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Martedì 30 Settembre 2025 10:09

Un piano su Gaza, senza Gaza non con Gaza



La proposta in 20 punti presentata da Trump e Netanyahu: smilitarizzazione della Striscia, liberazione degli ostaggi, amministrazione tecnocratica e un Board presieduto da Trump

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Il piano in 20 punti annunciato da Trump e Netanyahu alla Casa Bianca è un coacervo di proclami, promesse, minacce, intenzioni e alcune misure concrete. Queste ultime erano note da tempo, anche perché hanno fatto oggetto di accordi in precedenti intese per il cessate il fuoco, già all’epoca di Biden. Tutti elementi che derivano da una trattativa, dalla diplomazia, non certo dai massacri indiscriminati. Anche se questa volta si ha più l’impressione di un diktat.

A parte l’idea di una Gaza deradicalizzata e “terror-free” (senza Hamas), i passi immediati consistono nei seguenti: la liberazione di tutti gli ostaggi (vivi o morti) in cambio del rilascio di 250 palestinesi condannati all’ergastolo e 1.700 abitanti di Gaza detenuti senza processo in Israele dopo il 7 ottobre; la riapertura dei valichi per consentire l’accesso degli aiuti umanitari; nessun palestinese di Gaza sarà costretto a lasciare la Striscia; Israele non occuperà o annetterà Gaza. Tutto ciò a condizione di una smilitarizzazione di Gaza e della promessa della non punibilità e della garanzia di un passaggio sicuro per gli elementi di Hamas che volessero riparare all’estero.

Gli elementi di (relativa) novità riguardano il governo della Striscia, che dovrebbe essere affidato a un comitato palestinese «tecnocratico e apolitico», come già ampiamente previsto nel piano di pace arabo, ma con la “supervisione” di una specie di “Consiglio di amministrazione” (Board) presieduto nientemeno che dallo stesso Trump e da altre personalità internazionali (tra cui, pare, Tony Blair). Inoltre, la sicurezza dovrebbe essere garantita da una “Forza internazionale di stabilizzazione” che dovrebbe subentrare progressivamente all’esercito israeliano.

In coerenza con questa scelta “aziendalistica”, nei 20 punti troviamo la ricostruzione, che però assomiglia parecchio a un progetto di sviluppo immobiliare, con la creazione di zone economiche preferenziali, e un piano economico targato esplicitamente “Trump”.

L’impressione è che in tutta questa congerie di operazioni da mettere in atto, Gaza e i Gazawi siano trattati come un oggetto di cui disporre a piacimento, con totale disprezzo della storia millenaria della Striscia e della dignità del suo popolo, compiendo – per giunta – il vilipendio delle decine di migliaia di morti innocenti, da rimuovere (metaforicamente ma molto verosimilmente anche fisicamente) assieme alle macerie. Gaza diverrebbe una via di mezzo tra la famosa “riviera” (o una nuova Dubai) e un protettorato, decretato però arbitrariamente da una coalizione di Stati e non dalle Nazioni Unite, mentre non vi è alcuna menzione dell’Autorità nazionale palestinese.

Come se non bastasse, Gaza viene trattata come un corpo separato, un’entità a sé stante che non sembra far parte della prospettiva di uno Stato palestinese. Già, in tutto questo, che fine fa la Palestina-Stato? I punti finali del cosiddetto piano sono rivelatori. Se e quando Gaza si stabilizzerà e le riforme palestinesi procederanno, «potrebbero emergere condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la statualità palestinese».

Un linguaggio palesemente ipocrita, che riavvolge il nastro della storia addirittura al periodo precedente agli Accordi di Oslo del 1993. Per quanto lo si cerchi, nel funambolico piano americano non si trova alcun riferimento alla Cisgiordania e neppure un cenno al ritiro di Israele dai territori occupati.

La ciliegina sulla torta è il ruolo, per così dire, diplomatico che il piano riserva agli Stati Uniti, che «faciliteranno il dialogo tra Israele e i palestinesi per concordare un orizzonte politico verso una pacifica coesistenza», che dovrebbe essere appoggiata, in questo afflato simil-pacifista, dal “dialogo interreligioso” per promuovere la tolleranza. Ma questo conflitto, prima di Hamas e soprattutto della destra religiosa fanatica israeliana, non era mai stato religioso, ma territoriale. Basterebbe, invece di questa costruzione barocca, ritornare a una formula antica, ma ancora attuale: “land for peace”, cioè una terra per i palestinesi e una per gli israeliani, e la pace in tutta la regione. (Pasquale Ferrara, ex ambasciatore, docente di Diplomazia e negoziato)

30 settembre 2025

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