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Venerdì 11 Giugno 2021 12:06

Vicenda Saman: «Nessuna fatwa, giudicare con gli strumenti dell’ordinamento italiano»



La Grande Moschea di Roma e la Confederazione islamica italiana sul caso della 18enne pachistana scomparsa da oltre un mese, che si presume essere stata ammazzata per il rifiuto di un matrimonio combinato

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«La Grande Moschea di Roma e la Confederazione islamica italiana hanno già conferito mandato ai propri legali di fiducia di valutare la possibilità di costituirsi parte civile nel processo penale a carico di coloro che verranno ritenuti responsabili del delitto di Saman Abbas». È una nota a firma di Abdellah Radouane, segretario generale del Centro islamico culturale d’Italia, e di Abdellah M. Cozzolino, segretario generale della Confederazione islamica italiana, a rendere nota la presa di posizione sul caso della 18enne pachistana scomparsa da oltre un mese e che si presume essere stata ammazzata per il rifiuto a un matrimonio combinato. «Allo stesso tempo – affermano i due segretari generali – verrà valutata ogni iniziativa legale a tutela della comunità islamica contro ogni forma di strumentalizzazione mediatica della triste vicenda di Saman Abbas che ci offende e ci addolora profondamente. La vicenda – precisano – non ha assolutamente delle motivazioni di natura religiosa ma rimanda a tradizioni ancestrali e tribali che sono state importate da contesti lontani, misogini e sessisti, contrari all’ordinamento giuridico italiano ed europeo».

E continuano: «Una catena di dolore, vergogna e disperazione. Una subcultura che viene da lontano e che su “codici d’onore” disumani trova la forza bruta di ferire e perfino di uccidere. Violenza cieca che spinge a compiere delitti efferati e vigliacchi su donne ritenute come proprietà personale. Inciviltà delle relazioni familiari spesso dipinte con linguaggi e temi che del credente in Dio non hanno proprio nulla. La violenza esercitata sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità, è un fenomeno criminale di particolare allarme sociale in cui convergono una molteplicità di questioni – affermano ancora -. Il problema dei matrimoni forzati e, più in generale, dei diritti delle donne, va affrontato oltre che con l’inasprimento della pena, per finalità dissuasive, come previsto dalla legge 69/2019 – che all’Art. 7, prevede l’introduzione dell’Art. 558 bis del Codice Penale (Costrizione o Induzione al Matrimonio) – soprattutto con interventi preventivi sul piano culturale, che facilitino una trasformazione più equa delle relazioni di genere rispetto alla cultura d’origine. Occorrono interventi nelle scuole, nelle comunità e nella società, che favoriscano il recupero fondamentale della memoria storica per consolidare una coscienza e cultura civica capaci di condurre verso la condivisione dei valori democratici, di libertà e di giustizia, sanciti nella Costituzione italiana».

Per i rappresentanti della Grande Moschea di Roma e della Confederazione islamica italiana, «tutelare i diritti delle donne, anche quando lontane e diverse, richiede che vadano distinti e ben identificati i singoli aspetti della questione, per evitare di scivolare in una narrativa che strumentalmente riproponga confronti di matrice discriminatoria basati sull’intolleranza e sull’ostilità contro le minoranze». Quindi, prendono le distanze dall’iniziativa annunciata dall’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche d’Italia, che sulla vicenda era intervenuta proponendo una “fatwa” sul tema delle nozze combinate. «Il drammatico evento di Saman non può essere interpretato e declinato ricorrendo a pareri religiosi (fatwa, etc.) ma va esclusivamente inquadrato nella sua cornice criminale e giudicato con gli strumenti giuridici previsti dall’ordinamento italiano», chiosano il segretario generale del Centro islamico culturale d’Italia e il segretario generale della Confederazione islamica italiana.

11 giugno 2021

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