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Martedì 7 Ottobre 2025 11:10

Intervista al Viaggiatore Sovrappeso, l’uomo che ha voluto raccontare il suo Iran

Abbiamo seguito lo scrittore Bernardo Notarangelo durante tutte le fasi della XVI edizione del Festival...

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Abbiamo seguito lo scrittore Bernardo Notarangelo durante tutte le fasi della XVI edizione del Festival della Letteratura di Viaggio, che lo visto vincitore ex equo con Marco Steiner. Eravamo già stati conquistati dall’opera con cui ha partecipato al Torneo, lo splendido libro di viaggio “Un viaggiatore sovrappeso in Iran”. Conoscendolo di persona, abbiamo potuto apprezzare anche la sua competenza, la sua curiosità per tutto ciò che è vita e – non ultimo – il suo senso dell’umorismo. Notarangelo, o come ormai ci piace chiamarlo il Viaggiatore Sovrappeso, ha gentilmente accettato di fare una chiacchierata sul suo libro, spaziando anche su tanti altri temi.
 
Che cosa l’ha spinta, durante la finale della XVI edizione del Festival della Letteratura di Viaggio, a rinunciare alla possibilità di essere l’unico vincitore, chiedendo invece di condividere il primo premio ex equo con Marco Steiner, in gara con il graphic novel “Nella musica del vento?” E che cosa ha significato per lei vincere questo premio?

Anzitutto e doverosamente: non è detto che avrei vinto io, perché Marco Steiner è uno scrittore bravissimo. Quella del 3 ottobre, quando vi è svolta la selezione finale, era una giornata particolare. In un mondo in cui la guerra sembra sia ormai un evento naturale e ineluttabile, per me e per tantissimi era una giornata per la pace. E allora, dopo aver sentito parlare Marco Steiner, mi sono detto: “Io voglio vincere con lui, non contro di lui”. Da qui il mio appello al pubblico, che Marco ha condiviso: votate entrambi. E’ stato un momento molto bello. Quanto al significato della vittoria, vede, io ho 65 anni e con la mia opera prima sono arrivato nella mente e nel cuore di tanti lettori. Ho provato una gioia particolare quando ho appreso che il mio libro è stato quello più votato dai Circoli di Lettura di Roma. Che volere di più? Ho trovato l’alba dentro l’imbrunire.
 
Alle spalle lei ha una lunga e brillante carriera dirigenziale, che si è conclusa quando si è dimesso dall’incarico di presidente di Milano-Ristorazione. È corretto affermare che da allora lei ha cambiato completamente vita?

Diciamo che è abbastanza corretto, anche se ho sempre avuto, anche prima, la passione per i viaggi. Seneca dice che la nostra ricchezza principale è il tempo. Non è vero che non abbiamo tempo, dice Seneca; ma ne sprechiamo tantissimo. Io ora ho 65 anni, so che non sono immortale e posso finalmente dedicarmi a ciò che mi piace e mi arricchisce di più: stare con la mia famiglia, viaggiare, studiare, scrivere.

Che cosa le piace del suo nuovo ruolo di scrittore?

La cosa che mi piace di più è il rapporto con i lettori, che è un rapporto un po’ particolare, perché io in realtà scrivo soprattutto su Facebook; man mano, negli anni, si è creato un seguito. Certo io non sono la Ferragni, non ho milioni di followers, ne ho circa 4.300. Qualche centinaio mi segue assiduamente nei viaggi, ed è capitato anche che, visitando città in Italia in cui postavo una foto, venivo contattato via Messanger da qualcuno che io non avevo mai incontrato, ma che mi segue via Facebook e mi dice: “ci vediamo per un caffè? Parliamo di viaggi?”. Ho guadagnato tanti amici e ne sono felice.

Come le è venuta l’idea di scrivere il suo primo libro, “Un viaggiatore sovrappeso in Iran. Diario persiano?”

Mi è venuta proprio con lo stimolo di tanti che me l’hanno consigliato dopo aver seguito il mio viaggio su Facebook. Mi hanno detto: “caspita, però devi ricavarne un libro”, e allora io questo ho fatto. Quando sono ritornato dal mio viaggio mi sono messo a scrivere il libro che trae spunto da quella che era stata la mia cronaca del viaggio. Credo che un merito del mio libro sia l’immediatezza e la freschezza. Nei tanti commenti su Amazon si legge: “ci è sembrato di viaggiare con lui”. Questo, secondo me, è derivato in gran parte dal dialogo che si svolgeva con i lettori mentre io viaggiavo.

C’è un motivo preciso per cui ha deciso di scrivere dell’Iran non dopo il primo, ma dopo il suo terzo viaggio in quel Paese?

Torniamo a Seneca. Prima non avevo tempo, o meglio: lo dedicavo in gran parte al lavoro. Ora di tempo ne ho, anche se me lo sono riempito di impegni. Ad esempio devo finire di scrivere la tesi di laurea in Giurisprudenza e voglio farlo entro l’anno.

Le descrizioni dell’Iran presenti nel suo bellissimo libro sono talmente vivide e suggestive che il lettore ha la sensazione di vivere in prima persona l’esperienza di visitare quei posti. Quanto di questa straordinaria capacità evocativa deriva dal suo amore per quel Paese?

Grazie anzitutto per il giudizio molto positivo sia sul libro sia su questa capacità descrittiva, che io in realtà non credevo di avere. Se lei e tanti altri lettori l’hanno percepita, allora davvero l’amore per l’Iran ha giocato un grande ruolo nell’emozionarmi e nel riuscire a trasmettere questa emozione attraverso la scrittura. Davanti alla montagna di Ganjnameh, vicino Hamadan, dove c’è un’iscrizione risalente a secoli prima di Cristo che dice “io sono Dario, un Achemenide. Ahura Mazdā è un grande Dio che crea la felicità degli uomini”, come non rimanere emozionati?

Qual è la città, oppure genericamente il posto, che l’ha colpita di più nel suo viaggio?

Ah, è difficile fare classifiche, quindi gliene menziono almeno tre. A Urmia ho incontrato un assiro. Degli assiri da noi si parla nei libri di storia, io però l’ho incontrato in carne ed ossa, perché in quella città ci sono ancora i discendenti di coloro che hanno governato la Mesopotamia. Sempre ad Urmia c’è un’antica chiesa cristiana, ancora in attività, da cui secondo le tradizioni locali sono partiti i Re Magi. “Venivano da Oriente”, dice infatti il Vangelo, quindi dalla Persia. E i Magi, di cui parla anche Erodoto, erano nell’antica Persia la classe sacerdotale. Poi Hamadan, l’antica Ecbatana di Erodoto, dove c’è la tomba di Esther e Mordecai, che è ancor oggi un luogo di pellegrinaggio degli ebrei iraniani, e dove, a pochi chilometri, c’è la montagna di Ganjnameh della quale ho già parlato. E per finire Shushtar, una città del sudovest che ha un esteso sistema idrico, oggi patrimonio dell’Unesco, costruito in parte dai soldati romani fatti prigionieri nella battaglia di Edessa nel 260 d.C. La diga di questo complesso straordinario viene ancor oggi chiamata “il ponte di Cesare”. Tanta roba, insomma.

E l‘episodio che le è rimasto più impresso?

In Iran io ho capito di essere vecchio. Vecchio perché in Italia i vecchi sono tanti, in Iran invece ci sono tanti giovani; quindi, entravo in metropolitana e la gente si alzava e mi faceva sedere; a Roma e a Milano questo non mi capita. Però l’episodio per me più divertente è stato proprio quando ci siamo incrociati davanti a una porta io e la mia insegnante di persiano a Isfahan, visto che ho studiato lì il persiano per un mese. Io le ho fatto segno di passare, lei mi ha fatto segno di passare e io ho detto: “no, in Italia si fanno passare prima le donne” e lei mi ha risposto: “anche in Iran, ma prima delle donne i vecchi”; questo mi ha trafitto. Ho dovuto mangiare un gelato per riprendermi.

Durante il viaggio c’è stato un momento in cui si è sentito veramente in pericolo?

No, mai, forse in maniera un po’ incosciente. Ho avuto un episodio diciamo un po’ alla Cecilia Sala, ma è durato due ore. Ero su una corriera e ad un posto di blocco mi hanno fatto scendere. Non so perché ma credevano fossi svedese. Visto che svedese non sono, e si vede anche, mi sono detto: prima o poi questo equivoco si risolverà. E dopo due ore di ricerche tra le foto del mio telefono e nel mio bagaglio mi hanno fatto ripartire. Con quello che è successo dopo, forse oggi la penserei differentemente.

C’è qualcosa di romanzato nel suo libro o ha raccontato i fatti esattamente come si sono svolti?

Io ho cambiato qualche dettaglio per rispetto e riservatezza nei confronti delle persone che ho incontrato perché, in un paese come l’Iran, mai vorrei che persone che ho incontrato potessero avere delle conseguenze rispetto a quello che ho scritto. Detto questo, in realtà questa è una domanda che mi hanno fatto in tanti durante le presentazioni del mio libro in giro per l’Italia; la risposta è no, io non ho inventato nulla. Del resto, mai avrei pensato a personaggi romanzeschi Mattia Laspia o come Moses il Nigeriano, il figlio di un ministro nero come il carbone che mi ritrovo accanto a me al corso per imparare il farsi e con cui divento amico; dovrei avere una fervida fantasia per inventarli. L’Iran è uno dei Paesi delle “Mille e una Notte” e tale è rimasto: il romanzesco, il meraviglioso si intrufola in ogni momento della vita.

Nel suo viaggio ha mantenuto un contatto costante con i followers della sua pagina, che seguivano il suo cammino tappa per tappa. Si può affermare che siano stati la sua compagnia più preziosa nel corso del suo cammino?

Certamente sì, e li ringrazio tanto.

Uno degli aspetti che mi è piaciuto nel suo libro è la sua capacità di fare autoironia. Quanto è importante nella sua vita il senso dell’umorismo?

Tanto, perché prendersi troppo sul serio non è una ricetta giusta per vivere bene e a lungo e io voglio vivere bene e a lungo; e poi c’è questo: chi viaggia, come me, viaggia per andare incontro all’inatteso, e quindi bisogna prendere le cose con filosofia perchè è ovvio che non può andare tutto bene e se uno comincia a prendersela vive male nella vita, ma vive male anche nei viaggi.

Nel suo libro di viaggio, per me assolutamente straordinario, lei parla con grandissima competenza della storia persiana e romana. Per caso ha fatto anche un percorso di studi attinente, riguardante cioè la storia antica?

No, però ho sempre avuto un grandissimo interesse per la storia e la geopolitica, quindi ho letto molto. Io sono un eterno studente, lo dico anche nel libro, e riguardo alla geopolitica sì, dieci anni fa esatti ho frequentato per un anno a Bologna il “Master in Relazioni Internazionali” della Johns Hopkins University, una prestigiosa università americana che ha anche una sede in Italia. Una delle materie di insegnamento che io ho seguito era “Storia dell’Iran e dell’Arabia Saudita”, quindi ho imparato molto anche lì, ho letto molto, mi sono documentato, non è una cosa che ho improvvisato. Poi c’è la Settimana Enigmistica, anche quella conta molto, fa sapere tante cose, la leggeva anche Umberto Eco. La Settimana Enigmistica è la base, peraltro, per una certa cultura diffusa, magari non così profonda.

È vero che ha un secondo libro nel cassetto? Di cosa parla?

L’ho appena finito, è un libro ancora del Viaggiatore Sovrappeso. È la prima parte del viaggio che ho fatto dopo quello in Iran. Sono partito un anno fa e sono arrivato fino a Pechino. Il libro avrà sempre come protagonista il Viaggiatore Sovrappeso e si svolgerà tra Anatolia e Iraq. E’ un libro in cui si sente, in sottofondo, la guerra, l’incendio e il tumulto che stiamo vivendo. E il capitolo finale, “Le Ragioni degli Altri”, è una riflessione su questo tema.

La ringrazio di cuore per questa opportunità che ha dato a me e ai lettori che leggeranno con interesse questa intervista. Mi prenotato per intervistarla anche per il suo prossimo libro.

Certo, con piacere, ringrazio lei e i suoi lettori.

Federica Focà

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