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Giovedì 4 Aprile 2024 06:04

Termovalorizzatore. Facciamolo ma più piccolo!

Un impianto da 600mila tonnellate l'anno è sovradimensionato e costringerà a importare rifiuti da altre città. Non si può smettere di differenziare. L'accordo capestro con Acea sarebbe migliorato con una struttura più limitata

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Il render dell’impianto di Santa Palomba
E’ forse l’argomento più divisivo degli ultimi anni. E’ stata una delle cause per cui è caduto il governo Draghi e su questo impianto Gualtieri si gioca molto della sua credibilità. Diarioromano fino ad oggi non ha preso una posizione netta, in attesa di studiare e approfondire e ora crediamo di essere arrivati a una conclusione: il termovalorizzatore serve ma va realizzato di dimensioni inferiori rispetto a quanto previsto dall’amministrazione.

Per primi,
nell’ottobre del 2022
, facemmo due semplici conti: realizzare un termovalorizzatore che deve digerire 600 mila tonnellate di rifiuti ogni anno e poco distante una centrale che per produrre idrogeno necessita di 200 mila tonnellate di indifferenziata, significa che a Roma più della metà della produzione di rifiuti finirà ad alimentare questi due impianti. Il risultato potrebbe essere una sempre più scarsa attenzione nei confronti della differenziata e una tendenza a gettare tutto in queste due fabbriche voraci. Entrambe saranno capaci di generare energia: il termovalorizzatore di Gualtieri produrrà calore e forse elettricità e quella dei privati (realizzata dalla Next Chem) produrrà idrogeno.

A Roma ogni anno si raccolgono 1 milione e 650 mila tonnellate di rifiuti. Se solo questi due impianti necessitano di 800 mila tonnellate per funzionare correttamente, significa che nella capitale non si avvierà mai una percorso virtuoso di riciclo e riuso. A queste conclusioni è giunta anche l’assemblea dell’Associazione Carteinregola che conclude
il proprio comunicato
nel seguente modo: “Riteniamo indispensabile che sia riaperta la possibilità di una modifica del progetto, a partire da una riduzione della portata dell’impianto il cui dimensionamento deve essere sorretto da calcoli rigorosi, non solo a causa delle possibili ricadute nell’immediato presente, dato che le previsioni del volume e della capacità calorica che Roma sarà obbligata a fornire per decenni per la sostenibilità dell’impianto, presenta il rischio assai concreto di ostacolare il virtuoso sviluppo della raccolta differenziata della Capitale“.

Anche il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, ha mostrato posizioni simili e poche settimane fa,
intervistato a Un Giorno da Pecora
su Radio1, ha spiegato di essere favorevole all’impianto “ma – ha precisato – va realizzato più piccolo perché così è sovradimensionato“.

Il tema non è di poco conto e riguarda la raccolta dei rifiuti nei prossimi 30 anni. Una scelta così importante che condizionerà il futuro ambientale di diverse generazioni non può essere presa senza una approfondita riflessione. Se non dovesse essere Roma a conferire la giusta quantità di immondizia perché miracolosamente riuscirà a far crescere la quota di differenziata fino al 65%, i rifiuti verranno importati da altre città tramite camion e l’impatto ambientale sarebbe ancor più preoccupante.

Il termovalorizzatore serve: una quota di indifferenziata è fisiologica e ci sarà sempre; Roma non ha un proprio impianto e deve dotarsene al pari di altre capitali. Secondo gli ultimi studi, perfino nelle città più virtuose una media del 14% viene scartata perché non può essere riciclata o perché è stata conferita in modo sbagliato.
L’indifferenziato deve essere ulteriormente selezionato tritando alcuni rifiuti (queste macchine si chiamano tritovagliatori) e separando l’organico che serve a  produrre compost e biogas.

Dunque una quota che non può essere riciclata resta comunque e la sua fine può essere la discarica (sconsigliabile ma comunque usata per l’8-10% degli scarti anche in città all’avanguardia) e appunto il termovalorizzatore. Questo tipo di impianto è migliore perché permette di produrre energia e quindi ricchezza per la città. Spedire la quota indifferenziata nel resto d’Europa (come facciamo adesso), impoverisce la città e produce un pesante impatto ambientale.

La combustione, però, genera CO2 e altre sostanze tossiche. I moderni impianti sono in grado di trattenerle solo se lavorano a pieno regime, cioè solo se sono continuamente alimentati dalla quantità di rifiuti per cui sono stati progettati.

Serve ma più piccolo. Il rischio dunque è di dover gettare nei voraci forni di Santa Palomba più rifiuti di quanti ve ne siano disponibili, altrimenti il tasso di emissione di sostanze inquinanti potrebbe superare i limiti.

Vi sono rifiuti sufficienti per alimentare con 600 mila tonnellate questo impianto e con altre 200 mila quello della NextChem? A guardare i dati sembra di no.

Ama afferma che a Roma si producono 4.600 tonnellate al giorno, cioè 1 milione 650 mila l’anno. La quantità di rifiuti dovrebbe calare negli anni soprattutto in seguito alle direttive europee che impongono l’eliminazione degli imballaggi e della plastica. Ammettiamo che entro il 2030 si riduca la produzione di rifiuti del 10%, attestandosi a 1 milione 485 mila tonnellate, anzi facciamo un milione e mezzo per comodità di calcolo.

L’amministrazione
Gualtieri promette di adeguarsi
alle direttive europee sul riciclo e di arrivare entro il 2030 al 60% di differenziata e entro il 2035 al 65%.

Se sottraiamo il 10% che finisce comunque in discarica, restano da incenerire circa 473 mila tonnellate. Rivediamo il calcolo per maggior chiarezza

1.500.000 di tonnellate l’anno – meno

975.000 (quota di differenziata a regime cioè il 65%)
____________________________

525.000 tonnellate – meno
52.500 (10 per cento da inviare comunque in discarica)
______________________________________

472.500

Con queste 472 mila tonnellate si deve alimentare l’impianto di Santa Palomba e quello della NextChem (il quale ha dichiarato di aver bisogno di 200.000 tonnellate).

Ecco dunque che il termovalorizzatore va dimensionato in altro modo, altrimenti vi sarà bisogno di importare rifiuti da altri luoghi e questo produrrà un danno all’ambiente.

Una dimensione ragionevole è di circa 300.000 tonnellate l’anno e non 600.000 come previsto da Gualtieri. Solo così vi sarà sufficiente materiale per alimentare Santa Palomba e l’impianto a idrogeno, spingendo nel contempo la città a differenziare il più possibile, salvando l’ambiente e riducendo le sostanze inquinanti per il territorio.

L’accordo con Acea. Altro aspetto poco convincente del progetto Gualtieri è un contratto già sottoscritto con Acea (che realizzerà l’impianto assieme a Hitachi e Suez) che obbliga il Comune di Roma a conferire almeno 600 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati l’anno per i prossimi 33 anni. Poiché il termovalorizzatore deve produrre energia termica e lo può fare solo con questa massa di materiale, il Campidoglio si impegna a fornirla. E qualora non fosse disponibile, sarà costretto a comprarla.

Acea, infatti, ha calcolato che per rientrare dell’investimento iniziale (il costo di costruzione) occorre vendere energia per almeno 33 anni. Inoltre Acea non accetterà ogni tipo di rifiuto ma solo quelli ad alto potere calorico (materiale che brucia meglio). Se il rifiuto è ritenuto a basso potere calorico, Roma Capitale dovrà pagare una sanzione e compensare i minori ricavi di Acea.

Un accordo capestro per il Comune che si trova una strada già segnata per almeno 33 anni e che non ha alcun margine di cambiamento. Anche in questo caso, ridurre la portata dell’impianto potrebbe permettere una revisione di questo contratto sia in termini di materiali da conferire, sia in termini di durata del contratto.

 

I dati sulla produzione di rifiuti derivano dal
Piano Gestione Rifiuti
pubblicato il 4 agosto 2022. Diarioromano ne aveva
parlato in questo articolo

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