Giovedì 31 Luglio 2025 16:07
Il vicario apostolico di Beirut: «A Gaza una tragedia, nessuno muove un dito»


Il vescovo Essayan è intervenuto alla parrocchia della Natività a uno degli incontri delle "12 parole" promossi dalla Cei. Focus sul Medio Oriente. «Popolo palestinese condotto alla morte. La sofferenza non può lasciarci indifferenti»
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Dodici parole. Un cammino. E una città che aspetta. Roma per il Giubileo dei giovani si fa punto d’incontro per migliaia di ragazzi che hanno voglia di mettersi in gioco, fare domande vere e cercare risposte che contano. La sfida? Farlo tramite 12 parole chiave che raccontino la speranza.
Nella parrocchia della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, la parola scelta per aprire il dialogo sulla ‘Spes’ è stata ‘coscienza’: di noi stessi, della nostra fede, ma anche e soprattutto del rapporto che stabiliamo con il prossimo. Tante le testimonianze – d’impatto, commoventi – che hanno spinto nella mattina di giovedì 31 luglio i giovani presenti all’evento, promosso dalla Cei, alla riflessione.
Prime fra tutte quella del vescovo Cesar Essayan, vicario apostolico per i cattolici di rito latino a Beirut, che ha spalancato una finestra sulla situazione attuale libanese. «Il Libano e un laboratorio sempre attivo, una sfida continua», ha esordito. «Viviamo una realtà complessa, dove la religione corre il rischio di essere strumentalizzata, usata da poteri politici, stranieri, per dividere e diventare sorgente di conflitto», ha spiegato Essayan, che ha poi – a margine – commentato a Roma Sette la situazione a Gaza: «Il popolo libanese soffre molto per quello che succede nella Striscia, è difficile perfino trovare le parole per parlarne, soprattutto di fronte all’indifferenza mondiale, di un’umanità che pare cieca davanti a quello che stanno vivendo queste persone. Non ci sono parole per descrivere le sofferenze del popolo palestinese, condotto alla fame, alla morte. È una tragedia alla quale noi assistiamo in diretta senza che nessuno muova un dito per fermarla».
Il vescovo ha approfondito la situazione in Libano, alla luce degli attacchi dello scorso giugno da parte di Israele, che aveva minacciato un’escalation volta ad indebolire – e a disarmare – definitivamente il movimento di resistenza di Hezbollah. «La situazione è molto instabile. Israele chiede che vengano smantellati gli armamenti di Hezbollah, ma quale Paese al mondo può assicurare al Libano che non verrà invaso da Israele o dai gruppi terroristici armati, o incontrollati, dalla Siria? O si danno vere garanzie al Libano o si aiuta l’esercito libanese ad essere abbastanza forte e a controllare tutto il territorio, con certezze in più. Perché Israele – ha sottolineato il vicario apostolico di Beirut dei latini – è uno stato potente e noi, da soli, non ce la facciamo contro Istaele; lo stesso Israele che a Gaza si permette di entrare, bombardare, fare quello che vuole mentre nessuno dice nulla. Non può certo funzionare in questo modo. Come sta succedendo anche in Siria e altrove. È inutile dire “è solo colpa di Hezbollah”. Certo, è anche colpa di Hezbollah ma non solo. Israele ha una grande responsabilità in quello che sta succedendo, ma anche tutti coloro che sono dietro ad Israele che non fanno nulla per assicurare una pace duratura in Medioriente sono colpevoli».
All’incontro nella parrocchia della Natività sono intervenute anche Jeanne-d’Arc Davoulbeyukian, rappresentante della Chiesa armena cattolica in Libano, e Théa Ajami, della Conferenza dei vescovi latini nelle regioni arabe. «Essere qui oggi e rappresentare l’antica e resiliente Chiesa armena cattolica mi riempie di umiltà, gioia e speranza», ha esordito Davoulbeyukian. «Siamo qui per riflettere sul potere duraturo della fede. E la mia testimonianza si basa su due fondamenti: il contesto, complesso, del Mediterraneo e i giovani. Nel corso della sua storia il Mediterraneo è stato luogo di incontro, scambio e, purtroppo, anche scontro. C’è una storia comune e interconnessa nel Mediterraneo, che ci unisce a prescindere dalle nostre origini. Una coscienza della nostra responsabilità verso noi stessi e il mondo, che ci permette di distinguere il bene dal male e sviluppare empatia verso gli altri. Tuttavia ascoltare questa voce richiede un enorme coraggio. Proprio per questo voi giovani siete fondamentali per costruire un percorso di pace».
L’invito di Thea Ajami, infine, è stato quello a ‘tornare bambini’ nel senso più puro del termine. «Vi invito ad avere la stessa forza, lo stesso coraggio la libertà con la quale i bambini vivono la loro vita. Di fronte ad un bimbo non ci sentiamo mai giudicati, minacciati, insicuri o sulla difensiva. Un bambino ti accoglie senza condizioni, senza chiederti cosa hai fatto. Ed è allo stesso modo che dovremmo essere in grado di accogliere il prossimo».
31 luglio 2025
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