Servizi > Feed-O-Matic > 513003 🔗

Venerdì 19 Aprile 2024 09:04

La teologia e il rischio della «privatizzazione della fede»



Nell'Aula della Conciliazione, lectio magistralis di Lorizio, direttore dell'Ufficio diocesano per la cultura, nominato membro ordinario della Pontificia accademia teologica

L'articolo
La teologia e il rischio della «privatizzazione della fede»
proviene da
RomaSette
.

leggi la notizia su RomaSette





Sono gli spazi aperti della cultura e della società civile quelli che la «teologia inquieta e inquietante» deve toccare e raggiungere, al di là dei soli contesti accademici, al fine di «realizzare il suo compito: risvegliarci dal sonno dogmatico» ed essere quindi «dinamica per la comunità». Monsignor Giuseppe Lorizio, direttore dell’Ufficio diocesano per la cultura e già docente di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Lateranense, ieri, 18 aprile, con la lectio magistralis tenuta nella Sala della Conciliazione del Palazzo Lateranense in occasione della sua nomina a membro ordinario della Pontificia accademia teologica (Path), ha ribadito l’importanza di sviluppare e attuare una «teologia del contesto» perché «è dall’evento che nasce la riflessione».

Aprendo i lavori, Rosario Chiarazzo, direttore dell’Ufficio per la pastorale scolastica e l’insegnamento della religione cattolica che ha promosso l’evento in sinergia con l’Ufficio diocesano per la cultura, ha sottolineato proprio che «la teologia deve interessare anche i non credenti», a dire l’importanza del superamento di «una dissociazione tra fides et ratio per compiere un cammino di speranza per un futuro migliore».

Nel suo intervento, Lorizio ha dapprima messo in luce l’importanza di «percorrere i sentieri dell’esistenza, abbandonando “l’autostrada”» della ricerca teologica puramente accademica, per adottare «modalità espressive capaci di confondersi con la complessità del reale, rispettandola». Un punto di partenza deve essere, per Lorizio, «il superamento della diffidenza tra teologi e operatori pastorali», laddove «una pastorale senza teologia non ha una direzione di senso» e, al contrario, «una teologia senza la pastorale rimane astratta». Centrale, in questo approccio, deve essere «il discorso sull’umano», sono ancora le parole di Lorizio, a dire che «il nodo antropologico è il luogo fondamentale» della teologia. Da qui la «valenza culturale e pubblica della fede», che può e deve porsi, per il teologo, come riferimento e guida in questo «nostro tempo che possiamo chiamare della ricerca di senso», ossia che «ci porta a porci quelle domande che ci impediscono di dormire la notte e ci portano a ricercare le risposte nei libri», compiendo «con passione e in maniera disinteressata la ricerca gratuita», fondata sulla «libertà di pensare».

Ancora, per il teologo «è nelle motivazioni del proprio agire ecclesiale» che la Chiesa deve riconoscere «la propria cultura, che non è semplice filantropia», sicché «bisogna saper far comprendere, comunicandola, la valenza culturale di ciò che la Chiesa già fa», attuando e vivendo «la carità» tanto sul piano concreto dell’accoglienza dei migranti, ad esempio, quanto con «l’atteggiamento dello studio». Guardando poi alla situazione attuale e alle guerre, «specialmente quella tra Russia e Ucraina», il teologo ha ricordato «il prossimo anniversario dei 1.700 anni dal Concilio di Nicea indetto e presieduto da Costantino, che riconobbe l’importanza della religione come strumento di pace», per osservare che «finché c’è conflitto religioso non c’è la pace». Proprio per questo, «è importante che ci sia un elemento terzo che lavora e opera per il negoziato».

Questa figura di “negoziatore” Lorizio l’ha riconosciuta in Papa Francesco, che appare «solo» nella ricerca della pace rispetto al contesto politico mondiale; a questo proposito il teologo ha richiamato quanto «scriveva Umberto Eco sul tema», ossia che «l’intellettuale deve sempre e comunque essere per la pace, anche se essa è o appare impossibile». Infine Lorizio ha messo in guardia dal rischio della «privatizzazione della fede», considerando invece «la sua dimensione pubblica in quanto pubblica virtù», per cui «il messaggio del Vangelo vale per la società e non dobbiamo, nonostante il rischio di rimanere isolati, non dirlo e non comunicarlo». Sul piano politico, quindi, il ruolo dei cristiani, che «dovrebbero come comunità sostenere e accompagnare chi si espone per il bene comune», non è quello di «mettersi a fare il partito perfetto» quanto di «integrare le compagini e i valori nei quali ci riconosciamo, colmando il vuoto di quello che manca». Da ultimo, il richiamo a «Gesù di Nazareth, che ha avuto una vita pubblica», e l’invito a «confrontarci con questa dimensione, abitando primariamente i luoghi della formazione» perché «si fa politica se si fa formazione».

Affidate a monsignor Antonio Staglianò, presidente della Path, le conclusioni. «La teologia, che tanto più sa essere sapienziale tanto più è e sarà rivoluzionaria, deve saper dare voce all’antropologia – ha detto -, favorendo un pensiero non intellettualistico ma critico della vita», pur in una società che «non accoglie la fede come sapere pubblico». In particolare, Staglianò ha auspicato che «tutti i saperi critici si avviino verso un concepirsi più sapienziale della ragione» ed è proprio a questo obiettivo, ha concluso il presule, che «la teologia può e deve dare un contributo».

19 aprile 2024

L'articolo
La teologia e il rischio della «privatizzazione della fede»
proviene da
RomaSette
.

Questo sito utilizza cookie tecnici, anche di terze parti, per migliorare i servizi offerti e ottimizzare l’esperienza dell’utente. Si prega di leggere l'informativa sulla privacy. Chiudendo questo banner si accettano le condizioni sulla privacy e si acconsente all’utilizzo dei cookie.
CHIUDI