Martedì 30 Marzo 2021 11:03
Le inutili e strumentali polemiche su Dante, la Commedia e le sue fonti: classiche, arabe, cristiane
“In casa del conte Fries, oltre ai mercanti d’arte, s’incontravano anche letterati … Il colloquio con costoro non era agevole.
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Come si evince dal testo di Maria Corti, il Libro della Scala è conosciuto non soltanto dai dantisti contemporanei, ma anche da quelli antichi, come Fazio degli Uberti e Roberto Caracciolo da Lecce. D’altronde, che la cultura occidentale, nel XIII sec., avesse contratto molti debiti nei confronti di quella islamica, è dimostrato dalle numerose traduzioni che dotti arabi ed ebrei, nelle università del mondo arabo (Cordoba in primo luogo), portavano a termine: dal greco in arabo venivano tradotte molte opere di Aristotele e di Platone (e di molti altri scrittori della Grecia classica); dall’arabo al latino le medesime opere, le quali andavano ad alimentare e arricchire il curriculum studiorum di filosofi cristiani quali Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Bonaventura da Bagnoregio, Sigieri di Brabante. Che Dante fosse al corrente di questo fermento culturale e di questo “commercio” fra differenti e a volte opposti filoni filosofico-religiosi, lo dimostra egli stesso, nel Canto IV dell’Inferno, là dove il poeta ha modo di vedere “gli spiriti magni”, e del quale è doveroso ricordare i versi dal 130 al 144:
“Poi ch’innalzai un poco più le ciglia,/ vidi ‘l maestro di color che sanno/ seder tra filosofica famiglia./ Tutti lo miran, tutti onor li fanno:/ quivi vid’io Socrate e Platone,/ che ‘nnanzi alli altri più presso li stanno;/ Democrito, che ‘l mondo a caso pone,/ Diogenès, Anassagora e Tale,/ Empedoclés, Eraclito e Zenone;/ e vidi il buon accoglitore del quale,/ Dioscoride dico; e vidi Orfeo,/ Tullio e Lino e Seneca morale;/ Euclide geometra e Tolomeo,/ Ipocràte, Avicenna e Galieno,/ Averoìs, che il gran comento feo.”
In questa mirabile rassegna (che sembra prefigurare, in forma poetica, la Scuola d’Atene dipinta da Raffaello, nelle stanze vaticane, ben due secoli dopo), non potevano mancare, accanto al “maestro di color che sanno” (Aristotele), e ad altri grandi spiriti greci e latini, anche due celebri rappresentanti della cultura araba, quali Avicenna ed Averroé.
Per concludere il discorso sulle fonti della Commedia (questo grande e maestoso fiume alimentato da numerosi affluenti, ma a questi assolutamente non riducibile), e in particolare sui precedenti viaggi nei regni dell’oltretomba, mi preme citare, altre ai due classici esempi della discesa agli Inferi di Ulisse (Odissea, Libro XI) e di Enea (Eneide, Libro VI), quella narrata, nell’VIII sec. d. Cr., dal Venerabile Beda, monaco benedettino inglese (673 – 735), nella sua Historia ecclesiastica gentis Anglorum. In uno dei capitoli di quest’opera, un uomo della Northumbria di nome Drychtelm, dopo la morte apparente avvenuta al tramonto e il suo risveglio all’alba, narra alla moglie il viaggio (onirico) che, in un tempo indefinito e indefinibile (la logica dei sogni è svincolata tanto dallo spazio quanto dal tempo), egli ha compiuto nei tre regni oltre-mondani: Inferno, Purgatorio, Paradiso; un viaggio che ha un angelo come guida; un viaggio che si dispiega attraverso una perigliosa discesa in un burrone spaventoso (Inferno), in una valle del freddo e del fuoco (Purgatorio), in un magico luogo della musica e della luce (Paradiso). Non è necessario soffermarsi sui particolari di questo viaggio (Jorge Luis Borges, in uno dei suoi Saggi danteschi, dal titolo Dante e i visionari anglosassoni, ne parla diffusamente), basta solamente affermare che si tratta di una delle fonti, questa volta cristiana, che alimentano il grande fiume della Commedia.
Ma poiché ci siamo imbattuti, per l’ennesima volta, nel grande bibliotecario cieco di Buenos Aires,
è doveroso concludere con le parole finali del succitato saggio: “Un grande libro come la Divina Commedia non è l’isolato o casuale capriccio di un individuo; molti uomini e molte generazioni tesero ad esso. Investigarne i precursori non significa incorrere in un mirabile compito di carattere giuridico o poliziesco; significa indagare i movimenti, i tentativi, le avventure, i barlumi e le premonizioni dello spirito umano”. Sagge e illuminate parole, che fanno giustizia di caotici “rumori” e di polemiche senza senso.La Divina Commedia e i suoi personaggi: un sogno popolato da numerosi sogni