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Venerdì 5 Settembre 2025 07:09

Metro D: le best e le worst practices da ereditare dalla linea C

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Dopo anni di vuoto, a gennaio la linea D della metropolitana è tornata prepotentemente nel dibattito cittadino
a seguito della pubblicazionedi una possibile bozza del tracciato da parte de Il Messaggero.
Successivamente
l’assessore alla mobilità Patané ha chiarito che tutte le opzioni sono in corso di valutazione nel DOCFAP
, il documento di fattibilità delle alternative progettuali che dovrà individuare il percorso migliore.


Pur non disponendo degli strumenti scientifici di Roma Metropolitane,
ci siamo permessi di predisporre una proposta migliorativa su alcune criticità attualmente al vaglio
, come il passaggio per il Centro Storico e il tracciato sud ancora tutti da definire.


In questo articolo abbiamo voluto concentrare la nostra attenzione sulle scelte esecutive che sarà necessario mettere a terra, anche memori della recente esperienza maturata con la metro C, in parte ancora in itinere con la tratta del Centro Storico.



 

DA NON FARE – LO SPEZZATINO IN TRATTE (DIS)FUNZIONALI


Questo è stato probabilmente il punto più critico dell’impostazione progettuale dell’intera linea C di Roma: l’aver frammentato il tracciato fondamentale in 6 tratte disfunzionali, che diventano 10 se si considerano le sezioni accessorie non ricomprese nell’appalto aggiudicato nel 2007.


La ratio del dividere la linea per tratte funzionali nasce dalla necessità di costruire la linea man mano che i finanziamenti (e i progetti) si sono resi disponibili.


Questa scelta ha avuto delle ricadute clamorose in termini di ritardi, ancor più dell’impatto archeologico, perché si è legata a doppio filo alla discontinuità dell’amministrazione politica locale.


Il culmine di questo fenomeno si è verificato nel 2013, quando partirono i lavori della tratta T3 al Colosseo: da lì partirono le proteste dell’associazione grillina “Metro C - #fuoridaifori” e di altri comitati pseudoambientalisti a cui fu dato un megafono mediatico incredibili, che mise in discussione la prosecuzione della linea. Un mancato prolungamento che si è protratto fino al 2019, quando l’Assemblea Capitolina a maggioranza grillina fu costretta, dopo aver rimandato per anni, a votare il prolungamento delle gallerie sotto piazza Venezia per evitare il tombamento delle talpe nel delicatissimo cantiere del Colosseo.


Danni che si sono riverberati per anni, anche durante i governi Conte I e II e che sono stati risolti solo nell’ultimo triennio prima col finanziamento del lotto costruttivo da parte del Governo Draghi (2022), poi col completamento della copertura finanziaria da parte del Governo Meloni (2023/2024) e l’attivismo del sindaco Gualtieri che si è sempre dimostrato sensibile all’opera.


Per evitare il ripetersi di questo copione è necessario che la linea D sia suddivisa in massimo 3 tratte funzionali (nord, centrale e sud) più le eventuali diramazioni, vincolando così le successive amministrazioni comunali a proseguire l’opera.



 

DA FARE – UN UNICO APPALTO


Sebbene per anni i rapporti con Metro C spa in alcuni periodi siano stati tutto fuorché cristallini, il ricorso ad un unico appalto per realizzare l’intera tratta fondamentale T2-T7 (Clodio/Mazzini-Monte Compatri/Pantano) più la tratta opzionale T1 (Clodio/Mazzini-Farnesina) è stato il motivo per il quale la metro C si farà nel Centro Storico.


Attualmente l’accordo stipulato nel 2007 prevede anche la possibilità di opzionare anche la diramazione C1 Teano-Ponte Mammolo e ulteriori 12 treni rispetto ai 30 già contrattualizzati. Resta purtroppo fuori la tratta C2 Farnesina-Grottarossa, per la quale il Comune dovrà stilare una gara d’appalto aggiuntiva, che potrebbe essere finanziata anche attraverso un partenariato pubblico-privato (PPP).


Considerando gli importi in gioco e le verifiche da effettuare, con tempistiche nell’ordine degli anni, riteniamo che l’intera linea D dovrà essere appaltata ad un unico soggetto, che potrà esercitare una prelazione sul diritto di costruzione, procedendo alla realizzazione per (poche) tratte funzionali in analogia ad un accordo quadro.



 

DA FARE – IL RAFFORZAMENTO DI ROMA METROPOLITANE


Non serve un fulgido intuito per comprendere che la gestione di un appalto come quello di metro D necessita di una stazione appaltante corazzata, in grado di sostenere il peso e le responsabilità in gioco.


Solo la propaganda grillina, all’apice della furia anti-metropolitane, ha potuto mettere in liquidazione nel 2018 Roma Metropolitane, proprio nel momento in cui si stava redigendo il PUMS. Messa in mora che ha contribuito non solo a bloccare lo sviluppo della linea C, ma che ha sensibilmente rallentato le attività di verifica dell’adeguamento progettuale dei treni di seconda generazione,
che solo a febbraio 2025 è stato possibile ordinare.


Per evitare il ripetersi di una situazione del genere, Roma Metropolitane dovrà essere una società blindata sotto il profilo economico finanziario.


A tal proposito l’assessore Patané si è già fatto promotore di un nuovo meccanismo di autofinanziamento dell’azienda,
i cui costi di gestione dell’appalto dovranno essere sostenuti dallo stesso quadro economico di metro C
, slegandola dalle faziose logiche della politica locale.



 

DA NON FARE – LE SISTEMAZIONI SUPERFICIALI ANONIME


Un punto sul quale metro C non ha mai brillato è la qualità architettonica delle stazioni, dalla periferia fino al Centro Storico. Sono di esempio le anonime stazioni della tratta periferica, così come le piazze di Centocelle, ridotte a miseri lastricati assolati.


In Centro la situazione purtroppo non è migliore, visto che a San Giovanni e al Colosseo i progetti originari hanno previsto il ripristino dello stato di fatto, con enormi autostrade urbane all’interno della città. Scelte purtroppo condizionate da una politica poco lungimirante.


Rispetto a tale grigiore, da piazza Venezia l’input della revisione progettuale ha consentito di migliorare notevolmente le previsioni delle sistemazioni superficiali. Un’esperienza che dovrà essere mutuata anche sulla linea D, considerando anche la possibilità di coinvolgere i quartieri nella definizione dell’assetto finale delle piazze.


Si tratterà di un vero e proprio processo partecipativo che consentirà di restituire delle stazioni più belle e funzionali per i cittadini.

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