Martedì 22 Aprile 2025 15:04
Francesco, Baturi: «La sua prima e ultima parola è stata una benedizione»


«Ha salutato il mondo col Risorto, benedicendo l’umanità». Il segretario generale della Cei ricorda il pontefice come guida fraterna e autorevole. E sottolinea: «Amava la Chiesa italiana»
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«Il suo ultimo gesto è stato una benedizione: ha salutato il mondo annunciando il Risorto». Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, parla con commozione all’indomani della morte di Papa Francesco, ripercorrendo il legame profondo che ha unito il pontefice alla Chiesa italiana. Un pontificato segnato da sinodalità, pace, ascolto e riforma: «Ci lascia una testimonianza viva, che chiede di essere accolta e trasformata in cammino concreto nelle nostre comunità».
Eccellenza, la notizia della morte di Papa Francesco ha colpito il cuore della Chiesa e non solo. Come ha vissuto questo passaggio?
Certamente con dolore. È stata una sorpresa spiazzante. Lo avevamo visto il giorno precedente: era in mezzo alla folla, benedicente, disponibile, accarezzava i bambini. Dopo aver saputo che aveva superato diverse crisi in ospedale, pensavamo a un suo ristabilimento.
Certamente con dolore. È stata una sorpresa spiazzante. Lo avevamo visto il giorno precedente: era in mezzo alla folla, benedicente, disponibile, accarezzava i bambini. Dopo aver saputo che aveva superato diverse crisi in ospedale, pensavamo a un suo ristabilimento.
Che pensieri le sono venuti alla mente in quel momento?
Siamo nell’Ottava di Pasqua e la liturgia ci aiuta a collocare il dolore della morte dentro una prospettiva pasquale, nella ferma certezza che Cristo è il pastore che guida la Chiesa. E poi colpisce che l’ultimo gesto ufficiale del Papa sia stata proprio la benedizione Urbi et Orbi, da quella stessa loggia da cui si era affacciato il 13 marzo 2013. Ha salutato il mondo con l’annuncio di Cristo risorto. Preghiamo che il Signore gli apra le porte del Paradiso.
Siamo nell’Ottava di Pasqua e la liturgia ci aiuta a collocare il dolore della morte dentro una prospettiva pasquale, nella ferma certezza che Cristo è il pastore che guida la Chiesa. E poi colpisce che l’ultimo gesto ufficiale del Papa sia stata proprio la benedizione Urbi et Orbi, da quella stessa loggia da cui si era affacciato il 13 marzo 2013. Ha salutato il mondo con l’annuncio di Cristo risorto. Preghiamo che il Signore gli apra le porte del Paradiso.
Lei ha un legame particolare con Cagliari, dove il Papa si recò presto nel suo pontificato. Che ricordo conserva di quel momento?
Da vescovo di Cagliari, ho ricordato che la sua prima visita dopo Lampedusa fu proprio al Santuario della Madonna di Bonaria, dove affidò le speranze e la vita stessa alla Vergine. Allora chiese che nulla si frapponesse allo sguardo di Maria. Oggi, neanche la morte si frappone più. Ora è davanti al mistero di Dio.
Da vescovo di Cagliari, ho ricordato che la sua prima visita dopo Lampedusa fu proprio al Santuario della Madonna di Bonaria, dove affidò le speranze e la vita stessa alla Vergine. Allora chiese che nulla si frapponesse allo sguardo di Maria. Oggi, neanche la morte si frappone più. Ora è davanti al mistero di Dio.
Un pontificato non lungo, ma certamente intenso. Che cosa lascia Papa Francesco alla Chiesa italiana?
Un’impronta profonda, il cui valore forse comprenderemo appieno solo col tempo. Vorrei ricordare tre passaggi fondamentali. Anzitutto il Convegno ecclesiale di Firenze, nel 2015: lì il Papa chiese alla Chiesa italiana di essere una Chiesa inquieta per la fede, capace di attrarre gli uomini, accogliente come una madre, attenta ai poveri e vicina a chi cerca. Quelle tre indicazioni – fede, carità, missione – sono un deposito prezioso. Poi la sua presenza alle Assemblee generali della Cei: amava trattenersi a lungo con i vescovi, in uno stile di dialogo aperto, fraterno, informale, che ha segnato un cambiamento profondo. Infine, il suo costante sostegno al Cammino sinodale, che ha accompagnato fin dalle origini.
Un’impronta profonda, il cui valore forse comprenderemo appieno solo col tempo. Vorrei ricordare tre passaggi fondamentali. Anzitutto il Convegno ecclesiale di Firenze, nel 2015: lì il Papa chiese alla Chiesa italiana di essere una Chiesa inquieta per la fede, capace di attrarre gli uomini, accogliente come una madre, attenta ai poveri e vicina a chi cerca. Quelle tre indicazioni – fede, carità, missione – sono un deposito prezioso. Poi la sua presenza alle Assemblee generali della Cei: amava trattenersi a lungo con i vescovi, in uno stile di dialogo aperto, fraterno, informale, che ha segnato un cambiamento profondo. Infine, il suo costante sostegno al Cammino sinodale, che ha accompagnato fin dalle origini.
Proprio la sinodalità è stata al centro del suo magistero. Che valore ha avuto questo invito per la Chiesa in Italia?
È stato un impulso decisivo. A Firenze indicò con chiarezza l’orizzonte: pastori e popolo insieme, per discernere i segni dei tempi. Dopo la pandemia ci ha chiesto di attivare un vero processo sinodale. Ricordo il 25 maggio 2023: incontrò i referenti diocesani insieme a tutti i vescovi italiani. Un gesto inedito. In quell’occasione, con un discorso profondo e unitario, mostrò quanto tenesse a questo percorso. La sinodalità, per lui, era l’espressione più autentica di una Chiesa in ascolto, capace di rinnovarsi.
È stato un impulso decisivo. A Firenze indicò con chiarezza l’orizzonte: pastori e popolo insieme, per discernere i segni dei tempi. Dopo la pandemia ci ha chiesto di attivare un vero processo sinodale. Ricordo il 25 maggio 2023: incontrò i referenti diocesani insieme a tutti i vescovi italiani. Un gesto inedito. In quell’occasione, con un discorso profondo e unitario, mostrò quanto tenesse a questo percorso. La sinodalità, per lui, era l’espressione più autentica di una Chiesa in ascolto, capace di rinnovarsi.
Il suo testamento ha riportato al centro la pace. Un tema che ha attraversato tutto il pontificato.
Il Papa ha voluto che la pace diventasse anche una dedizione personale. Durante i giorni in ospedale trapelavano parole, pensieri, appelli. Non era una questione solo diplomatica o politica, ma un’urgenza che toccava ogni coscienza. Per noi cristiani, la pace nasce dall’offerta di sé, con Cristo. Ha insistito sul disarmo, sulla giustizia sociale, sulla lotta alla povertà. Ma soprattutto sulla necessità di una fraternità che includa tutti. Il suo richiamo costante alla fiducia, al dialogo, all’amicizia sociale resta un’eredità aperta.
Il Papa ha voluto che la pace diventasse anche una dedizione personale. Durante i giorni in ospedale trapelavano parole, pensieri, appelli. Non era una questione solo diplomatica o politica, ma un’urgenza che toccava ogni coscienza. Per noi cristiani, la pace nasce dall’offerta di sé, con Cristo. Ha insistito sul disarmo, sulla giustizia sociale, sulla lotta alla povertà. Ma soprattutto sulla necessità di una fraternità che includa tutti. Il suo richiamo costante alla fiducia, al dialogo, all’amicizia sociale resta un’eredità aperta.
Accanto a sinodalità e pace, il Papa ha chiesto alla Chiesa italiana impegno concreto nella tutela dei minori. Che segno lascia?
Un segno di responsabilità e coraggio. Ha accompagnato la Chiesa italiana nei percorsi di formazione e prevenzione. Ha elogiato spesso la dedizione verso i giovani, il volontariato, la vita oratoriana, le opere di carità. Non ha mai nascosto le difficoltà, ma ha sempre chiesto di affrontarle con verità, fedeltà al Vangelo e sguardo rivolto al futuro.
Un segno di responsabilità e coraggio. Ha accompagnato la Chiesa italiana nei percorsi di formazione e prevenzione. Ha elogiato spesso la dedizione verso i giovani, il volontariato, la vita oratoriana, le opere di carità. Non ha mai nascosto le difficoltà, ma ha sempre chiesto di affrontarle con verità, fedeltà al Vangelo e sguardo rivolto al futuro.
Che volto ha avuto, secondo lei, il rapporto tra Papa Francesco e la Chiesa italiana? Quali tratti lo hanno reso così profondo e caratterizzante?
Un rapporto di prossimità, fiducia e affetto. Ha creduto nella nostra capacità di camminare insieme. Ha lasciato indicazioni chiare, ma soprattutto uno stile: umile, essenziale, libero. La sua è stata una presenza fraterna e insieme autorevole. Ora siamo chiamati a custodirne la memoria, ma anche a farla fruttificare nel concreto delle nostre comunità. (Riccardo Benotti)
Un rapporto di prossimità, fiducia e affetto. Ha creduto nella nostra capacità di camminare insieme. Ha lasciato indicazioni chiare, ma soprattutto uno stile: umile, essenziale, libero. La sua è stata una presenza fraterna e insieme autorevole. Ora siamo chiamati a custodirne la memoria, ma anche a farla fruttificare nel concreto delle nostre comunità. (Riccardo Benotti)
22 aprile 2025
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