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Venerdì 19 Marzo 2021 14:03

Sulla strada di Cristo e di Marx

“… Un notabile lo interrogò: Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna? … Gesù gli rispose: Tu 
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Soltanto chi non conosce, se non superficialmente, tanto la storia del cristianesimo, quanto la storia del comunismo (e non solo quello storico novecentesco, ma il comunismo perenne, inteso quale fiume “carsico” che, apparendo e scomparendo periodicamente nelle varie epoche, mobilita le masse subalterne scuotendole dal loro atavico torpore), può trovare eccezionale la storia personale di padre Alighiero Tondi (1908 – 1984), narrata nel libro di Matteo Manfredini, Il gesuita comunista, edito da Rubbettino nel 2020.

Non c’è bisogno di ripercorrere tutta la storia dell’umanità e, all’interno di questa, la storia del pensiero umano, per documentare una sorta di attrazione fatale tra questi due paradigmi ideali e pratici prodotti dallo spirito umano; basti accennare ad alcuni significativi esempi: innanzitutto l’organizzazione delle prime comunità cristiane che, in quanto trasformazioni delle precedenti comunità degli esseni (setta radicale ebraica diffusasi nel primo secolo a. Cr.), avevano già provveduto ad abolire la proprietà privata e a darsi ordinamenti politici basati sulla democrazia diretta. In secondo luogo, le sette ereticali cristiane, pullulanti durante tutti i secoli dell’alto e del basso medioevo (donatisti, montanisti, catari, dolciniani, lollardi, ecc.), sette che rivendicavano e attuavano l’esproprio dei latifondi nobiliari ed ecclesiastici e la suddivisione delle terre tra le comunità contadine. Successivamente, all’inizio dell’età moderna, nel XVI sec. dal 1523 al 1525, registriamo la prima grande rivoluzione comunista: la guerra dei contadini guidati dal riformatore protestante Thomas Muentzer, in Germania.

Una rivoluzione violentemente condannata, con parole di fuoco, da Martin Lutero (nel discorso Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca), e conclusasi con un bagno di sangue a Frankenhausen il 15 maggio 1525. Nel successivo secolo XVII e, in particolare nell’Inghilterra della prima rivoluzione antimonarchica (1640 – 1648), troviamo, tra i rivoltosi, un gruppo di precursori del moderno comunismo: sono i Diggers (zappatori), di confessione puritana-calvinista, impegnati nell’occupazione violenta delle tenute degli aristocratici e organizzati in comunità auto-gestite. Ma, sempre nello stesso secolo, anche nel campo cattolico controriformistico, nelle lontane terre dell’America latina, al confine tra Paraguay, Argentina e Brasile, sorgono le prime comunità di indios guarany, le cosiddette reductiones, promosse e dirette da padri gesuiti. Quei padri gesuiti che, a metà del secolo XVIII, combatteranno con le armi per difendere, fino all’estremo sacrificio, queste comunità contro le soverchianti guarnigioni spagnole e portoghesi. E’, questa, la storia mirabilmente narrata nel film Mission (1986) diretto da Roland Joffé, interpretato da Robert De Niro e Jeremy Irons, e stupendamente musicato dal nostro compianto Ennio Morricone. Sul versante della storia del pensiero, la commistione tra cristianesimo e comunismo è testimoniata dagli scritti del vescovo inglese Thomas More (Utopia, 1516), del domenicano calabrese Tommaso Campanella (La città del sole, 1602), del curato francese di campagna Jean Meslier (nel suo Testamento del 1720).

Per venire a tempi più recenti e alla nostra Italia del dopoguerra, se si possono contare a milioni i cattolici laici che, incuranti della scomunica comminata nel 1949 da Pio XII, si impegnarono come militanti o semplici elettori, nelle file del PCI, numerosi furono i sacerdoti che, pur non iscrivendosi al partito e continuando a svolgere il loro ministero pastorale amministrando quotidianamente i sacramenti, espressero in maniera chiara le loro simpatie comuniste, impegnandosi nelle lotte operaie e contadine per il salario, la previdenza, l’istruzione, la casa e i servizi sociali. Così come, allo stesso modo, essi si pronunciarono a favore dei movimenti studenteschi e femministi. Io ho avuto la fortuna di conoscere un certo numero di questi preti comunisti e, in questa sede, vorrei ricordare almeno il nome di don Roberto Sardelli, allievo di don Lorenzo Milani e fondatore-animatore della Scuola 725 all’Acquedotto Felice, tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta.

Ma, per tornare al libro di Manfredini e alla figura di don Alighiero Tondi, non c’è dubbio che abbiamo a che fare con un personaggio di notevole livello intellettuale (lo testimoniano i molti libri e articoli pubblicati, l’enorme materiale inedito, le cattedre universitarie ricoperte), ma dotato di una personalità complessa e tormentata. Una persona caratterizzata da scelte repentine e da improvvisi e clamorosi pentimenti. Nato a Roma nel 1908 in una famiglia laica anticlericale e socialista, si convertì al cattolicesimo nel 1936, entrando subito dopo in un seminario della Compagnia di Gesù; nel 1944 fu ordinato sacerdote e, grazie al suo enorme bagaglio cilturale e alle sue spiccate qualità oratorie e pedagogiche, immediatamente reclutato, quale docente di filosofia, dalla Pontificia Università Gregoriana. Qui si mise in luce anche per la sua capacità di coltivare relazioni con personaggi politici di orientamento conservatore (se non addirittura reazionario), fino a diventare una sorta di anello di collegamento tra curia vaticana, ambienti democristiani (in particolare i Comitati Civici di Luigi Gedda), gruppi monarchici e fascisti. Nella primavera del 1952 Tondi annuncia, pubblicamente, l’abbandono della tonaca sacerdotale, del suo posto all’Università Gregoriana e, con grandissimo e clamoroso scandalo, la sua adesione al marxismo e al PCI. Fu, quello di Tondi, uno dei casi mediatici di più ampia risonanza in tutto il periodo della guerra fredda, con ripercussioni a livello nazionale e internazionale. Anche perché fu subito chiaro che, già da alcuni anni, padre Alighiero Tondi era una sorta di “agente segreto” che, dall’interno del Vaticano e della Compagnia di Gesù, era impegnato nella trasmissione, al “servizio segreto” del PCI, di informazioni riservatissime sugli orientamenti e sulle scelte dei vertici ecclesiastici, ma anche sui rapporti, non sempre facili, tra curia romana e Democrazia Cristiana.

Il caso Tondi fu, probabilmente, la causa del fallimento della cosiddetta “Operazione Sturzo”, quel tentativo che, in vista delle elezioni amministrative del 1952, doveva portare la DC ad abbandonare i suoi alleati di centro (PSDI, PLI, PRI) per unirsi in un’alleanza organica con monarchici e neo-fascisti. Negli anni successivi, Alighiero Tondi fu utilizzato, dai vertici del PCI, come brillante oratore da comizio e conferenziere, senza però conseguire incarichi né parlamentari né di partito. Nel frattempo si sposò con una famosa e impegnatissima dirigente delle donne comuniste, la reggiana Carmen Zanti, giovane intelligente e molto graziosa, destinata a diventare parlamentare dal 1963 fino alla sua morte prematura. Fu un matrimonio d’amore, l’unico vero legame affettivo che, secondo lo stesso Tondi, regalò alla sua vita tormentata momenti di piena felicità.

Nel 1957 il PCI, che evidentemente non nutriva molta fiducia nella “svolta” comunista di Tondi, lo spedì a Berlino Est, nella prestigiosa università Humboldt, a ricoprire un’importante cattedra di filosofia nel medesimo ateneo in cui avevano insegnato Fichte, Hegel e Schelling. Fu proprio l’esperienza diretta di quella “democrazia popolare” (e soprattutto l’aver assistito alla costruzione del “muro”, a partire dall’agosto 1961) a determinare la nuova svolta: rientrato in Italia nel 1963, Tondi confesserà di non essere più marxista e di aver ritrovato, dopo un lungo tormento interiore, la fede cattolica. E così, pur continuando ad essere iscritto al PCI fino al 1979, riprese i contatti con sacerdoti e con conoscenti di un tempo, che lo aiutarono ad ottenere da papa Paolo VI (suo vecchio amico di gioventù) la riammissione ai sacramenti. Ma, non contento, nel 1979, rimasto vedovo per la morte prematura di Carmen Zanti, volle a tutti i costi ritornare allo status sacerdotale. Fu papa Giovanni Paolo II, dopo una lunga istruttoria, a consentirgli nel 1981 di riprendere la tonaca della Compagnia di Gesù e di tornare a celebrare messa. Morì “in pace con Dio e con gli uomini, ma anche con se stesso”, nel 1984. Al suo funerale, celebrato dal vescovo di Reggio Emilia, parteciparono esponenti delle due fedi che si erano contese, in vita, la sua anima: dirigenti e militanti comunisti, membri della Compagnia di Gesù e semplici fedeli, insieme mescolati nella stessa chiesa.

Una vicenda, quella di Alighiero Tondi, umana prima che intellettuale e politica. Ma anche un percorso di vita che, nell’Italia del dopoguerra, non fu per niente eccezionale, essendo stati numerosissimi quei cattolici che riuscirono a conciliare – al di là e al di sopra dell’indubbia differenza tra due diverse e contrapposte “visioni del mondo” – la fede cristiana nella salvezza oltre-mondana con l’impegno politico e sociale nel più grande partito comunista dell’occidente.

Matteo Manfredini, Il gesuita comunista, Rubbettino editore, Soveria Mannelli, 2020.

 

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