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Giovedì 28 Marzo 2024 16:03

Trovati cervelli umani conservati di 12mila anni fa

Un nuovo studio pubblicato su Proceedings of the Royal Society B contraddice la teoria secondo...

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Un nuovo studio pubblicato su Proceedings of the Royal Society B contraddice la teoria secondo la quale il cervello sia tra i primi organi a decomporsi dopo la morte. Guidati da Alexandra Morton-Hayward dell’Università di Oxford, un gruppo di scienziati ha identificato più di 4.400 cervelli umani conservati, alcuni risalanti anche a 12.000 anni fa.  La scoperta è insolita in quanto si pensava che la conservazione  del cervello umano in un corpo, dove rimane solo lo scheletro,  fosse estremamente rara.

“In campo forense – conferma  Alexandra Morton-Hayward –  è risaputo che il cervello è uno dei primi organi a decomporsi dopo la morte, ma l’esistenza di questo enorme archivio, dimostra chiaramente che in determinate circostanze può sopravvivere alla decomposizione”.

Per verificare quanto fosse realmente raro questo fenomeno, gli scienziati hanno intrapreso una ricerca globale per cervelli umani conservati descritti nei reperti archeologici di tutto il mondo, scoprendo che questo straordinario organo resiste ai processi di degrado anche quando il resto degli  altri tessuti si sono decomposti. Analizzando tutta la letteratura scientifica pubblicata, oltre a contattare gli storici di tutto il mondo, hanno documentato un totale di 4.405 cervelli umani conservati, provenienti da 213 fonti uniche segnalate in tutti i continenti del mondo, tranne l’Antartide,  in documenti risalenti alla metà del XVII secolo in poi.

I cervelli provenivano da una varietà di ambienti, inclusa una fossa comune della guerra civile spagnola, dove i cervelli mostravano devastanti ferite da arma da fuoco. Molti sono i luoghi dove è stato possibile trovare antichi cervelli, ad esempio i deserti sabbiosi dell’antico Egitto dove sono stati trovati resti essiccati di tessuti nervosi; oppure, presso il vulcano dormiente Llullaillaco in vittime di sacrifici rituali Inca risalenti al 1450 d.C.; in una torbiera dove è stato trovato l’Uomo di Tollund del 220 a.C. o, ancora, sotto la neve in corpi congelati ed anche sulla riva di un lago nella Svezia in resti fossili umani dell’età della pietra.

Una grande varietà di tessuti umani rimpiccioliti e scoloriti di antichi cervelli appartenenti ad ogni tipo di individuo, descritti nella documentazione archeologica  e che costituiscono un importante archivio di circa 12.000 anni. Di questi più di 1.300 rappresentano l’unico tessuto molle conservato tra resti scheletriti.  In generale, gli scienziati hanno identificato cinque tipi di conservazione del cervello e tessuti molli ben caratterizzati come la disidratazione, il congelamento, la saponificazione (trasformazione dei grassi in “cera tombale” e concia dove la torba forma mummie di palude), oppure dovuta a fattori di origine antropica (cioè il risultato di un intervento umano deliberato) o naturali.

Ci sarebbe, poi, un quinto meccanismo, designato come “sconosciuto” che non sembra essere stato codificato nella letteratura sulla preservazione del cervello. Tuttavia, ipotizzano i ricercatori, potrebbe esserci una sovrapposizione tra i meccanismi di conservazione, data la complessità della decomposizione, come sistema di processi biogeochimici interconnessi. “Ad esempio spiega Alexandra Morton-Hayward – i cervelli esposti ad una combinazione di basse temperature, bassa umidità e correnti d’aria circolanti, se in alta quota, potrebbero essere descritti più come liofilizzati, che congelati o disidratati.”

Questo “archivio” di cervelli antichi rappresenta ora per gli scienziati un’occasione rara per studi bioarcheologici sull’evoluzione, la salute e le malattie umane, oltre a studi di paleopatologia e archeogenetica.

Rita Lena

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