Lunedì 13 Ottobre 2025 13:10
La scrittura “in bilico” di Singer


"Ritorno in via Krochmalna", fra racconto e apologo, realtà e trasfigurazione. Il tentativo di Adelphi di riproporre gran parte della sua opera, tra le più importanti del secondo Novecento
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Quanti testi pubblicò davvero Isaac Bashervis Singer con il suo vero nome o sotto pseudonimo? La risposta, prima ancora che nelle bibliografie di cui disponiamo, fatalmente incomplete, dovremmo cercarla ad Austin, in Texas, dove nell’Harry Ransom Center vengono conservati in uno speciale archivio insieme ai volumi editi, i manoscritti originali, in yiddish e in lingua inglese. Per quanto ci riguarda, dobbiamo attenerci alla fondamentale operazione che Adelphi sta realizzando in Italia nel tentativo di riproporre, se non integralmente, gran parte della sua opera: una delle più importanti, dal punto di vista letterario, del secondo Novecento, per come è riuscita a rivitalizzare il genere narrativo dopo che questo sembrava essere stato ferito a morte dai grandi rivoluzionari della prima metà del secolo scorso: Proust, Kafka e Joyce.
Quelli come Isaac Singer, Malamud, Saul Bellow e Philip Roth, per citare soltanto la squadra più famosa, hanno dimostrato il contrario, prima della stagnazione successiva confluita nella rivoluzione digitale che stiamo vivendo oggi. Ecco perché definire Ritorno in via Krochmalna, apparso per la prima volta a puntate sul “Forverts” a New York nel 1967, un “romanzo di gangster”, al pari dei due successivi, Max e Flora e Keyla la Rossa, va considerata una battuta da risvolto di copertina. Max Barabander, ebreo tornato a Varsavia dall’Argentina con l’intenzione di reclutare ragazze facili da portare a Buenos Aires, è il classico personaggio singeriano, che troverà nell’Hertz Grein di Ombre sull’Hudson, pieno compimento, qui ancora sotto forma di primo abbozzo: imprevedibile compendio di miseria e nobiltà, filosofo e ciarlatano, indomito faccendiere, dongiovanni sempre tormentato da dubbi religiosi.
L’odore della sua città, dopo tanti anni in America, lo attira in modo irresistibile: «Un misto di lillà, fogne e catrame», come potrebbe essere quello che lui stesso è in grado di sprigionare. La tentata corruzione della figlia del rabbino gli costerà più caro di quanto egli creda. Non che ne fosse inconsapevole: «Mi sono scavato un posto nel suo cuore come un verme se lo scava nella mela». Il che non fa che accrescere i relativi complessi di colpa. Anche la frequentazione di quella strana corte dei miracoli seduta accanto al tavolo delle sedute spiritiche non gli porterà bene, visto la catastrofica catena di eventi che determinerà, di cui non riveliamo il finale, al limite della commedia farsesca, come spesso accade in Singer.
Il valore del romanzo, considerata la natura strumentale dell’orchestrazione tematica, risiede altrove, diciamo nell’aria della scrittura, sempre in bilico fra racconto e apologo, realtà e trasfigurazione. A un certo punto nel dormiveglia successivo ai pasticci nei quali si è invischiato, Max Barabander teme di essere stato maledetto dal rabbino: «Gli ebrei come lui avevano voce in capitolo in cielo».
13 ottobre 2025
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