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Lunedì 1 Giugno 2020 10:06

Policlinico Umberto I, il “di più” del personale sanitario


Francesco Pugliese, direttore del Dea, racconta l’impegno per la cura dei pazienti Covid. «La nostra strategia? Giocare d’anticipo»

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Non c’è stato bisogno di chiederlo quel «di più» che tutto il personale ospedaliero, «dai medici agli infermieri fino agli operatori socio sanitari», ha messo in campo «al servizio dei pazienti» in questi ultimi mesi nei quali, a supporto dei centri Covid della Regione, il Policlinico universitario Umberto I ha fronteggiato la fase più critica dell’emergenza sanitaria. A dirlo è Francesco Pugliese, direttore del Dipartimento emergenza, accettazione, anestesia ed aree critiche del nosocomio intitolato al re d’Italia, primo Policlinico in Europa per grandezza.

«Si è trattato di un periodo che ha avuto un forte impatto psicologico, oltre ad avere influito in modo significativo sul carico di lavoro», dice il medico che ha vissuto «un intero weekend in famiglia solo la scorsa settimana, da quando questa situazione ci ha fatto allertare, a fine gennaio». Da subito, quattro mesi fa, «alla notizia del ricovero a Roma dei primi due pazienti contagiati di nazionalità cinese», il nostro ospedale «ha alzato il livello di attenzione – continua Pugliese –, seguendo le direttive ministeriali e quelle regionali per monitorare al meglio l’ingresso di ogni paziente nella nostra struttura, con la massima sorveglianza sui pazienti provenienti dal Sud–est asiatico, al fine di evitare che si propagasse il contagio nell’ospedale».

Questa azione preventiva ha comportato «una riorganizzazione nella gestione degli ambienti, con una conseguente cura nella segnaletica per definire una netta separazione dei reparti, quelli ordinari e quelli destinati al trattamento del Covid, differenziati in base all’intensità di cure necessarie». L’esperto sottolinea come «la nostra strategia è stata quella di giocare d’anticipo, per essere pronti anche alle situazioni più critiche, che a marzo si sono poi verificate» quando, «alla metà del mese, nel giro di cinque giorni siamo passati da 9 malati di coronavirus ricoverati nella nostra struttura a 160», mentre «220 è stato il numero massimo raggiunto di contagiati ricoverati».

L’anticipare i tempi ha significato ad esempio «riservare sempre un reparto vuoto a disposizione per la degenza dei malati di Covid e uno per la terapia intensiva – spiega Pugliese –, al di là dei reparti dedicati che fin da subito abbiamo identificato nei due piani dell’ospedale destinati alla cura delle malattie infettive, nella seconda clinica chirurgica e in un’area del secondo padiglione». Ancora oggi, quando i pazienti ricoverati per coronavirus sono 70, di cui quattro in terapia intensiva – i dati si riferiscono alla giornata di giovedì –, questa strategia preventiva viene garantita e «secondo le disposizioni della Regione», dice Pugliese, «fino al 30 giugno garantiremo 100 posti letto dedicati Covid in reparto e 24 in terapia intensiva».

 Il medico mette poi in luce «il vantaggio di lavorare in un grande ospedale», specie in situazioni di criticità come nel caso dell’attuale epidemia, «per la collaborazione che si instaura tra le diverse branche specialistiche: tutte hanno apportato il loro contributo culturale e questo è fondamentale quando si tratta di affrontare una malattia nuova, della quale all’inizio si sapeva poco».

Pugliese ribadisce «il grande sforzo di tutto il personale interessato», evidenziando come «alla fase più dura e delicata abbiamo fatto fronte con le risorse di base del nostro ospedale, integrando anche i medici di guardia», dato che «le nuove assunzioni hanno richiesto i necessari tempi tecnici previsti per una struttura pubblica», perciò «le Unità di anestesia e di rianimazione hanno potuto avvalersi di 28 nuove figure professionali solo dall’inizio di aprile». Concludendo, il medico afferma che «questa situazione rimarrà un ricordo indelebile a motivo della tanta sofferenza vista nei pazienti, ai quali nessuno di noi poteva mostrare il viso per via dei presidi di protezione». Fissa nella memoria resterà anche «l’immagine della continua e lunga fila di ambulanze davanti al Pronto soccorso e il loro suono acuto in una Roma immobile e deserta».

1 giugno 2020

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