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Lunedì 17 Gennaio 2022 14:01

“Sopra i fiumi che vanno”, la caducità dell’umano

António Lobo Antunes, scrittore portoghese
António Lobo Antunes, scrittore portoghese
Una narrazione atematica, dalla struttura inafferrabile, nell'ultimo libro uscito in Italia di António Lobo Antunes, il più importante scrittore portoghese

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António Lobo Antunes, scrittore portoghese
António Lobo Antunes, scrittore portoghese
C’è stato un momento in cui, nella letteratura del Novecento, il monologo interiore, codificato da James Joyce, il flusso di coscienza che avrebbe dovuto rappresentare, ma forse sarebbe stato meglio dire simulare, il corso informe, vorticoso e inarrestabile dei pensieri e delle emozioni di un essere umano, era diventato un appuntamento pressoché ineludibile, se non obbligato, per i cosiddetti romanzieri: come se quella forma espressiva, apparentemente priva di controllo, riuscisse a penetrare, assai meglio del classico riferimento in terza persona di stampo ottocentesco, freddo e falsamente oggettivo, il magma incandescente dell’inconscio rivelato dal dottor Sigmund Freud.

Alla distanza, chiunque affermasse che tale idea fu soltanto un abbaglio non sarebbe poi così distante dalla verità, perché oggi lo stream of consciousness, sul quale i ragazzi elaborano le loro tesine in terza liceo, assomiglia a uno strumento obsoleto. Sorta di vecchio arnese del modernariato che nessuno usa più. Fatta eccezione per quegli autori – una volta si sarebbero definiti sperimentali – che invece, con una cocciutaggine quasi commovente, non hanno mai smesso di praticarlo, fra cui spicca António Lobo Antunes, nato a Lisbona nel 1942, il più importante scrittore portoghese, spesso candidato al premio Nobel per la Letteratura, che cominciò ad essere conosciuto in Italia 26 anni fa quando per la prima volta venne tradotto il suo testo d’esordio: Os cus de Judas, In culo al mondo, nella versione einaudiana di M. J. De Lancastre.

Da allora in poi sono stati pubblicati anche da noi, sebbene non troppo puntualmente, quasi tutti i suoi libri, il più recente dei quali, uscito in origine nel 2010, è Sopra i fiumi che vanno (Feltrinelli, traduzione di Vittoria Martinetto, pp. 210, 18 euro), titolo allusivo della caratteristica caducità della condizione umana, sostanzialmente il diario di una grave malattia, dal 21 marzo 2007 al 4 aprile del medesimo anno: quella del protagonista, che, disteso sul letto d’ospedale, si lascia andare ai suoi ricordi di bambino, mischiandoli alle riflessioni scaturite dopo.

Una narrazione atematica, dalla struttura fluida e cangiante, inafferrabile, dove il lettore troverà soltanto macchie di realtà volutamente ambigue e contraffatte: «Vedeva volti e non riconosceva nessuno, gli parlavano e non ascoltava, si occupavano di lui e non era di lui che si occupavano, il nome che credeva proprio, di un estraneo, il corpo che immaginava appartenergli, di un altro, non si trovava lì e di chi le gambe senza forza e le braccia che non ottenevano un gesto, gli domandavano come si sentisse e muto, incapace di rispondere… ». Tutto questo per riproporre la vecchia convinzione del tempo come ipotesi non confermata dalla Storia, illusione, miraggio, tradimento o rovina totale: «Oppure altri passati ancora, la sua vita piena di passati e non sapeva quale fosse quello vero…».

17 gennaio 2022

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