Lunedì 4 Agosto 2025 09:08
Dostoevskij e la radiografia del male


Nella nuova traduzione di Guercetti, "I demoni" continua a gettare luce inquietante sulla natura dell'umo. Avanzando per accumulo narrativo, attraverso gli interrogativi eterni dell'autore
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Fra i grandi romanzi di Fëdor Dostoevskij, I demoni, che oggi possiamo leggere o rileggere nella nuova traduzione di Emanuela Guercetti, continua a gettare una luce inquietante sulla natura della nostra specie, capace di straordinari prodigi di bene insieme alle più efferate nefandezze. Questo romanzo, un classico della modernità, uscito inizialmente a puntate sul “Messaggero russo” (1871-72), prima ancora che la storia di una fallita cospirazione da parte di alcuni giovani nichilisti affascinati dalla potenza delle tenebre, rappresenta un’impietosa radiografia del male umano.
Al centro del farraginoso intreccio resta Nikolaj Vsevodolovi Stavrogin, una delle indimenticabili creazioni dostevskiane, figlio di Varvara Petrovna, gentildonna pietroburghese, il quale non si lascia incantare dalle mire di Pëtr Stepanovi Verchovenskij che vorrebbe porlo a capo della tentata sedizione rivoluzionaria, ma sembra giocare all’interno della vicenda un ruolo tutto suo, di volta in volta assecondando chi lo circonda o disilludendolo, secondo un comportamento quasi schizoide che deriva da una sostanziale amoralità, non priva tuttavia di un fondo di estrema consapevolezza che lo porterà infine a togliersi la vita. Il suo non sarà certo il suicidio di Aleksej Nili Kirillov, teso a voler dimostrare l’inesistenza di Dio, quanto piuttosto il gesto disperato di chi sente come un peso insopportabile la responsabilità della colpa confessata in un passo memorabile allo starec Semën Jakovlevi Tichon: lo stupro di una ragazzina.
I demoni, pur conservando l’impianto ottocentesco del “romanzo di conversazione”, nel quale i fatti sono quasi sempre filtrati a posteriori dal dialogo dei presenti, in realtà lo stravolge con la dilatazione dei tempi narrativi e dei monologhi, fino a raggiungere una dimensione abnorme e talvolta incontrollata, anche a causa delle divagazioni dell’anonimo cronista, come invece non accadrà nel capolavoro successivo, il supremo I fratelli Karamazov.
Anche il ritratto dei personaggi principali viene sbozzato attraverso progressive inquadrature risultando spesso non perfettamente compiuto: basti pensare a Ivan Pavlovi Šatov, ex servo della gleba cresciuto nelle cucine della Petrovna, fra i cospiratori il più tormentato dal punto di vista religioso, o a sua sorella Dar’ja, sperduta anima buona nel covo di belve in cui si trova. Fra incendi, feste, duelli e impiccagioni, senza trattenere la tentazione sarcastica che rifulge in controluce nel ritratto dello scrittore Karmasinov, perfida parodia di Turgenev, il romanzo avanza per accumulo narrativo svolgendo gli interrogativi eterni sui quali l’autore sempre si misurò: se Dio non esistesse tutto sarebbe potenzialmente lecito, se invece ci fosse di ogni nostra azione dovremmo render conto. Quando Tichon prova a dirlo a Stavrogin, questi non fa che liquidarlo in modo beffardo: «Maledetto psicologo!».
4 agosto 2025
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