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Lunedì 25 Marzo 2024 13:03

La Domenica delle Palme dell’Ucraina in guerra



Kiev e la regione occidentale di Leopoli sono state attaccate dall'aviazione russa nelle prime ore del mattino. Non c'è pace. «Non lasciate i rifugi», l'invito su Telegram

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«Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato». Il canto viene intonato in modo solenne da una donna e i fedeli rispondono. Hanno in mano i “salici” che prima sul sagrato della chiesa sono stati benedetti. Tutti in ginocchio. Seguono. Pregano. Cantano. Il silenzio è totale. È Domenica delle Palme. La cattedrale cattolica latina di San Martino a Mukachevo è gremita di gente. Ma fuori di qui, l’Ucraina è ovunque un Paese in guerra. La Capitale Kiev e la regione occidentale di Leopli sono state attaccate dall’aviazione russa anche nelle prime ore di questa domenica che per i cattolici latini apre alla Settimana Santa, ieri, 24 marzo. Ci si prepara a vivere la Passione e la risurrezione di Gesù, anche in questa terra senza pace. Su Telegram non cessano i messaggi di allerta: «Esplosioni. La difesa aerea è in funzione. Non lasciate i rifugi». La gente vive così, in sospensione.

Il sacerdote sale sul pulpito e pronuncia parole che in questa assemblea hanno l’effetto di una consolazione. «Gesù non ci lascia in questa situazione di peccato. Tutti i nostri peccati sono stati vinti da Lui e questa buona novella è per sempre e per tutto il mondo. Nessuno ci può allontanare dall’amore di Dio. Lui è qui con noi. In questo momento. In questa liturgia. Lui ha preso su di sé ogni sofferenza. Sulla croce è pronto a venire incontro a ciascuno noi. Vuole alleggerire i nostri dolori. Vuole prendere su di sé la nostra impotenza e per amore ha dato la vita per noi».

Anche se la vita in questa parte occidentale del Paese prosegue normalmente, è evidente che anche qui nulla è come prima. Le città sono popolate di donne. Sono donne le persone che riempiono i negozi e i banchi nelle chiese. Sono le donne ad intonare alla fine della Messa le preghiere sulla passione di Gesù. Sono le donne a portare avanti tutto, a rimanere con i bambini. A piangere per i mariti. Al lato sinistro dell’altare nella chiesa di Mukachevo è stata costruita una istallazione. Rappresenta un Golgota a più piani dove i fedeli possono mettere delle piccole croci di carta. Si è riempito di preghiere e propositi. Per i soldati al fronte. Per le persone rimaste senza casa. Per chi non ce la fa.

Il confine con l’Ungheria dista da Mukachevo pochi chilometri. Non ci sono macchine in fila ai controlli delle autorità e dell’esercito. Né in entrata né in uscita. Ci possono volere anche 10 ore di attesa ma il passaggio è stranamente veloce. «Non c’è nessuno perché le notizie della guerra scoraggiano a venire», spiega Olga. Solo due giorni fa, l’Ucraina è stata presa di mira da un massiccio attacco missilistico su tutto il Paese. «Molte donne arriveranno per le vacanze di Pasqua, che per le Chiese orientali si celebrerà il 5 maggio», aggiunge la donna. Racconta di avere due figli. Era uscita dall’Ucraina prima della guerra per cercare con il marito lavoro. Come tutte sul bus, Olga è sola. Il marito è rimasto in Ungheria. Con la legge marziale, non può più entrare nel Paese. Gli uomini imangono dove sono. Altrimenti vengono reclutati forzatamente e portati al fronte. Olga sta andando a trovare il figlio che è voluto ritornare a tutti i costi a vivere in Ucraina. «La mia più grande preoccupazione è che venga preso dai militari». Ad ascoltare il suo racconto c’è una giovane. Anche lei vive e studia a Budapest. Scuote la testa e dice: «Non se ne esce. Non vediamo la fine. Si contano i morti. I miei genitori per fortuna hanno ancora una casa ma c’è gente soprattutto nell’est e nel sud del Paese che ha perso tutto e non sa dove tornare. Ci stiamo abituando all’idea che questa guerra sarà lunga». E Oksana, anche lei di Leopoli, aggiunge: «La situazione non si evolve. Impossibile oggi fare delle previsioni. Due giorni fa l’esercito russo ha colpito in modo massiccio le nostre centrali elettriche. Mi hanno detto che siamo rimasti senza elettricità. Non ci chiediamo più se questa guerra finirà. Stiamo imparando ed educando i nostri figli a conviverci». (M. Chiara Biagioni)

25 marzo 2024

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