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Giovedì 2 Ottobre 2025 10:10

Il popolo della pace da Cracovia a Kiev



Le voci degli attivisti italiani: «La guerra scoppia quando si perde l'umanità». E all'Europa e ai leader mondiali dicono: «È inutile. Arricchisce pochissime persone e mette in disperazione moltissima gente»

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Appuntamento: Cracovia. 110 attivisti italiani sono arrivati ieri, mercoledì 1° ottobre, all’aeroporto della città polacca. Prima tappa di un lungo viaggio in treno con destinazione Kiev e Kharkiv. È iniziato così il “Giubileo della Speranza” in Ucraina (fino al 5 ottobre): un’iniziativa promossa dal Mean (Movimento europeo di azione non violenta) a cui hanno aderito associazioni e movimenti tra cui Agesci, Acli, Masci, Azione cattolica, Movimento dei focolari, Sale della terra, Base. C’è un gruppo dell’Ordine Francescano secolare che ha deciso di celebrare questo Giubileo della Speranza in Ucraina a nome di tutto l’ordine proprio nel Triduo di preparazione in onore di San Francesco di Assisi, il santo del dialogo in un tempo che gridava anche allora con la voce solo delle armi e delle guerre. Ci sono sindaci, assessori e consiglieri comunali. Insomma, un popolo con alle spalle storie diverse, che ha deciso di mettersi in viaggio in un momento critico del conflitto russo-ucraino, per essere presenti, mettersi in ascolto, condividere lacrime ma anche sorrisi. In una parola, portare “umanità” in una terra fortemente provata dalla guerra. Li abbiamo incontrati all’aeroporto di Cracovia per conoscere cosa li ha spinti a rischiare la vita per portare questo messaggio di fraternità in Ucraina. Ecco come hanno risposto.

Enrico Gussoni, 31 anni, Agesci. «Le motivazioni sono molteplici. Da anni mi sento vicino alla causa ucraina, la seguo e mi coinvolge personalmente. Come scout e per la mia esperienza in politica ho sentito il bisogno di esserci. È come se diversi percorsi della mia vita convergessero in questa scelta: quando ho saputo che c’era questa possibilità, l’ho riconosciuta subito come un’occasione che metteva insieme tanti fili del mio percorso. In realtà non parto per dire qualcosa, ma per ascoltare e conoscere. Ho naturalmente delle idee, ma credo sia più onesto sospenderle finché non avrò visto con i miei occhi. Seguendo con attenzione le notizie, anche dai media ucraini, penso di avere un’idea di ciò che troverò. Ciò però che più mi interessa non sono le macerie, bensì le persone. Ho una sorta di timore reverenziale verso chi vive da anni in questa situazione: voglio capire affrontano la quotidianità, come resistono».

Michela Piccoli, Azione cattolica di Bassano del Grappa. «Ho sentito il desiderio di venire per conoscere questa realtà, vedere con i miei occhi come vivono le persone in un paese in guerra. Ho ospitato una ragazza ucraina l’anno scorso e ho visto negli occhi la sua sofferenza. Non potevo rimanere indifferente, volevo toccarla anch’io con mano questa sofferenza. Nel Vangelo di domenica scorsa, mi ha colpito l’immagine del ricco che guarda Lazzaro con le sue piaghe e malgrado ciò continua a mangiare. Mi sembra che anche noi stiamo guardando alla televisione le piaghe del mondo ma non ci spostiamo, non ci toccano. Le vediamo scorrere sullo schermo ma sembrano non interpellarci. Abbiamo paura, e la paura ci impedisce di mettersi in ascolto delle persone, di guardarle in faccia. Che diplomazia è questa? È la diplomazia che agisce attraverso il silenzio dei nostri corpi. Non hanno armi, non hanno nulla ma sono e vogliono essere un segno di umanità. Probabilmente se tutti avessimo un po’ di umanità le guerre non ci sarebbero».

Paola Villa, Acli. «Siamo qui come Acli perché riteniamo che la pace oggi sia un tema fondamentale per la convivenza e per la costruzione del futuro. Stiamo provando a costruire più legami di umanità in più punti possibili. Da Gaza all’Ucraina e prima ancora nei Balcani. Siamo convinti che sono e saranno questi legami a portare  anche all’interno di contesti deteriorati in cui sembra di essere del tutto impotenti, la speranza di qualcosa che si possa avverare e dire alle persone che vivono in contesti di guerra che non sono sole. È un tentativo di diplomazia popolare che oggi si trova ad agire in contesti più difficili, perché i conflitti hanno forme più complesse e meno nette. Una diplomazia popolare che oggi è ancor più necessaria. L’Europa o riesce a crescere come identità di costruzione di relazioni e di pace oppure non sarà».

Paolo Petrella, 21 anni, studente di diritto dell’economia all’Università di Padova. «Ho deciso di fare questa esperienza perché voglio portare la mia solidarietà a questo popolo in guerra. E portare la solidarietà, per me significa far capire loro che non sono soli, ascoltando, ad esempio, le loro testimonianze per poi portarle nella mia realtà. Secondo me la società civile può muoversi come stiamo facendo noi: cioè mobilitarsi in modo pacifico. Penso che se i politici sono del tutto impotenti bisogna cambiare rotta, cambiare modo di pensare. I politici dovrebbero ascoltare di più le persone, sforzarsi di trovare il modo per dialogare e andare incontro ad altri. Sogno un mondo di pace, un mondo dove si possa affermare la propria opinione senza essere giudicati o discriminati».

Antonio Foresti, Pax Christi di Bergamo. «Mi ha spinto a venire qui il desiderio di testimoniare con la mia presenza la vicinanza ad un popolo che soffre in guerra. Vorrei semplicemente portare un sorriso nelle lacrime. La guerra scoppia quando si perde l’umanità. Ci vuole un nulla per scatenarla ma anni per risanare le ferite che causa. Ci sono infatti ricordi che fanno male e vite che sono state distrutte per sempre. Ritengo che la presenza di un corpo civile, che può essere Mean, che può essere Pax Christi…, anche in un contesto di conflitto sia fondamentale. Siamo qui per dire all’Europa e ai grandi leader politici che la guerra è inutile,  arricchisce pochissime persone lasciandone invece molte e molte altre nella disperazione, senza contare i gravi traumi, le lesioni, il dolore che essa che provoca. E a noi tutto questo ferisce». (M. Chiara Biagioni)

2 ottobre 2025

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