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Lunedì 17 Maggio 2021 08:05

Il Papa e il Samurai

STORIE CONTROMANO: HASEKURA TSUNENAGA / La straordinaria vicenda del Samurai che soggiornò al Quirinale e che, per un attimo, provò a trasformare il Giappone in un paese cristiano

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Chi vive a Civitavecchia si sarà chiesto più volte perché nella città portuale a nord della Capitale, lungo viale Marconi, non distante da Porta Livorno, vi sia una statua dedicata a un samurai giapponese. Forse si sarà anche chiesto come mai, in una chiesa di quella stessa cittadina portuale, raffigurata al centro dell’affresco posto sull’abside, fra le figure di San Francesco Saverio e San Francesco d’Assisi, via sia una curiosa Madonna col Kimono, dagli inconfondibili lineamenti nipponici.

I visitatori del Quirinale, invece, avranno potuto notare che, nel grande Salone dei Corazzieri del palazzo oggi sede della Presidenza della Repubblica, c’è un affresco barocco, raffigurante un gruppo di giapponesi, abbigliati nei loro sfarzosi ed esotici costumi orientali, che conversano con un misterioso frate francescano.

Ebbene, queste opere non sono il frutto della creatività bizzarra di alcuni artisti, magari affascinati dalla cultura del Sol Levante, bensì ciò che resta della vicenda avventurosa e poco nota di Hasekura Tsunenaga, un samurai vissuto fra la fine del cinquecento e i primi decenni del seicento, che raggiunse Roma, dopo essere sbarcato pochi giorni prima nel porto di Civitavecchia, per convincere gli europei ad aprire rotte col Giappone ed evangelizzare quel lontano paese.



Sebbene il suo nome non sia rimasto scolpito nella memoria collettiva, Hasekura Tsunenaga vanta il merito di essere stato, in assoluto, il primo ambasciatore giapponese ad essere accolto dal Papa. Per quasi tre secoli, fino alla fine dell’Ottocento, resterà anche l’ultimo, poiché il Giappone – proprio in seguito al fallimento della sua missione diplomatica – sceglierà di rimanere a lungo isolato dal resto del mondo.

È il 18 ottobre del 1615 quando una nave sbarca nel porto di Civitavecchia. A bordo c’è un gruppo di alti dignitari giapponesi in missione ufficiale. Sono guidati dal samurai un tempo chiamato Hasekura Tsunenaga, colui che, più di recente, dopo la sua conversione al cristianesimo, ama invece farsi chiamare col nome occidentale di don Filippo Francesco Hasekura (bizzarramente storpiato dagli europei in Faxicura), nome che verrà poi riportato nelle cronache a noi pervenute, che ci raccontano di quei giorni lontani e di quella singolare vicenda.

Insieme a loro c’è anche un frate spagnolo, Padre Luis Sotelo, un francescano, vissuto a lungo in oriente, che nel gruppo ha assunto il ruolo di guida, d’interprete, ma che, in cuor suo, culla anche un sogno e un’ambizione personale di non poco conto: quella di venire nominato dal Papa, una volta incontratolo a Roma, Vescovo del Giappone.

Che ci fa un gruppo di dignitari giapponesi, un paese all’epoca piuttosto isolato, in missione ufficiale verso Roma? E come mai un samurai si era convertito al cristianesimo? E poi perché aveva portato con sé un frate francescano? Per capirlo, bisogna tornare indietro di qualche decennio, alla fine del cinquecento e alla missione di San Francesco di Sales, il gesuita partito nel 1549 per evangelizzare le lontane isole del Sol Levante.



Nonostante l’ostilità delle autorità giapponesi, in un paese all’epoca dominato dagli Shogun, i feudatari che guidavano il Giappone con pugno di ferro – ostilità che culminerà nel 1597 con l’uccisione di 26 missionari cristiani – il cristianesimo, contro ogni previsione, stava prendendo ampiamente piede fra le popolazioni giapponesi, grazie alla predicazione sia dei gesuiti che dei francescani, che cominciavano ad affluire in quelle isole. Fra questi anche Padre Sotelo.

Se dunque gli Shogun e molti dignitari guardavano con crescente sospetto questa nuova religione, altri cominciavano ad accoglierla con più favore. Era il caso, ad esempio, del governatore di Sendai, Date Masamune, che nei suoi territori si mostrò molto tollerante nei confronti dei cristiani.

Al di là dei motivi religiosi, c’erano soprattutto motivi economici e politici a spingere alcuni notabili giapponesi verso un’apertura agli occidentali: intravedevano con questo, la possibilità di aprire nuove rotte commerciali e di acquisire le nuove tecnologie in cui l’occidente dell’epoca sopravanzava il Giappone.

Così, agli inizi del Seicento, gli Shogun si decisero ad autorizzare delle missioni esplorative, rivolte verso la corona di Spagna, che in quegli anni aveva il monopolio delle rotte del Pacifico, dominava il continente americano ed era divenuta, di fatto, la principale se non unica potenza europea ad avere contatti col Giappone.

Nel 1613, fu proprio Date Masamune ad essere incaricato dallo Shogun di sondare la situazione. A lui fu affidato il compito di organizzare un’ambasciata ufficiale, diretta verso il Messico e la Spagna, per aprire nuovi commerci.



Date Masamune capì che quella poteva essere anche la sua grande occasione per tentare una scalata al potere, provando a divenire lui il prossimo Shogun del Giappone, proprio grazie all’appoggio degli spagnoli. Nell’organizzare la spedizione, affidò dunque a un fervente missionario come Padre Sotelo il ruolo di interprete, con l’intenzione di proporre al viceré del Messico e al re di Spagna carta bianca per evangelizzare le isole nipponiche, in cambio di accordi commerciali, politici e strategico militari. A capo della missione viene nominato Hasekura Tsunenaga.

Dopo tre mesi di navigazione nell’Oceano Pacifico, l’equipaggio della missione giapponese, forte di 180 uomini, sbarca ad Acapulco. Il folto gruppo soggiorna per qualche tempo in Messico, incontrandone il viceré, prima di riprendere poi il viaggio sull’Atlantico, con rotta verso la Spagna.

Giunti in Europa, la prima sosta avviene a Siviglia, dove i giapponesi vengono accorti all’Alcazar come fossero dei monarchi, per proseguire poi, via terra, verso Madrid. Nel gennaio del 1615, l’ambasciata raggiunge finalmente la capitale del vasto impero spagnolo e viene accolta dal re di Spagna, Filippo III.

Nel frattempo però, a insaputa della spedizione giapponese, le cose nel paese del Sol Levante sono cambiate in modo piuttosto radicale. C’è un nuovo clima in Giappone, molto ostile nei confronti dei cristiani. Lo Shogun, già a partire dal 1614, ha promulgato nuove leggi molto restrittive, per mettere al bando il cattolicesimo.

Se Hasekura Tsunenaga e i suoi ignorano tutto ciò, non altrettanto può dirsi del re di Spagna, alle cui orecchie queste voci sono giunte e che, pertanto, si chiede quale autorevolezza abbia ora quell’ambasciatore, giunto fino a lui per proporgli la cristianizzazione del Giappone, visto che il Giappone pare stia andando in tutt’altra direzione.

Inoltre, anche gli accordi economici ventilati dai giapponesi, che autorizzerebbero l’apertura di rotte commerciali nel Pacifico per le navi nipponiche, rischiano di essere un cavallo di troia che potrebbe far perdere alla Spagna il monopolio dei commerci in quell’oceano, aprendo, di fatto, le rotte non solo agli orientali, ma anche ad alcuni temibili rivali europei, come gli inglesi e gli olandesi.



Per tutte queste ragioni, il re Filippo è titubante. Certo però, quel cattolicissimo re, non può restare insensibile rispetto all’altrettanto cattolicissimo Hasekura, che decide di farsi battezzare ufficialmente proprio in quei giorni e alla presenza del re di Spagna, assumendo il nuovo nome cristiano di Filippo Francesco.

Così, per non creare incidenti diplomatici e non scontentare nessuno, Filippo III decide di non decidere, scaricando abilmente sul Papa la responsabilità della scelta. Stabilisce infatti che sarà il sommo pontefice, dall’alto della sua sapienza e della luce divina che lo illumina, a poter dire l’ultima parola sulle proposte avanzate da quel gruppo di giapponesi, che vogliono aprire alla parola di Cristo dei territori così lontani.

Eccoci così tornati al 18 ottobre del 1615, nel porto di Civitavecchia. Hasekura, che ha lasciato la Spagna e si è imbarcato alla volta dell’Italia, per recarsi a colloquiare col Papa, ha concluso la sua navigazione in mare. Per alcuni giorni, la delegazione giapponese, sbarcata sul suolo dello Stato Pontificio, viene ospitata presso il Castello di Santa Severa. Poi il gruppo si trasferisce a Roma.

Ad ogni tappa, l’esotica delegazione viene trattata con tutti gli onori. Giunti nella Capitale della Cristianità, il Senato di Roma conferisce subito ad Hasekura il titolo onorifico di Cittadino Romano. I suoi nuovi concittadini, intanto, restano ammirati e incuriositi di fronte a questi bizzarri stranieri, rappresentanti di un popolo sconosciuto e dai curiosi comportamenti. “Non toccano mai il cibo con le mani, ma usano due sottili bacchette che tengono con tre dita”, scrivono, pieni di stupore, alcuni cronisti, nei resoconti di quei giorni.

Finalmente, a novembre del 1615, l’ambasciata giapponese fa il suo solenne ingresso al Palazzo del Quirinale, all’epoca residenza papale. Hasekura, Padre Sotelo e gli altri dignitari, giugono così a soggiornare proprio in quelle sale dove oggi è possibile vedere l’affresco che li ritrae. Il Papa sembra finalmente pronto a riceverli.



Sul soglio pontificio siede in quel momento Paolo V, ovvero il cardinale Camillo Borghese. Anche a lui, ultimamente, sono giunte voci insistenti sulla stretta anti cristiana da cui è attraversato da qualche tempo il territorio nipponico. Queste notizie creano nel Papa una forte diffidenza nei confronti di Hasekura e le stesse perplessità e titubanze che il samurai aveva potuto riscontrare a Madrid, al cospetto del re.

Evidenziando un’abilità diplomatica ancor più sopraffina di quella dimostrata da Filippo III, Paolo V decide perciò di compiere un gesto che, visto col senno di poi, può apparire come il non plus ultra del cerchiobottismo: accetta le proposte avanzate dal gruppo di giapponesi, si spinge persino a ventilare la nomina a Vescovo per Padre Sotelo, ma subordina tutte queste sue decisioni all’approvazione formale del Re di Spagna.

In altre parole: fingendo di approvare le proposte, rispedisce al mittente la patata bollente, restituendo agli spagnoli la responsabilità sulla decisione finale.

Lasciata Roma e tornato a Madrid, Hasekura, una volta in Spagna, vede naufragare tutti i suoi sogni. Il re, stavolta, non ha esitazioni nel declinare formalmente l’offerta di un trattato, non nascondendo più il sospetto di non ritenere l’ambasceria giapponese una delegazione ufficiale dello Shogun del Giappone, Tokugawa Ieyasu, poiché era ormai ufficialmente noto che costui avesse ordinato l’espulsione di tutti i missionari e cominciato la persecuzione della fede cristiana.

Per Hasekura non restava dunque che la via del ritorno in madrepatria, con in mano un pugno di mosche. Saranno in pochi a seguirlo. Molti giapponesi del suo seguito, anch’essi ormai convertiti al cristianesimo, resteranno in Spagna, fermandosi a vivere nei pressi di Siviglia, dove ancora oggi, guarda caso, è assai diffuso il cognome Japon.

Quando Hasekura arriva in patria – quella patria da cui manca ormai da diversi anni – si accorge subito che il Giappone è cambiato drasticamente da come egli lo ricordava: non solo è in atto una feroce persecuzione dei cristiani, ma il paese sta anche muovendosi verso quello che sarebbe passato all storia come il periodo “Sakoku“, ovvero un’era di assoluto isolazionismo, che chiuderà in se stesso il Giappone, per i secoli a venire.


Cosa sia poi stato di Hasekura nei suoi ultimi anni di vita, non è del tutto chiaro. Non vi sono fonti scritte a testimoniarlo, anche se sul suo conto sono fiorite numerose leggende. Alcuni sostengono che egli abbia abbandonato il cristianesimo, per sfuggire alle persecuzioni. Altri asseriscono che, al contrario, difese la sua fede così profondamente, da diventare un martire. Altri ancora, dicono che sia rimasto sì cristiano, ma solo nell’intimità, professandone i riti in gran segreto.

Hasekura morirà nel 1622, a 51 anni. Non si conoscono le cause del decesso. La sua tomba è ancora visibile nel tempio buddista di Enfukuji, nella prefettura di Miyagi.

 

L’immagine d’apertura, raffigura l’affresco seicentesco del Salone dei Corazzieri, dedicato ad Hasekura Tsunenaga e Padre Sotelo.

 

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