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Mercoledì 27 Gennaio 2021 12:01

L’orrore delle parole per Lisa e il prezioso ruolo della scuola



La lettera dello Stato dell’Indiana alla donna condannata a morte in gennaio: la scelta di parlarne in classe per zittire quel «dear» e quel «sincerely» ed essere migliori

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A scuola lavoro con le parole, le leggo, le commento insieme alla mia classe. Sono pagato per insegnare che dentro quelle parole c’è il mondo, il modo per dire il mondo, il modo per capirlo. Per questo, gran parte del mio lavoro fuori dall’aula consiste nel selezionare quelle parole, sceglierle, concedere loro il privilegio di avere voce l’indomani tra i banchi e riprendere vita, tornare a parlare, perché parlano le parole, eccome se parlano le parole. Anche in questi mesi di distanza ho continuato a cercare le parole, ma qualche giorno fa, di pomeriggio e attraverso lo schermo, ho smesso di farlo perché ho incontrato l’orrore nelle parole.

Capita che apro Avvenire e leggo della lettera recapitata a Lisa Montgomery, uccisa dal suo Stato il 13 gennaio, con una iniezione letale nel carcere dell’Indiana. Mi ritrovo impetrato di fronte alla barbarie di quelle parole: «Dear Ms. Montgomery, the purpose of this letter is to inform you that a date has been set for the implementation of your death sentence, pursuant to the judgment and order issued on April 4 2008, by Judge Gary A. Fenner of the United States District court for the Western District of Missouri. This letter will serve as official notification that pursuant to Title 28, Code of federal regulations, Section 26.3 (a)(1) and 26.4 (a). The Director of the Federal Bureau of Prisons has set January 12, 2021, as the date for your execution by lethal injection. Sincerely». È la lettera che annuncia la data della sua condanna a morte e la modalità, facendo riferimento alla sentenza del 2008 emessa da un giudice del Missouri.

«Dear», «sincerely», «cara, gentile», «sinceramente, cordialmente», così, con un ago in vena ti ammazziamo Lisa, così: «Dear», «sincerely». Sono rimasto muto di fronte a quelle parole. Poi mi sono guardato intorno e ho visto i libri, ho pensato alla lezione che avrei dovuto preparare, alle parole che avrei scelto. Ma quali parole avrei potuto portare in classe dopo la barbarie di quelle parole? Annichilivano tutto quelle parole, l’insensatezza bestiale di quelle parole svuotava di ogni senso tutte le altre parole. «Dear», «sincerely», e sì che a scuola l’ho sentita spesso la bellezza tragica delle parole importanti e nere, quelle di Giobbe e di Ugolino, del pastore dell’Asia e di Levi, del passato e del presente. Ma l’orrore che metteva a tacere tutto era solo nell’orrore di quelle parole: «Dear», «sincerely», ti uccidiamo Lisa con queste parole.

 Ma poi ho pensato che esiste la scuola perché non esistano più quelle parole, le porterò a scuola quelle parole, mi sono detto, e l’ho fatto l’indomani. Che con la mia classe avessimo in quei giorni iniziato a parlare dell’Illuminismo italiano, dei suoi caffè, e sì di Beccaria, parrebbe la conclusione voluta di un articolo scritto male. Ma questo è successo, di che altro avrei dovuto parlare nella mia classe se non di quelle parole? «Dear», «sincerely», con queste parole ti ammazziamo Lisa. Noi le abbiamo lette: questo accade oggi, ragazze e ragazzi, e noi siamo qui perché siamo e saremo meglio di quelle parole, le zittiremo quelle parole, saremo la vita offesa e vilipesa in quelle parole.

27 gennaio 2021

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