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Martedì 14 Giugno 2022 11:06

Forse al Pride serviva un altro “Rumore”

Critica semiseria non tanto alla manifestazione, che ha numerosi meriti, quanto alla scelta della canzone di Raffaella Carrà come colonna sonora 

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Sabato scorso, dopo due anni di assenza per la pandemia, nelle strade di Roma è tornato il Gay Pride. Una manifestazione enorme e festante, piena soprattutto di giovani, un inno alla libertà sessuale rivendicata come dimensione politica, non soltanto come un fatto privato. Non so se in piazza ci fossero (anzi, fossimo) quasi un milione di persone o qualche centinaio di migliaia o quante, la parade era comunque enorme. E ha fatto rumore.

Se c’è chi, ancora?, da un lato s’infastidisce a vedere esposte pubblicamente differenze (cioè vedere sfilare orgogliosamente i froci, per capirci), c’è pure chi contesta l’insufficienza politica delle manifestazioni di questo tipo. Ma, a parte che gli slogan erano chiaramente antifascisti e libertari, rivendicare diritti civili non significa negare quelli sociali (per capirci, il mood della manifestazione non era, che so, Libertà di sesso contro Salario minimo). Quello che manca, magari, e non è un problema che risolveremo qui, è una forza politica sufficientemente grande che riesca a mettere insieme bene e soprattutto in modo credibile diritti sociali & diritti civili. Intanto, però, va segnalato che questo tipo di manifestazioni, gioiose, come il Pride (che nel 2019 fu la più grande manifestazione contro la Lega al governo) la Love Parade o la Million Marijuana March vedono una grande partecipazione. Non solo per i temi, forse, ma anche per lo spirito.

Ma io, in realtà, volevo parlare di un’altra cosa: del Rumore della manifestazione. Perché era quello lo slogan principale del Roma Pride 2022: Torniamo a fare rumore, citando l’indimenticabile Raffaella Carrà, icona riconosciuta LGBTQ etc., e la canzone che ha interpretato nel 1974.
Secondo me, infatti, quello lì è il Rumore sbagliato. 


Foto di Laura Crialesi
“Rumore” è un pezzo del 1974, in cui hanno messo le mani Guido Maria Ferilli (quello della lagnosissima Un amore così grande), Andrea Lo Vecchio (uno che ha scritto con Roberto Vecchioni) e Shel Shapiro (lo storico frontman dei Rokes, tra le altre cose). Ho pensato per anni che fosse l’adattamento italiano di un pezzo britannico, invece no. È proprio un vanto italico, e ha avuto gran successo anche all’estero. La musica è trascinante, ma il problema è il testo: ansiogeno, securitario. All’epoca, Raffaella Carrà ha 31 anni.

Non mi sento sicura, sicura, sicura mai
io stasera vorrei
tornare indietro nel tempo

e ritornare al tempo che c’eri tu
per abbracciarti e non pensarci più su
ma ritornare, ritornare perché?
quando ho deciso che facevo da me

Cuore, batticuore
mi è sembrato di sentire un rumore, rumore

È sera, la paura
io da sola non mi sento sicura, sicura
sicura mai, mai, mai, mai
e ti giuro che
stasera vorrei
tornare indietro nel tempo


Foto di Laura Crialesi
Scrive Wikipedia: “Nasce così, per caso, Rumore, la storia di una donna, che ha lasciato il compagno/marito, perché ‘ho deciso che facevo da me’, ma una sera, sola in casa, sentendo un rumore, vorrebbe ‘tornare indietro con il tempo’, realizzando che ‘da sola non mi sento sicura, mai’. Un testo apparentemente in controtendenza, in anni di acceso femminismo. In realtà, calzava a pennello a tutte quelle donne a metà del guado: desiderose di emanciparsi, ma non perfettamente a loro agio fuori dai ruoli che la tradizione assegnava loro”.

Salto in avanti. Nel 1978 arriva Tanti Auguri, scritta da Gianni Boncompagni (all’epoca compagno della Carrà), Collin e Daniele Pace (che ha scritto, tra tantissime cose, E la luna bussò per Loredana Berté), Paolo Ormi e Franco Bracardi (due della compagnia di giro di Boncompagni e Arbore). La canzone è un successone, e forse è tra quelle che fanno entrare Raffaella nel Pantheon delle divinità gay.

Il testo lo conoscete:

Se per caso cadesse il mondo io mi sposto un pò più in là 
sono un cuore vagabondo che di regole non ne ha
la mia vita è un roulette i miei numeri tu li sai
il mio corpo è una moquette dove tu ti addormenterai.
Ma girando la mia terra io mi sono convinta che
non c’è odio non c’è guerra quando a letto l’amore c’è.
Com’è bello far l’amore da Trieste in giù
com’è bello far l’amore io son pronta e tu…
tanti auguri, a chi tanti amanti ha
tanti auguri, in campagna ed in città.
Com’è bello far l’amore da Trieste in giù
l’importante farlo sempre con chi hai voglia tu
e se ti lascia lo sai che si fa…
trovi un altro più bello, che problemi non ha.

Sono passati quattro anni da “Rumore”, ma dal punto di vista del testo sembra passata davvero una generazione. È una donna indipendente che parla delle sue relazioni, è l’inno della liberazione sessuale femminile.

Però in mezzo, nel 1976, c’era stato A far l’amore, scritta da Daniele Pace e Franco Bracardi, il singolo più venduto di Raffa (che poi nel 2011 ha fatto una versione molto più dance con Bob Sinclar):

Se lui ti porta su un letto vuoto
Il vuoto daglielo indietro a lui
Fagli vedere che non è un gioco
Fagli capire quello che vuoi

(Ahahaha) A far l’amore comincia tu
(Ahahaha) A far l’amore comincia tu

E se si attacca col sentimento
Portalo in fondo ad un cielo blu
Le sue paure di quel momento
Le fai scoppiare soltanto tu

Sempre Wikipedia: “Il brano “A far l’amore comincia tu” racconta invece di una donna spregiudicata, che chiede al suo uomo di prendere l’iniziativa nel sesso, riconfermando l’icona erotica di Raffaella nell’immaginario degli italiani”.
Ecco: la donna che vorrebbe liberarsi ma è impaurita nel 1974, nel 1976 scopre il gioco sessuale col compagno. Ma nel 1978 il percorso è compiuto, e la liberazione c’è stata. Raffaella ha 35 anni.


Foto di Laura Crialesi
Ovviamente, la canzone di Raffaella ha un ritmo trascinante, non si può negare. Ma, appunto, c’è la questione del testo. Forse aveva senso più quella di Diodato che ha vinto Sanremo nel 2020, “Fai rumore”, che non è così intimista come la musica farebbe pensare:

Che fai rumore qui
E non lo so se mi fa bene
Se il tuo rumore mi conviene
Ma fai rumore, sì
Ché non lo posso sopportare
Questo silenzio innaturale
Tra me e te

Insomma, nel pezzo di Diodato (uno impegnato: basti pensare alla sua partecipazione attiva a Taranto contro l’inquinamento dell’Ilva), il rumore è invocato come una necessità, nonostante i dubbi e le contraddizioni. Fare rumore per rompere il silenzio tra le persone, e arrendersi all’amore.


Foto di Laura Crialesi
 

 

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