per il quale nutro amore e devozione filiale».

Il decreto firmato dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin che dispone l’allontanamento dalla Comunità è arrivato al termine di una Visita apostolica condotta da tre visitatori e riguarda, insieme a Enzo Bianchi, anche sr. Antonella Casiraghi, già sorella responsabile generale, fr. Lino Breda, segretario della comunità, e fr. Goffredo Boselli, responsabile della liturgia. «Invano – scrive Bianchi -, a chi ci ha consegnato il decreto abbiamo chiesto che ci fosse permesso di conoscere le prove delle nostre mancanze e di poterci difendere da false accuse. In questi due ultimi anni, durante i quali volutamente sono stato più assente che presente in comunità – ricorda -, soprattutto vivendo nel mio eremo, ho sofferto di non poter più dare il mio legittimo contributo come fondatore».

Parole, quelle del fondatore, che contrastano con quanto espresso nel comunicato diffuso dal Monastero per dare annuncio del provvedimento della Santa Sede, nel quale si parlava di «una situazione tesa e problematica nella nostra Comunità per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità del fondatore, la gestione del governo e il clima fraterno». Bianchi rivendica proprio le dimissioni da priori date liberamente, oltre tre anni fa, proprio in quanto fondatore. «Comprendo – scrive – che la mia presenza possa essere stata un problema. Mai però ho contestato con parole e fatti l’autorità del legittimo priore, Luciano Manicardi, un mio collaboratore stretto per più di vent’anni, quale maestro dei novizi e vicepriore della comunità, che ha condiviso con me in piena comunione decisioni e responsabilità».

Di qui la richiesta di maggiori chiarimenti. «In questa situazione, per me come per tutti, molto dolorosa, chiedo che la Santa Sede ci aiuti e, se abbiamo fatto qualcosa che contrasta la comunione, ci venga detto. Da parte nostra – prosegue il fondatore di Bose -, nel pentimento siamo disposti a chiedere e a dare misericordia. Nella sofferenza e nella prova abbiamo altresì chiesto e chiediamo che la comunità sia aiutata in un cammino di riconciliazione». Da ultimo, un ringraziamento «dal profondo del cuore» ai tanti fratelli e sorelle di Bose che «in queste ore di grande dolore mi sostengono» e alle tante persone «che mi e ci hanno attestato la loro umana vicinanza e il loro affetto sincero».

28 maggio 2020

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