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Giovedì 23 Gennaio 2025 10:01

I rifugiati e il diritto alla casa “raccontati” dal Centro Astalli



Presentata la pubblicazione "Contro muro", nell'ambito del progetto "Home sweet Home". Il presidente Ripamonti: «Abbiamo voluto raccontare quanto sia fondamentale l'inclusione»

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Il diritto a una casa, in particolare dopo essere scappati dalla propria terra. È ciò che racconta la pubblicazione “
Contro muro. Il diritto all’abitare dei rifugiati
”, a cura del Centro Astalli, presentato ieri, 22 gennaio, nella sede dell’associazione. Il documento rientra nel progetto “Home sweet Home”, che da novembre 2023 a novembre 2024 ha aiutato l’autonomia abitativa di 203 migranti e richiedenti asilo nella Capitale, provenienti da 35 Stati, soprattutto Nigeria, Mali, Somalia e Afghanistan. Il 17% faceva parte di un nucleo familiare. Sono state trovate 19 case, anche grazie a 4 workshop che hanno formato 40 migranti su come districarsi tra leggi, burocrazia, contratti e sull’economia domestica, per far fronte a spese ed emergenze.

La pubblicazione, ha spiegato il presidente del Centro Astalli padre Camillo Ripamonti, che firma la prefazione della pubblicazione, vuole sensibilizzare sull’emergenza e proporre soluzioni e speranze, il tutto attraverso le storie. «La casa – ha detto – è un simbolo di radicamento, dignità e integrazione e abbiamo voluto raccontare quanto sia fondamentale l’inclusione». Lo ha confermato la testimonianza di Duclair, giovane del Camerun arrivato in Italia nel 2017. I suoi sogni: riunire la famiglia e avere una casa. Per anni si è sentito dire “non affittiamo a stranieri” e solo nel 2023, «con il lavoro a tempo indeterminato come Oss sono riuscito a comprare casa a Mentana, ottenendo il mutuo al 100% con garanzia statale». Oggi ha riunito la sua famiglia: la sua compagna e le tre figlie di 10, 7 e 4 anni. «Sarebbe stato impossibile – spiega – senza l’aiuto di persone oneste di un’agenzia immobiliare, che mi hanno aiutato». Ma anche un velo di amarezza: «Senza solidarietà chi è rifugiato è destinato a non trovare nulla».

Molte le storie come la sua raccontate nel documento. Come quella di J., arrivata dalla Nigeria otto anni fa. Come aiuto cuoca, aveva un contratto a tempo indeterminato, ma il fidanzato si arrangiava come facchino. Solo grazie all’aiuto degli operatori del Centro i due sono riusciti a trovare un dignitoso bilocale. Anche loro dopo decine di risposte eloquenti e drammatiche: “Mi dispiace ma i proprietari non accettano stranieri”; “Mi spiace ma solo italiani”. Non troppo diversa la storia di S. e di suo marito I., un politico perseguitato del Kurdistan turco. Lasciarono il Paese nel 2018, insieme ai due figli che allora avevano 12 e 9 anni. Dopo essersi divisi – lui in Georgia e gli altri in Europa attraverso la rotta balcanica – il calvario terminò quando la figlia, ormai maggiorenne, trovò un lavoro e lì conobbe il proprietario di un appartamento che prese a cuore la famiglia e firmò un contratto nonostante le poche garanzie economiche.

Nella pubblicazione anche le storie di M., del Togo, dove era stato detenuto e torturato per le sue lotte per la democrazia, che ha poi sviluppato una patologia psichiatrica particolarmente grave, e di A., della Repubblica democratica del Congo, con problemi neurologici dopo i traumi vissuti nell’attraversare il Mediterraneo e, nel viaggio, aver perso la sorella. Entrambi, soltanto grazie al Centro Astalli, hanno trovato una soluzione con l’edilizia sociale.

Si tratta di storie che, nelle parole di Ripamonti, «dimostrano che costruire relazioni e scalfire il muro della discriminazione è un’impresa non semplice» che si realizza soltanto «ricucendo gli strappi sociali, quelli che hanno costruito l’immagine dello “straniero-nemico”, accostandolo al tema della sicurezza e che quindi hanno alimentato la paura tra i già residenti e i nuovi arrivati stranieri, impedendo di costruire un clima di fiducia reciproca».

23 gennaio 2025

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