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Mercoledì 24 Settembre 2025 10:09

Comitati locali: “Diluvio di impianti fotovoltaici sulla valle del Sacco”

Riceviamo e pubblichiamo integralmente il comunicato stampa sugli impianti fotovoltaici nella Valle del Sacco. La Redazione di Casilina News garantisce […]

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Riceviamo e pubblichiamo integralmente il comunicato stampa sugli impianti fotovoltaici nella Valle del Sacco.

La Redazione di Casilina News garantisce il diritto di replica a chiunque volesse controbattere.

Nella valle del Sacco si abbatte un gran numero di impianti fotovoltaici, senza reale programmazione, e con procedimenti spesso sommari, compromettendo l’integrità delle aree protette e il SIN (Sito di Interesse Nazionale, bacino del fiume Sacco), istituito per il risanamento ambientale di un’area devastata da gravi fenomeni di inquinamento industriale. Le conseguenze sono gravi danni alla salute, all’ambiente e all’economia agraria.
Stupisce l’inerzia delle Amministrazioni locali, che sembrano irretite nel sistema dei rapidi guadagni consentiti dalla speculazione “green”, e incapaci di esercitare la loro funzione istituzionale in difesa dell’ambiente, della legalità e dei reali interessi della popolazione.

Fotovoltaico e agrivoltaico

Lungo la valle del Sacco, nei Comuni di Colleferro, Anagni, Genazzano e Paliano, sono stati approvati, o sono in via di approvazione, un gran numero di progetti di impianti fotovoltaici su suolo agricolo per centinaia di ettari.  Impattano su suoli agricoli anche gli interventi sulle strutture annesse, come le cabine di trasformazione MT/BT ad Anagni, e l’allaccio a quella già attiva a Colleferro Scalo. Negli ultimi tempi quasi tutti i progetti si qualificano come agrivoltaici, sottraendosi così alle restrizioni del DL n.63/2024, emanato per la difesa del suolo. In proposito la sentenza del Consiglio di Stato (n. 8029/2023) dichiara la legittimità di una diversa normativa per gli impianti agrivoltaici, ma stabilisce anche una netta differenza tra “fotovoltaico a terra”, che rende il suolo impermeabile, impedendo la crescita della vegetazione e compromettendo la fertilità, e l’“agrivoltaico”, con impianto di pannelli su pali alti e distanziati, metodo , consentendo la produzione agricola;   Spesso però i progetti presentati come agrivoltaici non rispettano le linee guida ministeriali del 2022: non sono presenti aziende agricole e le società si limitano a presentare pareri di periti agrari sulla possibile coltivazione, che quindi potrebbe rimanere ipotetica.

L’eventualità di revoca degli incentivi o dell’autorizzazione non è evidentemente considerata una seria minaccia, qualora vengano eseguiti dei controlli. Riguardo l’agrivoltaico è doveroso citare i risultati di studi indipendenti, i quali concludono che tale pratica non è innocua, ma a sua volta presenta criticità, come una maggiore occupazione di suolo, la relazione fra gli ecosistemi di superficie, le relazioni ecosistemiche tra suolo e vegetazione, gli equilibri ambientali e il paesaggio.

Comunque sia, gli impianti fotovoltaici, compresi gli agrivoltaici, sono in realtà impianti industriali che comportano anche la realizzazione di cabine di trasformazione e reti di trasmissione di corrente elettrica ad alta tensione, con relative norme di sicurezza. Sebbene siano considerati impianti “temporanei”, per cui i terreni restano qualificati come agrari, in realtà la produzione è prevista per circa 30-40 anni, che è la durata tipica degli impianti industriali. Inoltre l’eventuale ritorno a terreno agricolo presenta costi e problemi, di cui non si tiene alcun conto, ed è anche evidente che tutti gli impianti fotovoltaici ed agrivoltaici hanno un forte impatto sul paesaggio. Inoltre, il costo per il loro smaltimento a fine vita è molto oneroso e, prevedibilmente, saranno addossati al pubblico.

Mancanza di programmazione e procedimenti sommari. Danni salute, ambiente e agricoltura

Siamo quindi di fronte ad una trasformazione su larga scala del territorio e del paesaggio, con una considerevole perdita di terreni agricoli, anche di quelli che producono prodotti tipici riconosciuti dalla Regione. Una trasformazione che richiederebbe discernimento e cautela per evitare danni alla salute, all’ambiente e alla popolazione. Ma non c’è traccia di una seria programmazione: basterà ricordare che perfino le indicazioni dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) di privilegiare le aree industriale dismesse e i capannoni sono disattese: gli impianti fotovoltaici si realizzano soprattutto nei terreni agricoli. Manca anche il rispetto di un’equa distribuzione territoriale tra provincie e comuni e non c’è una seria valutazione dell’impatto sull’economia locale. Le semplificazioni delle procedure che si succedono incidono negativamente anche sulle aree protette istituite dalla Regione, come i due Monumenti Naturali — “Selva di Paliano e Mola di Piscoli” e “Ponte dei Picari”, di recente istituzione, veri e propri “polmoni verdi” di questo tratto della valle del Sacco.  La Selva di Paliano, che è stato uno dei parchi più visitati del Lazio, è ora minacciato da progetti fotovoltaici che incidono sull’area di rispetto. Aggiungiamo che da un po’ di tempo si parla, anche per favorire gli impianti fotovoltaici, di ridurre il SIN – circa 72 km²  – un’area destinata alla riqualificazione dal grave inquinamento ambientale iniziato nei primi anni del ‘900.

A ciò si aggiungono evidenti anomalie nei procedimenti autorizzativi, che non sembrano in grado di garantire efficacemente il rispetto della legislazione vigente. Per limitarci al procedimento di valutazione d’impatto ambientale (VIA) gestito dagli Uffici regionali, accade, come abbiamo osservato, che un progetto fotovoltaico a terra si muti, nel corso del procedimento, in un progetto “agrivoltaico” senza che venga apportata alcuna modifica. In altri casi il proponente dichiara l’area del progetto idonea, mentre non lo è rispetto agli stessi provvedimenti legislativi citati.  Si potrebbe credere che l’Ufficio regionale che gestisce il procedimento sia in grado di segnalare queste anomalie, ma in genere non lo fa. Un altro fatto che non aiuta certo la correttezza dei procedimenti è che dalle Conferenze di Servizi sono sistematicamente escluse le associazioni e i comitati locali di cittadini, mentre i rappresentanti della società proponente possono essere anche più di uno (ricordiamo che la Conferenza decide a maggioranza) e i Comuni di frequente non partecipano alle riunioni.

Per completare il quadro occorre dire che le ditte proponenti non sembrano raccomandabili: spesso sono appena costituite, ed hanno capitali minimi, qualche migliaia di euro o anche meno, insufficienti non solo a realizzare le opere, ma perfino a predisporre i progetti che presentano.  A ciò si aggiungono amministratori irreperibili, sedi fantasma con indirizzi di comodo, e garanzie fideiussorie più che discutibili. Queste società si accaparrano terreni agricoli per conto terzi, in una corsa sfrenata agli incentivi e fondi PNRR, che hanno drogato il settore, per una “transizione energetica” che sembra ormai fuori controllo, anche rispetto agli obiettivi che si pone. Basterà ricordare che, secondo l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) gli incentivi per le rinnovabili nel 2024 sono stati 8,9 miliardi.

Inerzia delle Amministrazioni pubbliche

Il peso tecnico e burocratico delle procedure autorizzative supera le possibilità di intervento su larga scala delle associazioni, della cittadinanza e dei diretti interessati.  Per questo ci limitiamo — almeno per ora — a monitorare da vicino le criticità legate agli iter autorizzativi. I Comuni avrebbero maggiori possibilità di intervento, ma quando si segnalano presunte illegalità e violazioni delle norme procedurali, i Comuni risultano spesso assenti. E’ grave l’assenza di qualsiasi volontà di dialogo con la cittadinanza, ed ancora più grave il mancato coordinamento con gli altri enti coinvolti — Città Metropolitana di Roma, Provincia di Frosinone, Regione Lazio, ASL e soggetti competenti — per tutelare efficacemente il patrimonio rurale e naturalistico. Una cittadinanza consapevole non può accettare che si riduca il ruolo dei Comuni a semplici spettatori, venendo meno ai loro compiti istituzionali.

La mancanza di trasparenza da parte dei promotori economici e dei comuni investe anche gli aspetti fiscali: non è dato sapere se — e in quale misura — vengano effettivamente riscossi e resi pubblici gli introiti derivanti da IMU e TARI, dovuti fin dal rilascio dell’autorizzazione definitiva degli impianti.

Si parla sempre di sostenibilità, ma è forse sostenibile l’attuale consumo di suolo agrario? E non lo sono nemmeno i danni inflitti alla biodiversità sia naturale che agraria, nonché alla salute umana. Sono danni difficilmente riparabili, inflitti da un modello consumistico che non è mai messo in discussione e non si parla neanche più di percorsi di risanamento, riconversione o rigenerazione.

L’impatto dei progetti fotovoltaici in dettaglio. Paliano e Colleferro

La via Palianese è sotto una forte pressione per la concentrazione di impianti: accanto al parco fotovoltaico esistente di 71 ettari, ne è stato autorizzato uno di 13 ettari ed è prossimo all’autorizzazione un altro di 26 ettari. In tutto, fino al 2024, abbiamo contato 23 progetti, per circa 455 MW, di medie e grandi dimensioni.

Ma questa estate è stata segnata dalla continua ricerca di informazioni su un impianto, che rappresenta una minaccia concreta alla vocazione di un’agricoltura di eccellenza e all’identità storica di Paliano, anche se un singolo progetto non può restituire la reale dimensione del danno complessivo. Parliamo del progetto agrivoltaico a terra (della potenza di 17,57 MWp in corrente continua e 17,1 MW in corrente alternata), denominato “Focarelle”, località “il Vallone”, esteso su circa 40 ettari, proposto dalla società Ponticello s.r.l.

Nell’ambito del Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale (PAUR), il procedimento di VIA -iniziato il 3.1.2025 – a tutt’oggi risulta “sospeso” e la Regione ha reso inaccessibile il box documentale, ma siamo riusciti a visionare in tempo il progetto: anche questo viola le distanze minime stabilite dalla normativa per le aree protette. L’intervento ricade infatti all’interno della fascia di rispetto di 500 metri dai due Monumenti Naturali — “Selva di Paliano e Mola di Piscoli” e “Ponte dei Picari” — in contrasto con il D.Lgs. 199/2021, che esclude esplicitamente la possibilità di installazione di impianti fotovoltaici. Non solo, i terreni agricoli sono inseriti anche all’interno del “Biodistretto Paliano-Genazzano”. Inoltre, tra gli obiettivi di tutela della Selva è inclusa la salvaguardia delle aree di riproduzione, alimentazione e transito di specie faunistiche protette (Direttiva Uccelli), completamente ignorata nel progetto presentato.

Nei mesi scorsi, alcuni residenti hanno ricevuto una comunicazione che li informava dell’acquisto, da parte della Ponticello s.r.l., di circa 10 ettari di terreni confinanti con le loro proprietà, concedendo loro la possibilità di esercitare il diritto di prelazione, ma a condizioni palesemente svantaggiose, tali da renderlo impraticabile. Nel frattempo, la stessa società avrebbe già acquisito altri 30 ettari, sempre in un’area a ridosso dei due siti di rilevante valore ambientale.

La prossimità dell’impianto alle abitazioni e i rischi potenziali in caso di incendio, aggravati dalla mancanza di vie di fuga, sono problemi del tutto sottovalutati — se non ignorati — come dimostra il caso del progetto ridenominato “agrivoltaico” a terra, presentato ad agosto 2023, della società Pagliano PV S.r.l., in via Fontana degli Angeli, lungo la via Palianese (all’altezza di Amazon), che interessa circa 26 ettari, della potenza di 14,935 MWp, attualmente in procedura di VIA “sospesa” per il rilascio del PAUR.

Questo impianto ricade, inoltre, in un’area non idonea, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004, n. 42), che stabilisce una fascia di rispetto di 500 metri dalle aree vincolate.

È previsto che il cavidotto della Pagliano PV S.r.l. in media tensione venga interrato su un’estensione di circa 7 ettari, attraversando anche la Selva di Paliano e l’area protetta circostante. L’impianto sarà collegato alla sottostazione di Anagni, in località colle Tunno, con un allaccio in alta tensione destinato a connettersi alla nuova stazione Terna in fase di realizzazione.

Sulla linea di alta tensione “Valmontone–Castellaccio” si prevede il parziale smantellamento dell’esistente, la sostituzione e l’installazione di nuovi tralicci, oltre a una serie di opere funzionali alla nuova infrastruttura. Modifiche analoghe sono previste anche sulla linea “Colleferro–Anagni”, lungo un tracciato di circa 12 km, con sostituzione di tralicci e posa di nuovi cavi interrati.

Tutti questi interventi richiederanno l’avvio della procedura per l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio per pubblica utilità, a carico di numerosi privati, il cui terreno confina con i tracciati interessati dai diversi progetti, del tutto ignari di quanto viene deciso in casa loro.
Mentre la proponente prosegue a tamburo battente, le Amministrazioni comunali restano immobili, spettatrici silenziose.

Genazzano

Il progetto “Genazzano”, proposto nel 2020 dalla società Ottobiano Srl – oggi Shell Italia – prevede un impianto fotovoltaico a terra su circa 34 ettari, nelle località “Colle Traccia”, “Colle Salomone” e “Colle dei Pazzi”. La potenza è di 36 MWp in corrente continua e 35 MW in corrente alternata, con una durata prevista di 30 anni e con il parere favorevole dei Comuni di Genazzano (nonostante il voto contrario del Consiglio comunale) e di Colleferro. Quest’ultimo ha disertato la Conferenza di servizi, interessandosi unicamente alle compensazioni — tra cui una nuova pista ciclabile — senza esprimere alcuna opposizione al piano particellare, che prevede l’imposizione di servitù coattive anche su terreni privati per pubblica utilità.

A fine luglio, è stata la società — e non la Città metropolitana di Roma Capitale — a comunicare ai proprietari l’apposizione della servitù pubblica, senza alcuna informazione preventiva e proponendo un indennizzo irrisorio al “buio”. La corposa documentazione pubblicata nel box regionale è di difficile consultazione e non risultano chiare le distanze e la posizione esatta del tracciato del cavidotto. Il Comune di Colleferro è rimasto assente, incapace di offrire assistenza concreta ai cittadini coinvolti.

Qui il cavidotto in media tensione, completamente interrato lungo la viabilità esistente, si estende per oltre 7 km, fino alla cabina primaria di Colleferro Scalo, dove sarà realizzata la sottostazione di connessione. Va evidenziato che l’ultimo tratto del tracciato e le cabine elettriche di allaccio ricadono all’interno del perimetro del SIN. Anche questo impianto risulta adiacente alla Selva di Paliano e la società proponente si avvale della stessa Tekne Engineering, già incaricata della gestione del progetto “Focarelle”a colle Rampo.

Anagni

Il Comune si candida a Capitale Italiana della Cultura 2028, ma le scelte della maggioranza appaiono in evidente contraddizione con questo obiettivo, a partire dal destino dell’ex deposito militare comunale, noto come “la Polveriera”. Qui, secondo il piano di fattibilità, sorgerà un enorme parco fotovoltaico a terra da 99,9 MWp, esteso su 130 ettari dei 180 complessivi, con una durata stimata di 35 anni. Sui restanti ettari si prevede la realizzazione di un data center su una superficie di 40 ettari, un circuito per gare di motocross su una superficie di 15 ettari, parcheggi a servizio della stazione ferroviaria. Un’orgia di consumo di suolo.
Il progetto, fortemente sostenuto dall’Amministrazione comunale, è passato sotto silenzio: i cittadini non sono stati coinvolti e attendevano piuttosto un intervento di bonifica e valorizzazione sociale dell’area. Invece, lo scorso 4 settembre, il Consiglio comunale ha approvato la dichiarazione di pubblico interesse dell’opera, senza la partecipazione della cittadinanza e senza una vera istruttoria tecnico-economica, abbandonando la precedente proposta di un nuovo ospedale con annesso centro universitario.

Conclusione. Transizione energetica nella valle del Sacco: territorio svenduto, comunità ignorate

Molti terreni agricoli della valle del Sacco sono già stati trasformati in distese di pannelli fotovoltaici e solo a maggio 2024 il Governo ha vietato l’installazione di impianti a terra in aree agricole. Troppo tardi, e senza indicazioni chiare, lasciando a Regioni e Comuni il compito di individuare le aree idonee (D.M. 21/06/2024).
Nei nostri Comuni, ad oggi, nessuna Amministrazione ha pubblicato una mappa completa delle zone autorizzate né avviato un serio monitoraggio degli impianti attivi o in progetto. Manca una pianificazione trasparente e condivisa, mentre la comunità agricola paga il prezzo di scelte politiche irresponsabili.
L’agrivoltaico è l’eccezione che aggira la regola: questi impianti su terreni agricoli sono ancora consentiti, con pannelli sopraelevati. Ne è seguita una corsa sfrenata a sfruttare ogni spiraglio normativo, alimentata da una transizione energetica accelerata e fuori controllo, sostenuta da PNRR e incentivi, che hanno drogato il settore.
La minaccia che denunciavamo è realtà e l’attenzione di Sindaci e Consigli comunali sembra più rivolta alle società che ai cittadini. La tutela di ambiente, paesaggio e biodiversità resta priva di riscontro concreto nelle scelte amministrative e nelle politiche di governo, che disattendono la norma europea che impone, per i progetti finanziati dal PNRR, il rispetto del principio “non arrecare danno significativo” (DNSH) agli obiettivi ambientali dell’UE.

Italia nostra
Anagni viva
Diritto alla salute
Comitato residenti Colleferro

Foto di repertorio

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