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Venerdì 10 Ottobre 2025 21:10

Intervista a Claudio Di Manao, il subacqueo che ha voluto raccontare il suo amore per il mare

Abbiamo incontrato Claudio Di Manao presso la biblioteca L’arcipelago di Roma, collegato da remoto, e...

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Abbiamo incontrato Claudio Di Manao presso la biblioteca L’arcipelago di Roma, collegato da remoto, e in presenza a Villa Celimontana. L’occasione era la sua partecipazione alla XVI edizione del Festival della letteratura di viaggio, alla quale ha concorso con il suo bel romanzo “Sbandati come plancton nella corrente. Che fine hanno fatto i figli di una Shamandura?”.

Nel corso di entrambi gli incontri lo scrittore è stato gentile ed affabile, rispondendo volentieri a tutte le domande del pubblico in sala.
Di Manao ha gentilmente accettato di parlare ai lettori di Roma Daily News del suo avvincente romanzo, insieme a tanti altri argomenti.

Tanti anni fa avevi una posizione lavorativa di promoter finanziario e agente immobiliare. Onestamente sembra incredibile, viste le tue scelte successive. Cosa ti ha spinto a rinunciare alla tua carriera per far poi entrare nella tua vita l’avventura? 

Ciao Federica, un saluto ai lettori di Roma Daily News.
Cosa mi ha spinto? Ho sempre sognato viaggi ed esplorazioni fin da piccolo e poi da grande mi accorgo che tutti i miei risparmi se ne vanno in viaggi e nelle attività che mi appassionano. Un giorno, su una spiaggia caraibica, trovo la scusa perfetta per fare del vagabondaggio una professione.Ero già subacqueo e al centro dove mi immergevo scopro che guide e istruttori hanno già bazzicato per lavoro posticini non male. Decido di diventare anch’io guida e istruttore. Da quel momento inizia la mia seconda vita.

Tra le altre tue esperienze professionali, hai svolto la professione di istruttore subacqueo nel Mar Rosso per ben dodici anni. Cosa è rimasto in te di questo lunghissimo periodo, in cui eri quotidianamente a contatto con uno dei mari più belli del mondo?

Prima del Mar Rosso c’erano l’Inghilterra e la Scozia, dove sono diventato guida, e poi Messico, Isole Cayman e Zanzibar, sì Zanzibar è ancora nel cuore, ci sono tornato, ma è stato il Mar Rosso a trattenermi, per i colori pazzeschi dei suoi coralli, per il clima secco, per contrasto tra il blu del mare e il deserto, per l’aria che si respirava… la sua comunità vivace, brillante! E lì ho scoperto che il mare e il deserto, in fondo, sono speculari.

All’attivo hai ben sei romanzi. Che cosa ti ha portato, dopo delle esperienze di vita così diverse, a prendere la decisione di diventare scrittore?

È successo per caso. Inviavo email ai miei amici, colleghi che erano partiti per altri mari o per altre vite, sulle situazioni surreali che continuavano ad accadere Sharm el Sheikh. Mi dissero: fanne un libro. Come ne ho avuto il tempo ho iniziato a scrivere, più per loro che per altro. Un giorno il mio boss mi mette in contatto con Alberto Siliotti, di Geodia-GeoEgypt, un editore ben presente in Egitto. Avevo solo 40 pagine, le legge, ne vuole 180. Ok. Figli di una Shamandura diventa un successo, i lettori di Sharm el Sheikh impazziscono. Lì per lì penso sia perché parlo di loro, ma poi impazziscono anche in Italia. Pochi, ma assolutamente entusiasti. Mi chiedono il seguito. Partono le collaborazioni con magazine locali, quotidiani italiani, con la Radio Svizzera… e io resto a Sharm el Sheikh, a fare la guida subacquea, fino ad esaurimento turisti. Me ne sono andato un attimo prima della rivoluzione, che non ha neanche sfiorato Sharm el Sheikh, ma sicuramente tutto il resto.

Hai affermato che, in qualche modo, è come se i romanzi si scrivessero da soli. È sempre così naturale per te scrivere? Non ti capita mai di restare a corto di immaginazione?

Hai voglia se resti a corto di immaginazione! Il momento peggiore non è quando non hai spunti, ma quando te ne arrivano di mediocri. Nel migliore dei casi cestini un sacco di lavoro. Nel peggiore ti pubblicano. E lì perdi punti. Entrando nel processo mentale… l’ammetto: è di interesse psichiatrico. Quando sei veramente dentro i tuoi personaggi e nelle situazioni tu non conti più: i protagonisti dialogano nella tua testa, le scene si susseguono mentre sei al supermercato, in sala d’attesa… ti tocca girare con un taccuino altrimenti entri in panico. Sei una sorta di medium. Mi consolo pensando che un romanzo sia una sorta di terapia di gruppo con i tuoi personaggi. E figli di una Shamandura mi mancavano un casino.

Passiamo ora a parlare più specificatamente del tuo bellissimo romanzo, “Sbandati come plancton nella corrente. Che fine hanno fatto i figli di una Shamandura?”. Quanto di autobiografico c’è nel protagonista? E gli altri personaggi sono inventati o in qualche modo sono legati alle tue esperienze di vita?

Grazie per il bellissimo, mi fa piacere che tu l’abbia apprezzato, spero lo facciano i nostri lettori. Se per protagonista intendi la voce narrante in prima persona… sì: ci sono le mie riflessioni, sono io ed anche i sogni sono i miei. Gli altri personaggi non li ho del tutto inventati. Sono ispirati a colleghi, amici, persone che ho avuto la fortuna di incontrare. Per ragioni di privacy ho mistificato un po’. Conoscendoli bene mi sono chiesto: come si comporterebbero in una situazione del genere? Cosa direbbero, cosa farebbero?

“Sbandati come plancton nella corrente” è il terzo capitolo della serie “Figli di una Shamandura”. Nel romanzo, riporti in scena le tue storie ambientate tra il Mar Rosso, le immersioni, i sogni e le disillusioni dei personaggi. Quanto sono cambiati i “Figli di una Shamandura” rispetto alla loro prima apparizione, avvenuta più di dieci anni fa in “Figli di una Shamandura. Peccati e segreti di Sharm el-Sheikh”?

Ci sono di mezzo tante cose… l’età che avanza e la sindrome di Peter Pan. Ho voluto descriverli nel momento in cui il tempo comincia ad applicare le prime sanzioni, dopo che hanno lasciato quella lunga Summer of Love, anche musicale, che ha fatto di Sharm el Sheikh una San Francisco dei subacquei, Sì, ma poi? Era questo il what if: e poi?

Alcuni tuoi lettori ritengono che tra i personaggi del tuo libro si sia stabilito un clima da “grande freddo”. Non è possibile che, al contrario, l’amicizia tra “I figli di una Shamandura” sia forte più che mai, anche se nascosta da un sottile velo di imbarazzo dovuto alla lunga lontananza ?

Il paragone è inevitabile. Conosco il film per la sua colonna sonora e la trama. Non ho mai avuto occasione di vederlo per intero. In realtà avevo in mente Fandango, che è un viaggio, ma dopo aver deciso di intitolare i capitoli con brani musicali dei tempi ad un certo punto mi son detto: oddio! è Il grande freddo! Sono andato avanti senza guardarmi il film perché non volevo esserne influenzato, in nessun modo. Comunque il paragone non mi disturba, Riguardo al tema dell’amicizia… si cambia, eccome! Una mia amica dice che alle cene degli ex alunni ci vanno quelli che non sono stati in grado di stringere nuove amicizie e la sua immagine, crudissima, mi riporta a Compagni di Scuola di Verdone. Sbandati come plancton nella corrente si riferisce ad una situazione diversa: qui c’è il tema dell’equipaggio. Più che amici sono stati mate, fellow, buddy, termini inglesi che indicano sfumature di fratellanza marinara, gente che s’è guardata le spalle a vicenda condividendo un momento irripetibile.

Nel tuo libro c’è un personaggio che, a causa di alterne vicende, riceve la paghetta da un gatto, per poi trasformarsi in una lattina di birra. Questi eventi fanno sorridere, anche se questo è in contrasto con un avvenimento drammatico a cui sono collegati. A mio giudizio nel tuo libro dimostri di avere non solo una fervida fantasia, ma anche una notevole dose di ironia, qualità non scontata per uno scrittore. Quanto è importante nella tua vita la capacità di sdrammatizzare gli eventi e di saper ridere sulle avversità?

Guarda, l’umorismo per me è fondamentale, lo è sempre stato, come la musica, l’amore etc… è la vera leggerezza dell’essere. Ed è più che sostenibile! In barca, per esempio,io e i Figli di una shamanduara ridevamo. Anche nelle situazioni balorde. Sapevamo cosa fare, come prevenire, salvarci e salvare. Vale su tutto. E c’è un’altra cosa:ho notato che infermiere e infermieri hanno uno spiccato senso dell’umorismo. A me questo dice tanto. Tornando alla storia del gatto che paga stipendi… la realtà supera la fantasia. Sempre. Tu pensi di aver inventato una situazione surreale, poi un giorno la leggi in cronaca. Quando apro le news dico: non ci credo, è fiction. e invece…

Grazie al tuo romanzo ho scoperto che non sapevo quasi nulla della professione del subacqueo, che conoscevo in maniera alquanto superficiale. Mi ha affascinato leggere di un mestiere così avventuroso e pericoloso, che nonostante i notevoli rischi è pure sottopagato. Che cosa ti ha insegnato essere un subacqueo?

Pericoloso non direi, un runner che consegna pizze in bici corre più rischi.Gli iconici macho-diver, da James Bond e Cousteau, hanno dipinto la subacquea come un’attività per uomini duri, mentre tra lo staff dei centri subacquei che ho frequentato le donne erano circa il 40%. Il pericolo vero è nella responsabilità sulle persone che porti sott’acqua, Devi avere cento occhi, prevenire. Non li conosci, sono in vacanza, fanno stupidaggini. Per quanto ci siano assicurazioni, disclaimer etc… tu non vuoi mai e poi mai resuscitare qualcuno sul pozzetto di una barca o lanciare una battuta di ricerca per un disperso in mare. Per fortuna è estremamente raro che succeda una cosa del genere. Ho concluso la mia carriera senza nessuna di queste cose. Sarò stato anche fortunato, per carità, ma posso onestamente dire che sono stato sempre attento. Come tantissimi altri colleghi. La subacquea, come professionista, mi ha insegnato un forte senso di responsabilità e di empatia. Come individuo mi ha insegnato a staccare dai pensieri di superficie.
 
È corretto affermare che le straordinarie descrizioni che fai nel tuo libro delle profondità marine derivano dal tuo sconfinato amore per il mare? 

Assolutamente corretto e grazie per le straordinarie. Non so cosa amo di più, se il mare in sé come entità semidivina o ciò che vibra sotto la sua superficie. Questo io non lo so. Sono sicuro che amore e conoscenza formano un loop: più conosci qualcosa e più la ami. E viceversa. All’inizio c’erano amore, meraviglia e senso di benessere, poi ho iniziato ad interessarmi alla protezione dell’ambiente marino, alla sua biologia, ai suoi meccanismi, i suoiritmi… e l’amore è diventato esponenziale.

Un’ultima domanda e poi ti liberiamo. Hai qualche progetto che bolle in pentola? Ci sarà un seguito per “Sbandati come plancton nella corrente. Che fine hanno fatto i figli di una Shamandura?”

Progetti tanti, pochi vedranno la luce lo so già. Un seguito? Ti rispondo con una indimenticabile battuta di un oste romano quando gli chiedemmo cosa c’era per secondo: “Intanto magnateve er primo”.

Federica Focà

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