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Lunedì 29 Marzo 2021 17:03

La Via Crucis a Roma: luoghi, opere, scrittori

La Via Crucis a Roma: luoghi, opere, scrittori


La lunga processione della Via Crucis è il cammino rituale che rievoca i momenti più drammatici e significativi della Passione di Cristo, dal momento della condanna a morte alla deposizione dalla croce. Di norma allestito nel Venerdì Santo, l’itinerario di dolore compiuto da Gesù viene riproposto negli spazi della vita pubblica (strade, piazze, o nei […]

La Via Crucis a Roma: luoghi, opere, scrittori


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La Via Crucis a Roma: luoghi, opere, scrittori


La lunga processione della Via Crucis è il cammino rituale che rievoca i momenti più drammatici e significativi della Passione di Cristo, dal momento della condanna a morte alla deposizione dalla croce. Di norma allestito nel Venerdì Santo, l’itinerario di dolore compiuto da Gesù viene riproposto negli spazi della vita pubblica (strade, piazze, o nei pressi di monumenti famosi, si veda il Colosseo), affinché tutti i fedeli possano accompagnare Gesù, simbolicamente, nelle sue sofferenze, condividendone idealmente gli ultimi strazianti tormenti. Le 14 soste (le cosiddette “stazioni”) scandiscono il drammatico cammino.

La rievocazione, così strutturata, ha origine e diffusione in età medievale, fra la Terra Santa (la sede storica, il vero “scenario” della Passione) e l’Europa (il contesto geografico e culturale in cui il cristianesimo si radica).

In ambito europeo l’aspetto religioso e quello scenico, il rito e il teatro, presto si sovrapposero: il clero, infatti, avvertì la necessità di presentare ai fedeli i fatti salienti della vita di Cristo in modo semplice e immediato, e la messa in scena di azioni recitate fu la risposta più spontanea a tale esigenza. Dunque in occasione delle principali festività religiose, cioè la Pasqua e il Natale, venivano allestiti quelli che gli storici del teatro definiscono “drammi liturgici”, cioè veri e propri dialoghi recitati e associati alla funzione religiosa, in cui gli attori riproponevano i momenti cruciali delle ultime ore di Gesù.

Originariamente tutto ciò avveniva in latino; poi, affinché tutti potessero recitare e/o comprendere, vennero utilizzati gli idiomi locali. E in un secondo momento, la messa in scena si rese pienamente autonoma rispetto alla celebrazione liturgica, assumendo le forme di vero e proprio teatro.

Questi tableaux vivants (“quadri viventi”) avvicinavano ancora di più i fedeli al messaggio cristiano e, al tempo stesso, rinforzavano il senso di appartenenza alla comunità, poiché consentivano alle intere collettività di rivivere, tutti insieme in un unico afflato collettivo, il dramma della Passione e della morte di Gesù, ma anche la gioia della Resurrezione e, in occasione del Natale, della nascita.

Dai tempi più lontani e fino ai giorni nostri la forza rappresentativa della Via Crucis non ha perso di efficacia, né dal punto di vista religioso (per il credente) né dal punto di vista rituale o “folklorico” (per chi osserva con sguardo laico). È testimonianza di ciò l’enorme partecipazione popolare alle Settimane Sante celebrate in varie città d’Europa, da Siviglia (Spagna), a Enna (Italia), a Ulm (Germania), e altrove.

Tradito da Giuda, Gesù è arrestato nell’Orto degli Ulivi, poi flagellato e percosso. Viene poi portato dal tetrarca Erode, ed è nuovamente oltraggiato e deriso da alcuni soldati; è infine condotto dal prefetto Pilato. Questi, una volta riuniti sacerdoti, magistrati e popolo, confessa la propria perplessità circa la colpevolezza di Gesù e, potendo egli concedere la grazia a un condannato in occasione della festa (la Pesach), vorrebbe graziare proprio Gesù piuttosto che l’altro imputato Barabba, palesemente colpevole di sommossa. Ma la folla vuole che la vittima sia Gesù, e Pilato si piega al suo volere.

A Roma la Via Crucis si svolge in genere al Colosseo. La processione sullo sfondo dell’Anfiteatro Flavio ebbe luogo per la prima volta nell’anno giubilare 1750, per iniziativa del papa Benedetto XIV Lambertini. Questa ambientazione “classica” fu abbandonata dopo il 1870, e venne poi recuperata prima in una sola occasione (1959) da papa Giovanni XXIII, e poi regolarmente da Giovanni Paolo II (a partire dal 1977). Da segnalare anche una Via Crucis “di quartiere” che in genere si svolge il Venerdì Santo nel primo pomeriggio sul Monte dei Cocci quando i cancelli d’ingresso vengono spalancati ai testaccini.  Quest’anno, a causa della pandemia, il Vaticano ha organizzato un’edizione ad accesso limitato la sera del venerdì sul sagrato di San Pietro coinvolgendo nella meditazione di fronte alle stazioni giovani parrocchiani e scout.

Dal canto nostro, vi proponiamo una Via Crucis fra luoghi e opere facilmente visitabili o comunque ben visibili qua a Roma (indicati non secondo un criterio topografico, bensì per contenuti), e con qualche suggerimento letterario.

E Pilato parlò loro di nuovo, perché desiderava liberare Gesù; ma essi gridavano: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”. Per la terza volta egli disse loro: “Ma che male ha fatto? Io non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Perciò dopo averlo castigato lo libererò”. Ma essi insistevano a gran voce, chiedendo che fosse crocifisso; e le loro grida finirono per avere il sopravvento. Pilato decise che fosse fatto quello che domandavano: liberò colui che era stato messo in prigione per sommossa e omicidio, e che essi avevano richiesto; ma abbandonò Gesù alla loro volontà. [Lc 23,20-25]

Lungo l’attuale Via Petroselli si innalza il bellissimo edificio noto, fra l’altro, come “Casa di Pilato”, poiché durante le più antiche rievocazioni della Via Crucis esso rappresentava l’abitazione del prefetto romano. Secondo il racconto neotestamentario, proprio in presenza di Pilato ebbero luogo le prime, determinanti fasi della Passione, e pertanto nella rievocazione della Via Crucis la suddetta casa era la prima delle stazioni.

Conosciuta anche come “Casa dei Crescenzi”, dal nome dei proprietari e costruttori, e altresì come “Casa di Cola di Rienzo”, se è vero che nel XIV secolo essa appartenne al tribuno, la struttura fu costruita fra la prima e la seconda metà dell’XI secolo e ornata con materiale di spoglio proveniente da edifici di età romana.

Casa dei Cresceni [Fonte: Wikimedia Commons, PD]
Casa dei Cresceni [Fonte: Wikimedia Commons, PD]
Allora i soldati lo condussero nel cortile interno, cioè dentro il pretorio, e radunarono tutta la coorte. Lo vestirono di porpora e, dopo aver intrecciata una corona di spine, gliela misero sul capo, e cominciarono a salutarlo: “Salve, re dei Giudei!”. E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, mettendosi in ginocchio, si prostravano davanti a lui. Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora, lo rivestirono delle sue vesti e lo condussero fuori per crocifiggerlo. [Mc 15,16-20]

Le due lunette della parte superiore del Giudizio Universale michelangiolesco (Cappella Sistina, 1535-1541) mostrano gli oggetti della Passione, fra cui ovviamente la croce: essi sono collocati al di sopra del turbine visivo e della tensione narrativa che anima l’affresco, poiché simboli eterni e assoluti, al di fuori e al di sopra di ogni evento, della sofferenza salvifica Cristo.

Cappella Sistina, Giudizio Universalale, Angeli con gli strumenti della passione [Fonte: Wikimedia Commons, PD]
Cappella Sistina, Giudizio Universalale, Angeli con gli strumenti della passione [Fonte: Wikimedia Commons, PD]
Ha dunque luogo la prima delle tre cadute lungo il percorso di sofferenza. La rappresentazione di questi cedimenti non è presente nei Vangeli; tuttavia le cadute vengono inserite, in età tardo-medievale, quale esasperazione dell’azione drammatica volta a sottolineare il dolore di Cristo, a sollecitare con forza un sentimento di pietà nello spettatore per coinvolgerlo spettatore ancora più profondamente. Non a caso l’espressione “portare la croce” notoriamente indica il peso delle fatiche dell’esistenza umana e il gravare delle avversità.

Ripercorriamo i tormenti anche sul Ponte Sant’Angelo, lungo il quale svettano dieci angeli che recano i simboli della Passione. Due di essi, quello con la corona di spine e quello col cartiglio, sono opera di Gianlorenzo Bernini.

Fu il papa Clemente IX Rospigliosi a incaricare Bernini di ornare con opere di carattere religioso il suddetto ponte, cioè l’ultimo grande attraversamento urbano che i pellegrini calcavano prima di poter finalmente giungere alla tomba del Principe degli Apostoli in San Pietro.

Bernini, che proprio pochi anni prima (1665) aveva portato a termine l’imponente colonnato che abbraccia la piazza, concepì allora (1667) la realizzazione di dieci angeli recanti ciascuno uno dei simboli della Passione di Cristo. Chiamò pertanto alcuni fra i propri fedeli collaboratori (fra cui Ercole Ferrata, Cosimo Fancelli, Ercole Antonio Raggi ed altri) ed egli stesso scolpì due delle dieci opere. Le sculture berniniane originali sono custodite presso la chiesa di Sant’Andrea delle Fratte; in situ, invece, si trovano le rispettive copie, e le opere autentiche degli aiutanti.

Chiesa di S. Andrea delle Fratte, Gianlorenzo Bernini, Angelo con la corona di spine [Fonte: Wikipedia, CC BY Sailko]
Chiesa di S. Andrea delle Fratte, Gianlorenzo Bernini, Angelo con la corona di spine [Fonte: Wikipedia, CC BY Sailko]
Nella Via Crucis è centrale, naturalmente, anche il ruolo di Maria. Queste, fra le altre, le parole che le fa pronunciare Jacopone da Todi (XIII secolo) nella lauda Donna de Paradiso, dalle quali emerge il lacerante dolore della madre davanti allo strazio subito dal figlio:

Figlio bianco e vermiglio/ figlio senza simiglio,/ figlio, a chi m’apiglio?/ Figlio, pur m’hai lassato!/ Figlio bianco e biondo,/ figlio volto iocondo,/ figlio, perché t’ha ‘l mondo,/ figlio, così sprezzato?

Testo dalla intensissima efficacia drammatica, citato anche da Fabrizio De André nella canzone Tre madri, dall’album La buona novella (1970).

Nella Basilica del Sacro Cuore del Cristo Re (in viale Giuseppe Mazzini 32) , progettata da Marcello Piacentini e costruita nel 1938, si conserva una delle più  monumentali fra le Via Crucis romane: essa è opera di Alfredo Biagini (1886-1952), scultore di gusto classicista particolarmente attivo nel panorama artistico romano a cavallo fra primo e secondo Novecento. Sono opera del Biagini anche alcune delle stazioni bronzee della Via Crucis della Basilica di Sant’Eugenio (in via delle Belle Arti 10).

Basilica del Sacro Cuore del Cristo Re [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC ND]
Basilica del Sacro Cuore del Cristo Re [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC ND]
La drammatizzazione della Via Crucis si compone di molteplici suggestioni, e le fonti a cui nei secoli essa ha attinto non sono costituite dai soli Vangeli canonici, ma anche da quelli apocrifi. Dal Vangelo di Nicodemo (compreso fra i Vangeli della Passione e della Resurrezione) proponiamo la descrizione del personaggio del Cireneo che, presente anche nella versione canonica, appare qui ancor più caratterizzato:

Gesù, camminando e portando anche la croce, giunse fin presso la porta della città di Gerusalemme. Ma siccome, a causa delle molte percosse e del peso della croce, non poteva più andare avanti, i Giudei, per il desiderio che avevano di crocifiggerlo al più presto possibile, gli tolsero la croce e la diedero a un tale, che per caso si era imbattuto in loro, mentre tornava dai campi, di nome Simone, il quale aveva anche due figli, Alessandro e Rufo, ed era della città di Cirene. Diedero dunque la croce a costui, non per compassione di Gesù e per alleggerirlo del peso, ma desiderando, come si è detto, giustiziarlo più in fretta.

Nella Via Crucis della chiesa di San Giuseppe al Cottolengo (in via di Valle Aurelia 62), inaugurata nel 1979 (i lavori ebbero inizio nel 1962), l’artista Tino Perrotta dà a Simone di Cirene le fattezze di Giovanni Paolo II, che visitò la chiesa nel 1988.

Questo episodio non è contenuto nei Vangeli canonici, bensì negli apocrifi del Ciclo di Pilato, incluso fra i Vangeli della Passione e della Resurrezione. Così Veronica a Pilato:

Quando il mio Signore andava in giro predicando, poiché io soffrivo troppo a rimaner privata della sua presenza, volli farmene dipingere il ritratto, di modo che, quando fossi priva della sua persona, mi offrisse almeno conforto la vista della sua immagine. Ma mentre portavo una tela ad un pittore, perché la dipingesse, il mio Signore mi venne incontro e mi domandò dove andavo. Io gli confessai il motivo per cui mi ero messa in cammino ed egli allora mi chiese il panno e me lo restituì segnato dall’impronta del suo venerabile volto.

La cosiddetta “Veronica” è pertanto il telo, quasi un sudario, con cui la donna asciugò il volto di Cristo, bagnato dal sudore e dal sangue: miracolosamente l’immagine del volto rimase impressa sulla stoffa. La Veronica, che per lungo tempo fu conservata all’interno di uno dei quattro pilastri che sorreggono la cupola della Basilica di San Pietro, era una delle reliquie più preziose della cristianità, adorata da folle di pellegrini. Così Giovanni Villani nella sua Cronica (1348) descrive il fervore religioso che anima la Roma dell’anno giubilare 1300, il primo della storia: «E per consolazione de’ cristiani pellegrini, ogni venerdì o dì solenne di festa, si mostrava in San Piero la Veronica del sudario di Cristo». Non è ben chiaro quale, fra i vari esemplari custoditi in vari santuari d’Europa, sia l’autentico Santo Velo, ammesso che esso esista ancora…

Basilica di San Pietro, Statua di Santa Veronica [Fonte: Wikimedia Commons, CC BY NC, image by Vitold Muratov]
Basilica di San Pietro, Statua di Santa Veronica [Fonte: Wikimedia Commons, CC BY NC, image by Vitold Muratov]Il nome “Veronica” deriva dal greco Berenikè, cioè «apportatrice di vittoria», ma l’assonanza con le parole “vera icona”, cioè “vera immagine”, ha portato ad associare il nome alla stoffa sacra contenente appunto l’autentica impronta del volto di Cristo.

Nel corso della storia, fra i più appassionati ed attenti visitatori di Roma certamente annoveriamo Johan Wolfgang von Goethe (1749-1832). Eppure, accanto alle numerose, minuziose e avvolgenti descrizioni goethiane di paesaggi e momenti di vita popolare romani, sorprendentemente scarsi sono i riferimenti alla Settimana Santa e alla Via Crucis. Infatti, se da un lato egli dedica pagine e pagine al vivace Carnevale romano, quasi nulla invece racconta a proposito della Pasqua: «Roma, 14 marzo 1788. La prossima settimana, qui, non ci sarà modo di pensare né di far nulla: bisognerà tener dietro al profluvio delle solennità religiose. Dopo Pasqua vedrò ancora alcune cose che mi son rimaste da vedere […]». E pochi giorni dopo, il 22 marzo: «Oggi non andrò a San Pietro e voglio scrivere un piccolo foglio. Anche la Settimana Santa, con le sue meraviglie e le sue seccature, è conclusa; domani ci faremo benedire un’altra volta, e poi l’animo si volgerà tutto a un nuovo modo d’esistenza». E questo è quanto. Forse le sue radici protestanti lo tennero distante dall’ardore della fede cattolica…

Invece, fra i 2279 sonetti composti da Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863), certamente almeno uno doveva essere dedicato al tema! In Li crocifissi der venardì-santo (28 marzo 1834) sette sono le croci contate dal poeta, quelle che era necessario visitare per ottenere l’Indulgenza plenaria:

Seggna: uno er Croscifisso a Ssan Marcello,
dua quello de li Padri Passionisti,
tre er Cristo der Gesú: poi doppo ho vvisti
li dua der Pianto e dder Zarvatorello,
che ffanno scinque: eppoi la Morte, e cquello
der Culiseo. Dunqu’io, tra bboni e ttristi,
ho vvisitato sette Ggesucristi:
er conto è cchiaro pe cchi ttiè ccervello.
Eppoi, guarda: io sò usscito co un carlino:
a oggni Croscifisso j’ho bbuttato
un bajocco in ner zòlito piattino:
e mmó ddrent’in zaccoccia m’è arrestato
mezzo bbajocco,… ebbè, ssor chiacchierino,
quanti Nostrisiggnori ho vvisitato?

Lo seguiva una grande folla di popolo e di donne che facevano cordoglio e lamento per lui. [Lc 23,27-28].

Nella primavera del 2016 (13 febbraio-1 maggio) presso il Palazzo delle Esposizioni fu allestita una bella mostra dedicata alla Via Crucis dipinta dal noto artista colombiano Fernando Botero (1932), il cui stile è facilmente riconoscibile per via delle fattezze esasperatamente tondeggianti con cui egli ritrae figure umane, animali ed oggetti. La sproporzione rotonda delle figure boteriane, usualmente ironica, nel contesto tragico della Passione di Cristo piuttosto amplifica la tensione drammatica di questa sofferenza, percepita dal pittore come dramma universale, della intera umanità.

È tuttora in commercio il catalogo della mostra, e alcune delle tele sono disponibili al link
https://www.palazzoesposizioni.it/media/botero-via-crucis-la-passione-di-cristo-gallery
.

Nel 1999 il poeta Mario Luzi scrisse un ciclo di poesie per la Via Crucis al Colosseo, una meditazione poetica sulla Passione, la morte e la Resurrezione di Gesù, rivolta ai credenti e ai laici.

Per chi volesse cimentarsi in una (non lunga) passeggiata lungo la Via Crucis, ecco il bel percorso che si inerpica lungo la Via di San Pietro in Montorio, da Via Garibaldi salendo verso la Reale Accademia di Spagna e la adiacente chiesa San Pietro in Montorio, lungo il crinale del Gianicolo.

Qui si possono contare, gradino dopo gradino, 14 edicole in terracotta, realizzate nel 1957. Tuttavia la originaria Via Crucis risale al 1731, quando le prime edicole (autori Giovanni Angelo Gregori e Francesco Antonio Costa) vennero collocate lungo la salita al fine di offrire al fedele la possibilità di compiere un duplice tributo: a Gesù, del quale si ripercorre la faticosa ascesa al monte Calvario (qui appunto il Gianicolo), e a San Pietro, al quale è dedicata la chiesa di San Pietro in Montorio, punto di arrivo del percorso. La serie ‘700esca cadde però in rovina; fu pertanto sostituita da altri pannelli, realizzati dagli studenti della vicina Reale Accademia di Spagna, prima nel 1873 e poi nel 1909. L’usura del tempo non risparmiò neanche queste versioni, e solo nel 1957 vennero collocati i 14 rilievi in terracotta che possiamo vedere oggi (in parte consumati anch’essi), opera dello scultore spagnolo Carmelo Pastor Pla (1924-1966).

Via di San Pietro in Montorio, Via Crucis [Fonte: Wikimedia Commons, CC BY NC, image by Lalupa]
Via di San Pietro in Montorio, Via Crucis [Fonte: Wikimedia Commons, CC BY NC, image by Lalupa]
I soldati dunque, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una parte per ciascun soldato. Presero anche la tunica, che era senza cuciture, tessuta per intero dall’alto in basso. Dissero dunque tra di loro: “Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocchi”; affinché si adempisse la Scrittura che dice: Hanno spartito fra loro le mie vesti, e hanno tirato a sorte la mia tunica. Questo fecero dunque i soldati. [Gv 19, 23-24].

Presso la GNAM-Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea (Via delle Belle Arti 131) è esposta la Crocifissione di Renato Guttuso, olio su tela del 1941. In primo piano, alcuni degli strumenti della Passione e, fra questi, i dadi con i quali i soldati si giocarono a sorte la spartizione della tunica di Cristo, nel quadro poggiata sul dorso del cavallo. I dadi qui sono tenuti fra le mani dell’uomo che reca anche la lancia sulla punta della quale è una spugna, quella imbevuta dell’aceto con cui Gesù fu dissetato.

Quando furono giunti al luogo detto il Teschio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. [Lc 23,33-34]

Nella sala 32 della Collezione di Arte contemporanea dei Musei Vaticani è esposta la bellissima Croce bronzea dell’artista giapponese Kenjirō Azuma (1926-2016), realizzata nel 1968 per un convento svizzero. La croce è monumentale (cm 280 × 160), dalla materialità ruvida e pesante. Si tratta di un’opera d’arte religiosa alla quale il linguaggio artistico dell’epoca (sono gli anni della tendenza dell’Arte povera), nonostante sia essenziale nei materiali e sintetico nelle forme, ha saputo conferire comunque una grande forza espressiva.

Musei Vaticani, Kenjirō Azuma, Crocifisso
Musei Vaticani, Kenjirō Azuma, Crocifisso
Era circa l’ora sesta, e si fecero tenebre su tutto il paese fino all’ora nona; il sole si oscurò. La cortina del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio”. Detto questo, spirò. [Lc 23, 44-46].

La sommità del Monte dei Cocci era il punto di arrivo della Via Crucis romana, in evidente riferimento al Monte Calvario. La processione muoveva dalla attuale Piazza della Bocca della Verità, toccava la cosiddetta “Casa di Pilato” (vedi stazione I), proseguiva poi verso Santa Maria in Cosmedin, raggiungeva il cosiddetto Arco di San Lazzaro in Via Marmorata e giungeva infine sulla cima del Monte Testaccio. La croce vi fu collocata il 24 maggio 1914, il giorno in cui l’Italia ufficialmente entrò nel primo conflitto mondiale.

Croce sul Monte dei Cocci [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC ND]
Croce sul Monte dei Cocci [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC ND]
C’era un uomo, di nome Giuseppe, che era membro del Consiglio, uomo giusto e buono, il quale non aveva acconsentito alla deliberazione e all’operato degli altri. Egli era di Arimatea, città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. E, trattolo giù dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo mise in una tomba scavata nella roccia, dove nessuno era ancora stato deposto. [Lc 23, 50-53]

Proponiamo due celebri opere, che non hanno bisogno di commenti: la bellissima Deposizione di Daniele da Volterra (1544), conservata presso la Cappella Orsini della chiesa della Santissima Trinità dei Monti…

Chiesa della Trinità dei Monti, Daniele da Volterra, Discesa alla Croce [Fonte: Wikimedia Commons, PD]
Chiesa della Trinità dei Monti, Daniele da Volterra, Discesa alla Croce [Fonte: Wikimedia Commons, PD]… e la altrettanto nota Deposizione di Raffaello Sanzio (conosciuta anche come Pala Baglioni, o Deposizione Baglioni; 1507) conservata presso la Galleria Borghese.

Galleria Borghese, Raffaello Sanzio, Pala Baglioni [Fonte: Wikimedia Commons, PD]
Galleria Borghese, Raffaello Sanzio, Pala Baglioni [Fonte: Wikimedia Commons, PD]
Era il giorno della Preparazione, e stava per cominciare il sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; guardarono la tomba, e come vi era stato deposto il corpo di Gesù. Poi tornarono indietro e prepararono aromi e profumi. Durante il sabato si riposarono, secondo il comandamento. [Lc 23,54-56]

Concludiamo la nostra rassegna di opere e luoghi relativi alla Passione e alla morte di Cristo con la Deposizione che Caravaggio dipinse intorno al 1602 per la Cappella della famiglia Vittrice in Santa Maria in Vallicella; il quadro è oggi conservato presso la Pinacoteca dei Musei Vaticani, mentre nella cappella della chiesa è presente una copia ottocentesca del pittore austriaco Michele Koeck.

L’opera caravaggesca mostra il corpo di Cristo già deposto dalla croce ma non ancora adagiato all’interno della tomba; la salma infatti sta per essere poggiata da Giovanni e Nicodemo sulla pietra su cui verrà unta e preparata per la sepoltura (la Pietra dell’Unzione), lastra con la quale verrà poi chiuso il sepolcro. Intorno alle figure maschili stanno, lacerate dal pianto, la Vergine, Maria Maddalena e Maria di Cleofa.

Pinacoteca Vaticana, Michelangelo Merisi da Caravaggio, Deposizione [Foto: Wikimedia Commons, PD]
Pinacoteca Vaticana, Michelangelo Merisi da Caravaggio, Deposizione [Foto: Wikimedia Commons, PD][Chiara Morabito, storica dell’arte ed educatrice didattica, 24 gennaio 2021]

La Via Crucis a Roma: luoghi, opere, scrittori


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