Venerdì 27 Ottobre 2023 19:10
Il marmista di Monte dei Cocci nel Rione Testaccio
Il marmista di Monte dei Cocci nel Rione Testaccio
Oggi vi voglio raccontare una storia veramente incredibile. Alcuni anni fa – era il 2016 – durante una passeggiata con un’amica nel rione Testaccio, intorno al Monte dei Cocci, le racconto che il mio nonno paterno, Giano, aveva il laboratorio in una delle grotte della collinetta artificiale, anche se non sapevo esattamente quale fosse. Costeggiando […]
Il marmista di Monte dei Cocci nel Rione Testaccio
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Il marmista di Monte dei Cocci nel Rione Testaccio
Oggi vi voglio raccontare una storia veramente incredibile. Alcuni anni fa – era il 2016 – durante una passeggiata con un’amica nel rione Testaccio, intorno al Monte dei Cocci, le racconto che il mio nonno paterno, Giano, aveva il laboratorio in una delle grotte della collinetta artificiale, anche se non sapevo esattamente quale fosse.
Gli chiediamo di poterla visitare e lui ci fa entrare, invitandoci a fare attenzione perché le scalette che portano al piano superiore sono molto sconnesse. Incredibile, il laboratorio è ancora lì, con i macchinari, gli attrezzi, le lastre di marmo, sommersi dalla polvere dei decenni. Con la torcia del telefono, illuminiamo l’ambiente e scattiamo qualche foto. L’emozione è fortissima.
Nelle varie guide e annuari che registrano le attività commerciali su Roma in quegli anni trovo i Fratelli Polidori in via di Monte Testaccio e un’esposizione di martelli elettrici, perforatrici, lucidatori e stuccatori in un locale poco distante, in via Mastro Giorgio, dal curioso nome greco “Thauma“.
Il mio bisnonno con i suoi fratelli avevano infatti avviato una fiorente attività con lo stesso nome nella loro città natale a Cagli, nelle Marche, inventando e brevettando diversi strumenti proprio per la lavorazione del marmo. Le loro strumentazioni venivano spedite in tutta Europa e nel Nord Africa.
Erano gli anni Sessanta, avevo dodici anni e lì c’era il laboratorio di mio padre che stava al piano superiore. Lì produceva pompe dell’olio commestibile, invenzione del nonno, che poi lui ha installato su tutti i negozi di vini e oli e alimentari di Roma negli anni Sessanta e primi anni Settanta. Erano dei fusti di acciaio inossidabile all’interno di un bancone di marmo da cui emergeva una pompa simile a un cambio di una macchina di tanti anni fa con una canna ricurva, e ogni fusto conteneva un certo tipo di olio di vari prezzi.
Oltre questo aveva l’officina meccanica con la quale costruiva le pompe, i fusti in acciaio inossidabile e poi la parte prettamente relativa alle opere in marmo dove realizzava pavimentazioni, rivestimenti e arredi per macellerie a Trastevere, Testaccio, Prati. Lui ha lavorato per tantissime macellerie, producendo lastre a macchia aperta, praticamente due lastre tagliate dallo stesso blocco e poi collocate simmetricamente.
Nel laboratorio, a Monte Testaccio, aveva la parte dell’officina, con il tornio per i metalli, la fucina per la fusione dei vari pezzi in alluminio e poi aveva le saldatrici per i fusti con le parti in acciaio, le piegatrici per modellare i tubi, delle mole per lucidare le parti in acciaio, le mole abrasive, molti macchinari desueti, dei primi del Novecento.
E poi, dove lavorava in marmo, aveva una grande tagliatrice con una ruota gigantesca ad acqua e un piano mobile. Poi c’era il deposito dei rimasugli di marmo, dei resti della lavorazione. Ricordo che lui realizzava anche delle pavimentazioni, il bollettonato, costituito da tanti scarti di marmo assemblati. Se ne vedono spesso nelle palazzine degli anni Cinquanta e Sessanta oppure in qualche negozio o in qualche appartamento.
Il nonno lì aveva anche l’ufficio. In fondo ai grottoni, uno grande per l’officina meccanica, un altro con due macchine per lucidare il marmo e la trancia per rompere a pezzettini di rimasugli del delle lavorazioni e fare questi pavimenti, poi c’era un deposito e in fondo a questo grottone che univa tutti questi altri insieme c’era il piccolo ufficio.
Il marmo lo prendeva a Carrara, andava su, sceglieva i blocchi, lì c’erano le segherie, prendeva lastre da tre centimetri e il camion gliele portava e le scaricava al laboratorio sotto il Monte dei Cocci. Almeno fino al 1972-1973. Prima, quando c’era ancora il padre, aveva tanti operai, sette otto operai che lavoravano, tra cui gli scalpellini che decoravano i banconi dei macellai, poi piano piano il lavoro è finito e lui è rimasto a lavorare da solo ancora per un paio d’anni e alla fine ha chiuso.”
L’artista ci conduce al piano di sotto e le emozioni non sono finite. Ci fa vedere infatti una serie di botti gigantesche incastonate nel muro.
Sotto di lui c’era il vinaio. Il laboratorio di marmi e il vinaio non erano comunicanti come ora. A sinistra c’era il bottaio, che produceva botti per il vino di tutte le dimensioni… A fianco c’era un fabbro bravissimo, si chiamava Menotti, faceva anche le sculture in acciaio inossidabile per gli scultori, era molto molto bravo, lavorava anche il ferro battuto.
Dall’altro lato, guardando l’ingresso a sinistra, c’era un altro artigiano, lo chiamavamo Er Cavallaro perché ogni tanto aveva dei cavalli, ma lui faceva il sapone e poi trasportava tutte le interiora degli animali, le metteva dentro dei contenitori a macerare. E poi, non ricordo bene, c’era qualche falegname e qualche restauratore. Tutte le botteghe nel perimetro del Monte erano di artigiani. Poi c’era un deposito di agrumi che stava proprio nella stradina che scende alla base del Monte.
Qui l’estate si stava benissimo al fresco ma l’inverno faceva un freddo cane. Poi c’erano dei lucernari, d’inverno ci pioveva dentro e faceva un freddo terribile. Ricordo che da una porticina sul retro si poteva salire fino alla cima del Monte dei Cocci dove c’era e c’e’ ancora la croce.
[a cura di Priscilla Polidori]
Il marmista di Monte dei Cocci nel Rione Testaccio