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Mercoledì 15 Giugno 2022 11:06

14 giugno 1928, nasce Ernesto Che Guevara

Una delle migliori, tra le moltissime, biografie del Comandante Che Guevara è, senza alcun dubbio, quella di Paco Ignacio Taibo 
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Una delle migliori, tra le moltissime, biografie del Comandante Che Guevara è, senza alcun dubbio, quella di Paco Ignacio Taibo II, Senza perdere la tenerezza, la cui prima edizione in italiano è del 2005.
Ricordo che, a suo tempo, fui abbastanza pronto a comprarla e a leggerla interamente, sebbene si trattasse di un volume ponderoso e, a volte, di difficile lettura. Ne scrissi una recensione che, più che prendere in esame l’opera di Paco Ignacio, aveva come bersaglio la “mitizzazione” consumistica che, nel corso dei decenni seguiti alla sua prematura e tragica morte, aveva avvolto e snaturato l’autentico significato della vicenda umana, storica e politica di Ernesto Guevara De la Serna, rampollo di una famiglia argentina medio-borghese e divenuto rivoluzionario per caso, ma non involontariamente. Per curiosità sono andato a rileggere quella vecchia recensione; trovandola ancora, per molti versi, attuale, la ripropongo integralmente.

“Sciagurata la terra che ha bisogno di eroi”, diceva B. Brecht, aggiungendo che solo chi è morto tragicamente, per un ideale di valore universale, può ambire, suo malgrado, al titolo di eroe e alla conseguente mitizzazione. Ernesto “Che” Guevara (sul quale, tra i tanti libri, consigliamo la lettura di Senza perdere la tenerezza, monumentale biografia scritta da Paco Ignacio Taibo II), morto tragicamente 38 anni fa in Bolivia, è da molti anni una semplice icona su molte magliette, una pura apparenza il cui significato è oggetto di leggende e di mitologie. Conoscerne la storia vera, intrecciata con quella di un’epoca e con i problemi ancora attuali di un continente, costituisce un dovere per chi ancora crede che l’umanità, per progredire, non abbia bisogno di santi, di eroi e di navigatori, ma di umili e pazienti servitori della ragione.
“Terribile è il disinganno degli uomini quando scoprono, o credono di scoprire, di essere stati vittime di un’illusione, che il passato è più forte del presente, che i fatti non sono per loro, ma contro di loro, che la loro epoca, l’epoca nuova, non è ancora sorta. Allora essi soffrono come prima e assai più di prima, perché ai loro sogni hanno sacrificato tante cose di cui ora avvertono la mancanza, si sono spinti troppo avanti ed ora vengono colti di sorpresa, il passato si vendica di loro” (B. Brecht, Note alla “Vita di Galileo”).
Come vede la figura di “Che” Guevara, a tanti anni di distanza dalla sua appassionante vicenda umana e dalla sua tragica fine, un grande scrittore e romanziere come Paco Ignacio Taibo II, che ha scritto forse la più bella e onesta (perché non è né agiografica né dissacrante) biografia del celebre Comandante, la cui “querida presenzia” continua ancora a commuoverci (o ad annoiarci, a seconda delle prospettive) disseminata su magliette, bandiere, immagini pubblicitarie e gadgets di ogni genere? Per i seriamente interessati alla faccenda, per chi non si accontenta delle apparenze e dei miti ma voglia ricostruire la verità dei fatti e la sostanza delle cose, e che abbia anche la pazienza e il tempo necessari, consigliamo la lettura di questo libro, dal titolo “Senza perdere la tenerezza”, del quale segnaliamo subito la smisurata e brutale lunghezza: ben 850 pagine (note e bibliografia comprese). A dispetto della sua reale professione, il romanziere P. I. Taibo II non ha voluto, e ci è ottimamente riuscito, scrivere delle “storie” sul “Che”, che non avrebbero fatto altro che contribuire alla perpetuazione della sua mitologia, bensì redigere la “Storia” del “Che”, anzi di Ernesto Guevara divenuto “Che” suo malgrado; pertanto ha intrapreso e portato a termine un lavoro colossale: testimonianze, scritti, discorsi, opuscoli, articoli di stampa, conferenze, libri a non finire, film, canzoni, ecc., tutto è stato raccolto, studiato, consultato, sintetizzato, schedato, passato al setaccio della critica. Ne è uscita .fuori un’opera appassionante, di grande rigore scientifico e documentario che, nonostante l’umana simpatia provata dall’autore per l’oggetto della sua ricerca, niente tace o mette in sordina sul personaggio in questione.

Abbiamo del “Che” (tanto per rispondere alla domanda iniziale) un ritratto completo e complesso, con tutte le luci e con tutte le ombre (e anche le zone grigie), le sue vicissitudini private e familiari e il ruolo pubblico e storico che, a partire dallo sbarco del Granma (2 dicembre 1956) sulla costa orientale di Cuba, nei pressi della Sierra Maestra, fino alla morte avvenuta in Bolivia il 9 ottobre del 1967, il cittadino Ernesto Guevara de la Serna – rampollo di una famiglia della media borghesia argentina, imbattutosi non si sa come in un gruppo di esuli cubani a Città del Messico e diventato rivoluzionario per caso e poi per convinzione – ha rivestito nella sua patria d’elezione e nel mondo intero. Per far ciò il nostro autore ha dovuto, preliminarmente, liberarsi di un “fantasma” (secondo la sua stessa definizione): il fantasma di un personaggio “…che, nonostante, il suo humour caustico e le sue reiterate timidezze, è rimasto prigioniero dei paraphernalia dell’immagine e dei meccanismi, innocenti o meno, che svuotano di significato tutto quello che incontrano per trasformarlo in magliette, souvenir, tazze da tè, poster o fotografie destinate al consumo. E questa è la condanna di chi suscita nostalgia: rimanere intrappolati nei templi del consumo o nei rifugi dell’innocenza. Rimanere prigionieri nel limbo del mito”. Aggiungiamo noi che la mitizzazione, anche consumistica, di chi suscita nostalgia avviene quando, del tutto incerti e timorosi sulle prospettive di progresso e di avanzamento morale e civile di un’umanità sempre più tormentata e infelice, si avverte l’incontenibile bisogno di “eroi” (o di poeti, di santi, di navigatori, ecc.): figure che possano coprire un vuoto che soltanto l’uso paziente e umile della ragione potrebbe esorcizzare. Ma questi non sono tempi di “lumi della ragione”, bensì di “luci del varietà e dello spettacolo”. Per questo si percepisce come “anacronistica”, anche nel suo mero valore di mito, l’immagine di “Che” Guevara, verso la quale riteniamo possibile, invece, una seria e approfondita ricostruzione storica, così come offerta dall’opera di Paco Ignacio Taibo II.
Paco Ignacio Taibo II, Senza perdere la tenerezza, Il Saggiatore, Milano 2005
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