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Domenica 8 Giugno 2025 15:06

Piano per le metro: come servire più periferie


di Paolo Arsena e Corrado Cotignano Periferie. Sempre più essenziali nella mobilità di domani. Non solo per un principio di maggiore equità, essendo ancora oggi le parti di Roma meno servite dal trasporto pubblico. E non solo perché i buoni collegamenti sono il primo antidoto all’emarginazione dei quartieri. Le periferie saranno protagoniste perché rappresentano sempre […]

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di Paolo Arsena e Corrado Cotignano

Periferie. Sempre più essenziali nella mobilità di domani. Non solo per un principio di maggiore equità, essendo ancora oggi le parti di Roma meno servite dal trasporto pubblico. E non solo perché i buoni collegamenti sono il primo antidoto all’emarginazione dei quartieri. Le periferie saranno protagoniste perché rappresentano sempre più la città di domani. Oltre un terzo dei romani si è spostato nella fascia urbana a cavallo del GRA, e cresce anche la tendenza a  trasferirsi nei comuni limitrofi, aumentando il pendolarismo.
Per assolvere alle mutate esigenze ed arginare questo fenomeno di progressivo decentramento, diventa urgente rispondere alla pressante richiesta di maggiore vivibilità, cioè di servizi e di trasporti veloci ed efficaci che sostituiscano la mobilità privata, anche negli spostamenti intraperiferici.
Inoltre, per ridurre il flusso di auto in città, è fondamentale intercettare su ferro il forte pendolarismo dall’area metropolitana. Sia rafforzando le linee suburbane, sia portando le metropolitane ai confini del GRA, per favorire lo scambio modale grazie ai parcheggi di scambio.
E allora domandiamoci se il PUMS attuale (comunale o metropolitano) sia davvero in grado di offrire, in prospettiva, un’adeguata copertura del territorio di Roma, soprattutto ai suoi margini.


La rete metro del PUMS di Città Metropolitana
La risposta è no.
Sono troppe le zone densamente abitate, specie nei quadranti sud, ovest e anche est, in cui il servizio veloce su ferro non arriverà mai, stante questo piano.
Casal del Marmo, Corviale, Trullo, Portuense. Tutta la direttrice sud che va dal Torrino a Tor de’ Cenci, passando per Spinaceto. E poi a est Colli Aniene, Tor Tre Teste, Tor Bella Monaca e un ampio settore del vasto quartiere di Torre Angela sono tagliati fuori dal trasporto metropolitano. Anche Torraccia, Settecamini e Setteville sarebbero escluse dal piano se l’amministrazione, con merito, non avesse recepito
l’indicazione a prolungare la linea B
(o magari la linea D) su queste aree.

Possiamo ovviare a questo handicap.
In parte nel modo potenzialmente più semplice ed economico: utilizzando la rete ferroviaria per realizzare metropolitane di superficie capaci di erogare un servizio molto più frequente, dinamico e capillare rispetto a quello offerto dai soli treni regionali. Un sistema di superficie che si collega a quello ipogeo moltiplicando sensibilmente l’effetto rete sul territorio. Metrovia su questo ha
un piano molto chiaro e puntuale
, aggiornato e perfezionato negli anni, ritagliato proprio sulle opere previste da RFI, che attende solo di essere preso seriamente in considerazione dagli enti preposti.
Ma poi si può intervenire ancora in due modi, adesso che finalmente abbiamo ripreso a progettare le linee e le tratte delle metropolitane ipogee.

Il primo è fare buon uso della “diramazione”. In modo logico e oculato, però.
Perché è uno strumento assai delicato: potentissimo e irrinunciabile, se pensato bene; dagli effetti devastanti, se concepito male. L’esempio negativo è infatti l’unica diramazione esistente sulla rete attuale: quella della Linea B che a Bologna si sdoppia nella B1. A piazza Bologna, cioè in un punto ancora centrale della città. Con un doppio danno: da un lato quello di togliere frequenze a zone ancora molto dense che avrebbero bisogno di maggiore carico; e dall’altro quello di mancare clamorosamente il vero punto nodale, la stazione Tiburtina. Tagliandola fuori dall’intero quadrante nordest (Nuovo Salario, Conca d’Oro, Montesacro, Talenti, Bufalotta e oltre) che sceglie la poco più lontana Termini rispetto a uno scomodo scambio con inversione a Bologna. Riducendo le frequenze su Tiburtina, resa così meno attrattiva. Tutti fattori che hanno senz’altro concorso alla rinuncia di FS a farne la principale stazione dell’Alta Velocità, contribuendo così alla congestione di Termini.

Una diramazione sbagliata non deve però indurre a buttare via, con l’acqua, anche il bambino.
Diramare bene significa moltiplicare i benefici di un’opera infrastrutturale come la metropolitana, irrorandola di più affluenti. Cogliendo così più obiettivi con una sola linea.
Per un risultato efficace, però, occorre diramare in periferia. Mantenere piena frequenza sulla linea di forza, sulla tratta portante che serve la città nodale e i principali attrattori, e diramare sulle direttrici finali, con il carico minore.

Di seguito dunque riportiamo alcune diramazioni che riteniamo efficaci e che ci piacerebbe venissero recepite sia nelle progettazioni in corso, che nella prossima revisione del PUMS.

Per la Metro A, lo sfiocco previsto da Bembo a Monte Mario non si dirige verso il GRA e non intercetta i flussi pendolari. Inoltre l’incrocio a Monte Mario (o S. Filippo Neri) con la FL3 è in buona parte replicato dal nodo di Valle Aurelia. Per servire Primavalle e poi il GRA proponiamo la diramazione di Metro C descritta a seguire, mentre sarebbe preferibile diramare la A a Torrevecchia con un piccolo braccio a copertura della zona di Casalotti. Un parcheggio di scambio potrebbe intercettare tutti gli agglomerati circostanti, risolvendo così l’annoso problema del collegamento di questo territorio.

Per la Metro B, a sud, la diramazione da Laurentina: un braccio a Tor Carbone, l’altro sulla direttrice Fonte Meravigliosa-Tor Pagnotta.


Diramazione per Metro B (M2)
Per la Metro C, la previsione
da Clodio di una possibile diramazione
verso Primavalle, Torresina, Casal del Marmo, inserendo una predisposizione a questo futuro svio nel progetto definitivo della nuova stazione, da realizzare allo scopo con canne sovrapposte.


Diramazione per Metro C (M3)
Per la Metro D, diretta a sud,
una biforcazione dopo il PalaEur
. Con un braccio che attraversi il Torrino, Mostacciano, Casal Brunori, Spinaceto e Tor de’ Cenci, con possibilità di prosecuzione futura verso la via Pontina, dove potrebbe transitare, un domani, la bretella ferroviaria della cosiddetta “gronda sud”. E con l’altro braccio a Laurentino 38, GRA e Fonte Laurentina.


Diramazione per Metro D (M10)
Il secondo modo per coprire il territorio periferico, è introdurre una quinta linea ipogea, che assolva a molteplici funzioni.


La nuova linea metropolitana proposta.
  • Raccogliere, con quattro terminali, tutte le periferie rimaste scoperte: Corviale-Trullo e Portuense-Gianicolense da un lato; Casal Bruciato-Colli Aniene e Quarticciolo-Tor Tre Teste-Tor Bella Monaca dall’altro.
  • Connettere finalmente i quadranti sudest e sudovest attraversando (in sotterranea e nel tratto più breve) il grande cuneo verde del Parco dell’Appia Antica, vera e propria barriera paesaggistico-archeologica per il sistema della mobilità.
  • Offrire un servizio di trasporto veloce ai nuovi insediamenti residenziali e di servizi che riqualificheranno l’area dell’ex fiera di Roma (la Città della Gioia) e l’ex area AMA di Montagnola, e che nasceranno ancora una volta in barba alla primaria esigenza di costruire dove c’è il ferro. Operazioni di questo genere, concepite disgiunte dal sistema della mobilità, dovrebbero essere bandite dalla Roma contemporanea: se vogliamo davvero risolvere il problema del traffico, la prima cosa da fare è evitare di aggravarlo.
  • Infine, la nuova linea sarebbe conllegata a tutte e quattro le altre metropolitane (e anche a molte “metrovie”, se venissero realizzate) dando così alla rete del ferro una maglia di collegamenti ampiamente interconnessi.

La Città della Gioia prevista nell’area dell’ex fiera di Roma.
Roma è di fronte a un passaggio cruciale. Allo scopo di riavviare subito la mobilità cittadina, troppo a lungo anchilosata sulle sue strutturali inefficienze, ha dovuto mettere in campo una serie di opere ereditate e già previste, in parte utili ma in maggior parte molto deficitarie e in qualche caso perfino dannose. Questo significa impostare il futuro non sulla base di un programma capace di affrontare e risolvere i gravi problemi di fondo della città, sfruttando le sue massime potenzialità; bensì sulla base di quel che c’è, così come viene.

Per questo progettare le nuove metro significa darsi una grande occasione per recuperare, per apporre correttivi importanti che possono cambiare il futuro.

Ci sono tante opzioni possibili per fare bene. Noi ne proponiamo alcune allo scopo di ampliare lo spettro delle scelte, che potrà trovare anche ulteriori percorsi, ancora diversi. L’importante è non tarpare le ali al futuro della città, lasciare campo libero allo sviluppo delle soluzioni migliori, che oggi passano per un coinvolgimento graduale, ma quanto più corale ed efficace, delle periferie. Con la consapevolezza che questa città nel tempo è cresciuta troppo storta, sui traporti pubblici. E che questa volta è vietato sbagliare.

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