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Lunedì 6 Ottobre 2025 09:10

Il Papa: la missione e la sfida del «restare»



Nella Messa per il Giubileo di mondo missionario e migranti, Leone XIV ha sottolineato il cambiamento epocale che ridefinisce la missione evangelizzatrice. Urgente ravvivare «il fuoco della vocazione». Ai migranti l'augurio di essere «sempre i benvenuti»

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La Chiesa sta vivendo un cambiamento epocale, un’inversione di paradigma che ridefinisce la missione evangelizzatrice. Non si tratta più esclusivamente di «partire» verso terre lontane per portare la Parola. Oggi la missione richiede anche di «restare» e aprire il cuore, accogliendo «il dramma» di chi fugge dalle guerre, dalla miseria, dalle persecuzioni, dai disastri climatici. Persone che «non possono e non devono trovare la freddezza dell’indifferenza o lo stigma della discriminazione». La missione della Chiesa è un impegno che va oltre i confini geografici, rispondendo al grido di speranza di chi cerca «un porto sicuro in cui fermarsi» e iniziare una nuova vita. Ma anche i migranti hanno una responsabilità: sono portatori di speranza, testimoni viventi di un Vangelo vissuto nella carne.

È il cuore dell’omelia di Papa Leone XIV che ieri mattina, 5 ottobre, in una piazza San Pietro inizialmente avvolta da un cielo plumbeo, ha celebrato la Messa in occasione del Giubileo del mondo missionario e quello dei migranti. Nell’omelia Prevost, che per vent’anni è stato missionario in Perù, ha ribadito che «tutta la Chiesa è missionaria» ma oggi non si tratta più solo di una missione “ad gentes” «perché la povertà, la sofferenza e il desiderio di una speranza più grande» vengono verso di noi. E prima della preghiera dell’Angelus ha richiamato alla centralità umana. «Nessuno deve essere costretto a partire, né sfruttato o maltrattato per la sua condizione di bisognoso o di forestiero. Al primo posto sempre la dignità umana», ha affermato.

La parola chiave della nuova missione è quindi “restare”. «Restare senza rifugiarci nella comodità del nostro individualismo – ha affermato il Papa -, restare per guardare in faccia coloro che arrivano da terre lontane e martoriate, restare per aprire loro le braccia e il cuore, accoglierli come fratelli, essere per loro una presenza di consolazione e speranza. Sono tante le missionarie, i missionari, ma anche i credenti e le persone di buona volontà, che lavorano al servizio dei migranti, e per promuovere una nuova cultura della fraternità sul tema delle migrazioni, oltre gli stereotipi e i pregiudizi. Ma questo prezioso servizio interpella ciascuno di noi, nel piccolo delle proprie possibilità».

Per il vescovo di Roma è urgente ravvivare «il fuoco della vocazione missionaria» senza perdere di vista che «la fede non si impone». Ha quindi invitato a «promuovere una rinnovata cooperazione missionaria tra le Chiese» e, rivolgendosi direttamente a quelle dell’Occidente, ha chiesto di cogliere nella presenza di tanti migranti «un’opportunità, per uno scambio che rinnova il volto della Chiesa e suscita un cristianesimo più aperto, più vivo e più dinamico». Il missionario che si reca in altri Paesi deve invece essere in grado di «abitare le culture che incontra con sacro rispetto, indirizzando al bene tutto ciò che trova di buono e di nobile, e portandovi la profezia del Vangelo». Un appello poi alla Chiesa europea dove «oggi c’è bisogno di un nuovo slancio missionario», accompagnato da «nuove proposte ed esperienze vocazionali capaci di suscitare questo desiderio, specialmente nei giovani». Ai migranti ha augurato di essere «sempre i benvenuti. I mari e i deserti che avete attraversato – ha detto -, nella Scrittura sono “luoghi della salvezza”, in cui Dio si è fatto presente per salvare il suo popolo. Vi auguro di trovare questo volto di Dio nelle missionarie e nei missionari che incontrerete».

Nell’omelia il Papa ha affrontato anche il tema del mistero del dolore e del grido umano che si leva a Dio nei momenti più oscuri. «Perché, Signore, non intervieni?», ha detto il Papa citando il profeta Abacuc, riconoscendo la tensione tra fede e silenzio di Dio, già affrontata da Papa Benedetto XVI durante la sua visita ad Auschwitz. Da quel grido, ha spiegato, nasce la speranza: «Il giusto vivrà per la sua fede», e sarà quella fede a operare silenziosamente nel mondo, trasformandolo con l’amore «quando ci facciamo “servi inutili”, cioè quando ci mettiamo al servizio del Vangelo e dei fratelli senza cercare i nostri interessi, ma solo per portare nel mondo l’amore del Signore».

Al termine della Messa, con le nubi che si erano diradate, il Papa ha fatto un lungo giro in papamobile attraversando anche via della Conciliazione, gremita di fedeli, salutato da bandiere di tutto il mondo e dagli applausi di pellegrini giunti da tutto il mondo. Tanti i neonati che gli sono stati porti lungo il tragitto e che ha benedetto.

6 ottobre 2025

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