Martedì 24 Gennaio 2023 16:01
Don Antonio Coluccia, “il prete indigesto”
“La mia chiesa è la strada”, così don Antonio Coluccia rinnova il suo patto con la città marginale. O meglio con i bordi della città. Al “prete indigesto” Riccardo Bocca, giornalista d’inchiesta, ha dedicato un libro edito da HarperCollins. Sottotitolo “la vita e le lotte di don Antonio Coluccia”. Una vita sotto scorta quella del […]
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Don Antonio Coluccia, “il prete indigesto”
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“La mia chiesa è la strada”, così don Antonio Coluccia rinnova il suo patto con la città marginale. O meglio con i bordi della città. Al “prete indigesto”
Riccardo Bocca
, giornalista d’inchiesta, ha dedicato un libro edito da HarperCollins. Sottotitolo “la vita e le lotte di don Antonio Coluccia”.Una vita sotto scorta quella del
prete salentino
sbarcato nella capitale, a Roma Nord, deciso a sottrarre le ragazze e i ragazzi alla strada. “Gesù camminava per i villaggi ed io mi devo conformare a Cristo”. E lo ha fatto ovunque sia stato.Da Specchia, nel Salento, a Pianura in Campania dove ha sollevato un intero paese contro la camorra, a Roma, a Grottarossa, dove ha fondato la casa di accoglienza Opera Don Giustino, e sempre a Roma, a San Basilio, dove ha appena inaugurato la palestra sociale con l’obiettivo di offrire un’alternativa di vita ai giovani del quartiere. Una palestra dove allenarsi alla boxe.
“Don Coluccia – dice Bocca che al fianco del “prete indigesto” ha trascorso intere giornate – porta il Vangelo fuori dalla Chiesa e lo mette a disposizione del territorio e nel fare questo toglie manovalanza al malaffare”.

Don Coluccia è il prete antispaccio, conosciuto così nel mondo dei pusher che cerca di riportare sulla strada del lavoro e “della vita”. Prete indigesto non solo ai venditori di morte, ai clan che si spartiscono le piazze del mercato della droga, don Coluccia riconosce di essere indigesto anche ai neutrali. A quelli che abbassano gli occhi e voltano il capo. “Il silenzio degli onesti – sostiene – credo sia il primo peccato sociale”.
Bocca riconosce che don Coluccia ha la forza e la perseveranza, oltre alla vitalità per sostenere lo sguardo anche di chi è abituato ad abbassarlo. “E si muove con decisione e rispetto all’interno di una comunità complessa come la Chiesa, senza compromessi, senza piaggeria nei confronti del potere, senza timore di mettere a rischio la propria persona”.
Don Antonio è stato avvertito più di una volta. Eppure lui non smette di frequentare le strade accidentate della capitale, di portare sostegno a chi è stato messo in ginocchio dalla vita, a chi è finito nella rete del malaffare. Lui nei quartieri slabbrati della sterminata periferia romana è di casa. E c’è per portare oltre alla parola della chiesa e della evangelizzazione, anche quella dello stato.
“Perché – dice – non basta combattere lo spaccio e la cultura della morte con le retate della polizia: qui lo stato deve rifare le strade, accendere i lampioni, aprire le scuole, offrire lavoro, inaugurare biblioteche”.
All’origine del malessere che cova la devianza c’è sempre – conclude Bocca – la disattenzione sociale. E il prete indigesto ha deciso di accendere la luce sulle periferie. Instancabile e irrequieto. Osare, rischiare, compromettersi sono i verbi immancabili del vocabolario di Don Antonio, il prete che ha voluto sporcarsi le mani. (red/RL)
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