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Giovedì 17 Novembre 2022 20:11

Comandanti probabilmente uccisi da “fuoco amico” nella Grande Guerra 

Durante la Grande Guerra molti Comandanti di Reggimento, di Brigata e di Divisione hanno attuato una repressione molto dura degli 
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Italian WWI Alpini artillery observers with their telescope. — Image by © Prof. Giorgio Abetti/National Geographic Society/Corbis

Durante la Grande Guerra molti Comandanti di Reggimento, di Brigata e di Divisione hanno attuato una repressione molto dura degli atti di disobbedienza e di insubordinazione attraverso le esecuzioni sommarie e le decimazioni, che secondo studi recenti sono state almeno 350, che si sommano alle oltre mille condanne a morte inflitte dai Tribunali Militari, delle quali circa 750 eseguite.

Alcuni Comandanti “fucilatori”, che hanno ordinato esecuzioni sommarie e decimazioni o che si sono comportati in modo spietato verso i propri soldati, mandati a morire come “carne da cannone”, molto probabilmente sono stati uccisi da “fuoco amico”, cioè dai propri soldati. Vediamo alcuni casi.


Nato a Partecipa a Sampierdarena (Genova) il 4 agosto 186.

Partecipa alla Guerra del 1911-1912 contro la Turchia, per la conquista della Libia, come Comandante dell’8° Reggimento Alpini.

Allo scoppio della Grande Guerra è comandante della 3a Brigata Alpini (diventata Brigata Julia nel 1926) operante nel settore del Monte Baldo-Monti Lessini. All’inizio delle ostilità, il 24 maggio 1915  supera in pochi giorni le difese austriache e conquista Ala, in Trentino.

Alla fine di giugno diventa comandante della 2a Divisione di Fanteria, operante nella zona di Cortina d’Ampezzo.  Elabora un piano per assumere il controllo della catena montuosa delle Tofane, che domina Cortina, attraverso la conquista del Castelletto, un torrione a circa 1.800 metri di altezza, che era stato notevolmente fortificato dagli Austriaci in modo da risultare imprendibile. Il piano, molto ardito, prevedeva la conquista di una posizione austriaca situata più in alto del Castelletto, per poi attaccarlo dall’alto. Il piano di attacco, avrebbe comportato la perdita di molte centinaia di soldati, che erano posizionati ad una quota di 1.300 metri, quindi a più di 500 metri al di sotto delle postazioni austriache.

Il 20 luglio 1915 mentre sta facendo un giro di ricognizione nell’area della Tofana di Rozes, interessata dal nostro attacco, Cantore si sporge da un parapetto per osservare la zona con il binocolo ed è colpito da un proiettile in piena fronte e muore sul colpo. E’ il primo Generale italiano caduto al fronte. Per questo il 3 dicembre 1915 riceve la Medaglia d’Oro al Valore Militare alla Memoria.

A Cortina si spargono subito voci differenti sulla causa della sua uccisione. Alcuni sostengono che è stato colpito da un cecchino austriaco; altri invece ritengono che è stato colpito da un “franco tiratore” ampezzano dato che Cantore aveva predisposto il piano per l’evacuazione di Cortina, che non era condiviso da vari Ufficiali subordinati, dato che in questo modo gli Austriaci avrebbero avuto la libertà di bombardare e quindi distruggere l’abitato di Cortina, che era già allora una importante stazione turistica invernale.

Altri ancora affermano che probabilmente è stato ucciso da un nostro soldato, per impedire che fosse attuato il piano per la conquista delle Castelletto, che sicuramente sarebbe molto cruento, con molte vittime tra le nostre truppe.  Questa ipotesi è avvalorata dal fatto che nel 1998 è ritrovato il berretto di feltro di Cantore, che era in possesso di un suo nipote. Analizzando le dimensioni del foro del proiettile nel berretto, si scopre che le sue dimensioni sono inferiori a quelle del proiettile del fucile austriaco, che ha un calibro di 8 mm, mentre sono compatibili con quelle del proiettile di fucile in dotazione ai nostri soldati, che ha il calibro di 6.5 mm.

Questa ipotesi è sostenuta da Paolo Giacomel nel suo libro 1914-1915. La Grande Guerra nella Valle d’Ampezzo, Gaspari, Udine 2003.

In seguito il Castelletto è fatto saltare all’alba del’11 luglio 1916 dai nostri alpini artificieri, con una “mina” di 35 tonnellate di esplosivo collocata sotto il torrione roccioso, dopo aver scavato una lunga galleria. L’ardita azione  comportò la morte di circa 150 soldati austriaci e nessuna vittima tra i nostri.

Nato a Casalino (Novara) nel 1847.

Come Ufficiale dei Bersaglieri partecipa alle Campagne militari in Eritrea ed in Abissinia di fine Ottocento. In particolare si distingue, come Maggiore, al comando di un Battaglione di Ascari eritrei, che ricordano le sue imprese in un canto tradizionale.

Collocato a riposo nel 1904, nel 1915, quasi settantenne, si arruola volontario nella Grande Guerra, assumendo prima il comando di una Brigata della Milizia territoriale e successivamente, il 6 giugno 1916, quello della Brigata Etna, operante in prima linea, distinguendosi nella difesa della “trincea delle frasche”, nella zona di san Martino del Carso, strappata agli Austriaci alla fine del 1915.

Dalla fine di maggio 1916, durante la “spedizione  punitiva” austriaca (Strafexpedition) partecipa, alla guida della Brigata Etna, alla difesa del Monte Portecche sull’Altopiano di Asiago, dove è colpito mortalmente alla gola il 10 giugno.

Per il valore dimostrato, riceve il 9 luglio 1916 la Medaglia d’Oro al Valore Militare alla Memoria.

Alcuni sostennero che Prestinari è stato ucciso dai suoi soldati perché il 9 giugno (il giorno precedente alla sua morte) aveva ordinato la fucilazione sommaria per “sbandamento in faccia al nemico” di 9 soldati del 223° Reggimento di Fanteria ( che faceva parte con il 224° della Brigata Etna) che aveva perso tra il 8 ed il 9 giugno 1916, durante l’offensiva austriaca  il Monte Sisemol e circa 2.500 uomini.

In particolare, in una lettera inviata al quotidiano socialista Avanti ! il 13 agosto 1919 (durante la campagna di stampa promossa dal quotidiano per la raccolta di notizie relative alla esecuzioni sommarie), intitolata “Nel cimitero di Sasso di Asiago”, il Capitano  A. B. scrive che il Colonnello è stato ucciso dai suoi soldati per vendicare la fucilazione, senza processo (cioè una esecuzione sommaria), di 12 commilitoni, tra i quali un Sergente, decorato e padre di tre bambini.

Il fatto è anche riportato nel saggio di Pietro Pietrobelli Fucilazioni!, pubblicato nell’Almanacco socialista del 1920, nel quale scrive  che Prestinari il 9 giugno aveva fatto fucilare otto “poveri soldati della Brigata Etna, rei di essersi sbandati dopo una terribile giornata di bombardamento da parte del nemico. Il giorno appresso, il generale assassino cadeva colpito alla gola da pallottole misteriose…”.

Al di là delle differenze nel numero delle vittime, appare verosimile l’omicidio del Colonnello da parte dei suoi soldati, per vendicare i commilitoni fatti fucilare.

Nato a Moncalieri (Torino) il 30 agosto 1865.

All’inizio della guerra, il 24 maggio 1915, il Tenente Colonnello Carlo Giordana è il Comandante del 116° Reggimento di Fanteria, schierato sull’altopiano di Vezzana.  Promosso Colonnello, nell’ottobre dello stesso anno assume il comando del 4° Reggimento Alpini, dove aveva militato, come Capitano, già dal 1899 al 1903.

Come Comandante di un Gruppo speciale di 5 Battaglioni di Alpini, chiamato Gruppo A, si distingue nei combattimenti nella zona di Tolmino, tra i Monti Mrzli e Vodil, avvenuti tra il 21 ed il 30 ottobre 1915.

Nei mesi di aprile e maggio 1916 comanda alcune ardite operazioni militari nella zona dell’Adamello, che portano alla conquista di alcune postazioni austriache ed alla cattura di numerosi prigionieri.  Per queste due operazioni militari viene promosso Colonnello Brigadiere (grado creato durante la Grande Guerra, che comportava l’assegnamento del comando di una Brigata, normalmente guidata da un Generale di Brigata) per “merito di guerra” e riceve il 3 dicembre 1916 la Medaglia d’Oro al Valore Militare.

Il 21 giugno 1916 assume il comando della Brigata Benevento impegnata sull’Altopiano di Asiago durante la nostra controffensiva in risposta alla cosiddetta “spedizione punitiva” austriaca (Strafexpedition) del precedente mese di maggio.

Il 23 giugno, durante una ricognizione ai reticolati nemici, nella “terra di nessuno”, dopo la ritirata degli Austriaci, alle pendici del Monte Cucco, in località Mandrielle di Asiago, muore, colpito da quattro fucilate: due alla gamba sinistra; una all’anca; una alla tempia. Essendo “caduto sul campo” riceve la Medaglia d’Argento al Valore Militare alla Memoria.

Nel libro di memorie di G. Pieropan, 1916.Le montagne scottano, Mursia, Milano 1979, pag. 157, si afferma che è stato ucciso dai suoi soldati perché “aveva un carattere duro e spietato”.

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