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Sabato 11 Settembre 2021 09:09

Roma Visiva | Terza giornata

Una passeggiata al calare della sera. Uno scorcio che conquista lo sguardo. Poi, la “scintilla”: un cartello che propone uno spazio in affitto. È nata così, come un colpo di fulmine, l’esperienza della libreria Al ferro di cavallo di Agnese de Donato. Già la mattina dopo quella passeggiata, infatti, aveva firmato per il locale ed […]

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Una passeggiata al calare della sera. Uno scorcio che conquista lo sguardo. Poi, la “scintilla”: un cartello che propone uno spazio in affitto. È nata così, come un colpo di fulmine, l’esperienza della libreria Al ferro di cavallo di Agnese de Donato. Già la mattina dopo quella passeggiata, infatti, aveva firmato per il locale ed era pronta ad aprire la sua libreria. É la viva voce di Agnese De Donato, in una videointervista d’epoca, con passi inediti, ad aprire l’ultima giornata di Roma Visiva, a Casa del Cinema, nel focus Agnese De Donato. Da libraria a fotografa nella Roma degli anni ’60 e ‘70; a cura di Greta Boldorini. «Fino a quando ha avuto la libreria, Agnese non ha mai fotografato – dice Boldorini – dal 1968 chiude completamente con i libri e diventa una fotoreporter. Lei stessa raccontava che diventa fotografa per caso, perché un amico le regala una macchinetta. La mette al collo e inizia a fotografare». Le sue foto si fanno testimonianza della vita di quegli anni e, soprattutto, della vitalità della scena romana. «L’archivio di Agnese De Donato è immenso – prosegue – una delle tipologie preferita da Agnese è il ritratto».  A scorrere sullo schermo sono immagini di molti artisti noti. Si va così da Renato Mambor, nel 1970 a Fregene, ad Alberto Moravia ed Andy Warhol, a Roma, durante gli incontri internazionali d’arte a Palazzo Taverna, nel 1972. Poi, Christo al lavoro su Porta Pinciana, nel 1974, in occasione di “Contemporanea”, a cura di Achille Bonito Oliva, per cui De Donato realizza un reportage, coinvolgendo i propri figli che immortala mentre interagiscono con le opere. Un modo per documentare il legame sempre più stretto tra arte e vita. Tra i ritratti, Mario Ceroli, Umberto Mastroianni, Natalia Ginzburg, Palma Bucarelli e molti altri. «Non usava nulla del classico armamentario del fotografo – sottolinea Boldorini – prediligeva l’approccio del fotoreporter, che, in strada, fotografa gli eventi come li vede. Non sono immagini in posa. Gli artisti sono davanti alle loro opere, ma non sono mai scatti da studio fotografico».  Dal suo archivio, anche scatti cinematografici, come quelli di Romy Schneider e Ugo Tognazzi, dal set de La califfa. Non mancano Jane Birkin, Charlotte Rampling, Vittorio De Sica e Luchino Visconti, Mariangela Melato, Monica Vitti, Carla Fracci, Rudolf Nureyev. Il teatro nelle cantine romane è un altro dei temi che ama immortalare. Il femminismo è portante, declinato in più modi, anche con copertine di riviste studiate per contestare gli stereotipi usati nella rappresentazione femminile, riproponendoli al maschile. E quando si parla di donne, si vedono lavori, momenti di incontro e scene di piazza gremite.

Dalle rivendicazioni di ieri alle battaglie di oggi. La pandemia ombra e gli Esquilini possibili è l’intervento di Sophie Chiarello dedicato al progetto di installazione fotografica, nato durante il primo lockdown, all’Esquilino, con obiettivi puntati su donne alle finestre e persiane chiuse. Insieme a Pangea Onlus e in partnership con la rete Reama, gli scatti si fanno, uno accanto all’altro, messaggio contro la violenza domestica. «Qui, le donne diventano la chiave del racconto che ci restituisce suggestioni, insicurezze, la percezione di quei giorni davvero complicati, che ancora non sembrano essere alle nostre spalle. La partnership con Pangea Onlus rafforza il messaggio contro la violenza sulle donne, tema purtroppo vivo», commenta Anna Bisogno, professore associato di Cinema Radio Televisione presso l’università Mercatorum, che introduce gli eventi. Sophie Chiarello esce in strada in quei giorni, con i suoi cani, e nelle strade vuote, la sua attenzione cade sulle finestre. Parla con un’amica affacciata e le fa un ritratto. Inizia così quel percorso di scatti, che è viaggio per rintracciare volti noti ma anche percorso alla ricerca di volti mai visti, a volte “invisibili”. Chiarello mostra gli scatti, uno dopo l’altro, in un susseguirsi di facce sorridenti, felici di quell’incontro inatteso ma caloroso, seppure a distanza. Tra i visi sereni, però se ne nascondono altri tristi, preoccupati, ansiosi. Ad essere composta è quella che l’autrice definisce una «trama di affetti»: «Sono donne che scelgono ogni giorno dove stare, donne che fanno la differenza nella vita del quartiere e nella mia – prosegue – il mio sguardo non può non soffermarsi però anche sulle finestre chiuse». Interrogandosi su quelle finestre che non lasciano filtrare luci, Sophie Chiarello immagina la vita all’interno degli spazi e pensa alla violenza domestica. L’idea iniziale è creare un collage con quei volti, ma la visione poi si amplia, grazie all’incontro con Simona Lanzoni, vicepresidente Pangea Onlus. Sullo schermo di Casa del Cinema, le foto cedono il posto ai numeri, imponenti e drammatici, delle vittime.  «La pandemia – commenta Lanzoni – ha evidenziato ancora di più il problema della violenza sulle donne, visto che le ha costrette a restare in casa. Il Covid ha dato una grande mano alla violenza, ad esprimersi ancora di più, specie nella violenza domestica. Nel primo momento di lockdown, c’è stato un silenzio tombale. Non arrivavano chiamate. Ci siamo allarmate. Abbiamo detto: c’è un problema. Il 1522 si è rafforzato. C’erano donne che chiamavano chiuse in bagno, per non farsi sentire dal marito, o quando il marito era a fare la spesa. O magari mentre era lì e urlava oltre la porta. Finito il lockdown, c’è stato un picco di richieste di aiuto. Nell’ultimo lockdown di quest’anno, c’è stato di nuovo un momento di silenzio, ho pensato “le donne stanno perdendo la speranza”, invece poi, hanno cominciato a chiamare».  Si parla pure di casi, guardando ai più recenti, e di codice rosso, sentenze, misure che dovrebbero essere applicate. «Troppo spesso – continua Lanzoni – le donne vittime di violenza rinunciano a intraprendere un percorso di denuncia perché perdono la speranza, non sanno che c’è tutta una rete pronta a sostenerle». Sophie Chiarello riprende la sua narrazione: «In un momento in cui “restare a casa” vuol dire stare al sicuro, le finestre chiuse evocano luoghi insicuri e finestre aperte uno spazio di affermazione di libertà: l’esterno può entrare dentro, l’interno può uscire fuori». Le immagini di quei volti si fanno mosaico per sollecitare attenzione, interrogativi, riflessione. Intento, contribuire a «costruire un’identità culturale differente per le giovani generazioni».

A chiudere la mattinata è Mater Asilo di Maria Crispal, con la supervisione di Laura Cherubini, per meditare sul tema della donna, tramite le azioni artistiche nella storia contemporanea, in rapporto con la scena capitolina. Introduce l’incontro, l’Assessora alla Crescita Culturale, Lorenza Fruci. «Maria Crispal – dice Laura Cherubini – è un’artista delle ultime generazioni. Usa principalmente la performance, linguaggio artistico che è stato molto importante e attraverso cui, in molte occasioni, è passato il messaggio politico dell’arte. La performance è stata molto praticata al femminile. Ho visto nascere le performance di Vanessa Beecroft, studentessa in Accademia. Ho visto il diario alimentare, in cui annotava tutti i giorni quello che introduceva nel corpo, e quei meravigliosi disegni in cui le ragazze avevano i capelli del colore di ciò che avevano mangiato. La mandammo a fare la prima performance della sua vita, a Milano. I disegni erano sparsi a terra, su sgabelli, su scrivania e si potevano sfogliare, una cosa contraria a tutte le leggi della conservazione, ma molto efficace per il rapporto intimo che si creava con lo spettatore». Ad essere richiamati sono anche il lavoro di Tomaso Binga e il viaggio drammatico di Pippa Bacca. «Maria Crispal lega il tema della femminilità al web, lega l’energia femminile a quella della Rete, pensando a un grande utero, una grande macchina, un grande madre, cui tutti siamo connessi, ritenendo che l’energia femminile possa in qualche modo far esplodere la potenzialità della Rete, che finora abbiamo visto spesso esplicitarsi in un discorso di solitudine, che invece potrebbe essere di connessione», aggiunge Cherubini. E Maria Crispal ribadisce: «Il potere della madre è proprio della donna, ancora misterico, molto bistrattato, pensiamo alle donne in Afghanistan relegate alla procreazione. La mia ricerca sta continuando, portando avanti il femminino, il concetto di madre, il mistero che avvolge la donna, corpo alchemico molto complesso». A illustrare la filosofia, la documentazione video di alcune performance dell’artista, dal Maxxi alla street performance. «Nella performance del Maxxi, è forte il carattere di ritualità», evidenzia Cherubini. È nelle dinamiche, nelle forme, nei versi, unione di frasi da film, sentenze note, pensieri. «Gli “Slogong” sono una sintesi tra slogan e song. Sono come un canto delle sirene volto a incantare o a risvegliare», specifica l’artista. Importanti come elementi della sua ricerca, la favola e il suo ribaltamento. «Maria Crispal legge Roma come una grande madre – afferma Laura Cherubini – credo sia un’idea fortissima nella città di Roma, ma Crispal la legge anche come grande utero web. È una lettura di Roma come città femminile e come grande luogo di connessione del mondo».

Ad aprire il programma del pomeriggio è Laura VdB Facchini, artista visiva e fondatrice dell’Associazione Culturale Wind Mill, con Women Visual Artists Database tributa le figure di Mimì Quilici Buzzacchi e Laura Grisi a Roma. Facchini ricorda il suo rapporto anche personale con l’arte di Mimì Quilici Buzzacchi: «Ho sentito parlare di Mimì Quilici dal momento in cui sono  nata. Aveva regalato due quadri per il matrimonio dei miei genitori. Questi quadri sono appesi in casa dei miei da oltre sessant’anni, Ogni giorno ho visto quei dipinti, sono stati fonte di grande ispirazione e sostegno». Decisa fin da piccola a dedicarsi all’arte, Laura Facchini, da ragazza, è sconfortata dal fatto di non trovare riferimenti alle donne artiste nei libri di storia dell’arte e nei musei, arriva perfino a pensare di darsi un nome maschile. Sono proprio i quadri di Mimì a darle forza. «Vedere i suoi quadri per me è stato fondamentale», sottolinea. Ripercorrendo il proprio percorso personale, Facchini rimarca l’importanza di fare rete tra donne. Da qui, l’idea del progetto Women Visual Artists Database per tutte le artiste di genere femminile del XX e XXI secolo. La figura di Mimì Quilici è indagata pure attraverso le parole del nipote Simone: «Ha vissuto della sua arte. Si associò a varie associazioni proto-femministe. Negli anni Cinquanta, c’erano varie associazioni di donne artiste. Era battagliera». Altrettanto interessante la figura di Laura Grisi. «Io mi domando – dice Laura Facchini – Come mai Laura Grisi che era così considerata a livello internazionale non è inserita nelle storie d’arte italiana e le sue opere non erano, già all’epoca, nelle gallerie d’arte contemporanea, quando i suoi colleghi, che non avevano questi riconoscimenti internazionali, erano largamente incensati e inseriti?».  L’interrogativo è invito a ragionare su difficoltà e spazi per le donne nell’arte. La relazione si chiude con “Florilegio”, azione artistica con cui Facchini omaggia le due artiste.

Ritratti Romani: lo sguardo fotosensibile di Ghitta Carell è l’intervento a cura di Lidia Giusto dedicato alla fotografa ungherese Ghitta Carell, che, a cavallo degli anni Trenta e Quaranta del Novecento, decise di aprire uno studio a piazza del Popolo e fu rapidamente considerata l’interprete ufficiale del potere del periodo. Fotografa e archivista, Lidia Giusto approfondisce la tecnica di Ghitta Carell. E la vita, ovviamente. «È in una serie di rapporti molto stretti con note personalità femminili del Ventennio, anticonvenzionali, determinate ed emancipate, il contesto in cui il lavoro di Ghitta come fotografa e abile in tessitrice di relazioni procede senza sosta. Nel ’33 esegue una serie di ritratti di Mussolini», spiega. «La promulgazione delle leggi razziali sconvolge anche la vita di Ghitta Carell. Non verrà perseguitata dal fascismo, ma sarà controllata in quanto ungherese ed ebrea.  Il suo ruolo e il suo nome cominceranno a diradarsi dal 1939». Negli anni Cinquanta, la fotografa inaugurerà due mostre, con scatti perlopiù degli anni Trenta, periodo cui rimarrà molto legata nell’immaginario comune. Tra i ritratti realizzati dall’artista, quelli di Pio XII, Mussolini, Sarfatti e molti. Il Fondo Ghitta Carell, nell’Archivio Storico Fotografico della Fondazione 3M, a Milano, «contiene 15 lastre originali e 2806 stampe, realizzate con la tecnica a contatto dalle lastre originali negli anni Sessanta, che documentano l’attività della fotografa dal 1920 al 1950». Il lavoro negli archivi è oggetto di un approfondimento specifico. «È un’emozione trovarsi di fronte alle carte, alle fotografie, agli appunti, all’interno degli archivi. Si è catapultati in un’altra dimensione», commenta Lidia Giusto.

La chiusura della giornata e, di fatto, della rassegna è dedicata alla mostra multimediale Mujeres argentinas (si) raccontano – Artiste dietro le quinte a cura di Inés Grión, Leticia Marrone e Marina Rivera, incentrata su arte, ricerca e vita di sette donne argentine migrate a Roma. «A ottobre 2012, il museo Pigorini  ha lanciato un bando per progetti su migrazioni. Ho proposto alle mie due colleghe di presentare il progetto e il museo lo ha accettato. Abbiamo strutturato gli incontri a partire da una foto di archivio che ogni donna considerava significativa del suo percorso e così, una a una, siamo andate nelle case per farci raccontare le loro storie», ricorda Marina Rivera, illustrando il progetto. Ad essere sentite sono donne argentine migrate a Roma, appunto, tutte artiste: Karina Filomena (ballerina), Silvana Chiozza (pittrice), Irma Carolina Di Monte (attrice), Marcela Szurkalo (cantante e ballerina), Yanina Lombardi (musicista), Yamila Suárez (attrice) e Sofía Karakachoff (videomaker e musicista).

Più storie, voci e immagini per offrire nuovi sguardi sulla scena artistica romana.

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