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Martedì 22 Ottobre 2024 12:10

Il valore delle poesie di Bonhoeffer



Le opere scritte da recluso e la tragica avventura biografica e spirituale del pastore luterano fatto impiccare da Hitler pochi giorni prima della fine della seconda guerra mondiale

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Dieci furono le poesie composte da Dietrich Bonhoeffer nella seconda metà del 1944, recluso nel carcere di Tegel, a Berlino, che possiamo rileggere, estrapolate da Resistenza e resa, in una piccola e preziosa edizione con testo originale a fronte, a cura di Alberto Melloni (Poesie, Marietti1820, pp.105, 10 euro).

I testi, indirizzati alla fidanzata Maria von Wedemeyer e, in maggioranza, a Eberhard Bethge, interlocutore privilegiato, sebbene abbiano una forma lirica, vanno considerati strettamente imparentati, come indica il curatore, «alla tradizione musicale tedesca, al patrimonio innologico luterano, non meno che al linguaggio biblico» e non andrebbero quindi letti in modo autonomo, bensì sempre ricollegati alla tragica avventura biografica e spirituale del grande pastore luterano fatto impiccare da Adolf Hitler pochi giorni prima della fine della seconda guerra mondiale nel lager di Flossenbürg. Tuttavia, dopo aver superato il rischio di percezioni estetizzanti o peggio ancora intimiste, potrebbe essere utile, magari per chi ancora non conosca la figura del teologo forse più affascinante del Novecento, scoprire in tali versi la trama più autentica della sua concezione cristiana.

In questa prospettiva le sorprese potrebbero essere molteplici: dalla meditazione agostiniana sul tempo («Passato, quando tu mi fuggi, / – non rimani tu il mio passato, / il mio?») all’interrogazione interiore («Io, in realtà, son ciò che gli altri dicono di me? / O sono solo ciò che so io di me stesso? »), dall’apparente cieco trascorrere della natura circostante («C’è fuori una sera estiva / che gridando gioia alla campagna / non mi conosce») alla transitorietà dell’esistenza che paradossalmente rimarca il legame fra vivi e morti («Fratello, quando il sole mi sarà scomparso, / vivi tu per me!»), il prigioniero scandisce le quattro stazioni necessarie per raggiungere la vera libertà: disciplina (istinti ordinati e finalizzati), azione (oltre il dubbio dell’indecisione), sofferenza (nella trasformazione verso il compimento), morte (rottura delle gravose catene).

L’amicizia è il fiordaliso più bello perché «nessuno lo ha piantato, / nessuno lo ha innaffiato». Cosa vuole Dio da noi? «Fiducia e fedele confidenza». Non semplici esecuzioni di precetti. Il primo a saperlo è Mosè, al quale viene concessa una morte «sugli alti picchi»: «Ma tutti, loro che ti giurarono lealtà, / loro che appresero la tua forza laggiù ai canneti, / da te hanno distolto il loro cuore; / copre i loro corpi la sabbia del deserto».

Dietrich Bonheffer sapeva di non aver scampo, soprattutto dal momento in cui i nazisti scoprirono la sua diretta partecipazione al fallito attentato contro il Führer del 20 luglio 1944 a Rastenburg. Eppure non perse mai la suprema speranza. L’ultimo distico di Da forze buone recita così: «Dio è con noi alla sera e al mattino, / e stanne certa, in ogni nuovo giorno».

22 ottobre 2024

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