Venerdì 17 Ottobre 2025 10:10
16 ottobre 1943, il sindaco Gualtieri: «Roma sarà sempre la città che ricorda»


Al Portico d'Ottavia la commemorazione del rastrellamento degli ebrei della Capitale, promossa da Sant'Egidio e Comunità ebraica. Allarme di Di Segni: «Capovolgimento» della memoria
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Il sindaco Roberto Gualtieri non ha dubbi: «A Roma non ci sarà mai spazio per l’odio travestito da militanza, per chi distorce la storia. Roma sarà sempre la città che ricorda». Lo ha detto prendendo la parola ieri sera, 16 ottobre, alla commemorazione promossa dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Comunità ebraica in ricordo dell’82° anniversario del rastrellamento del ghetto ebraico, il 16 ottobre 1943. È necessario vigilare, ha aggiunto, per «riconoscere e combattere il virus dell’antisemitismo in tutte le sue forme. Ogni volta che un pregiudizio si affaccia nello spazio pubblico, Roma deve reagire con la cultura, la conoscenza, la memoria». Per questo si continuerà ad «investire nei viaggi con le scuole, nelle intitolazioni, nella formazione delle nuove generazioni», ha assicurato il primo cittadino.
Furono 1.024 i cittadini ebrei deportati ad Auschwitz-Birkenau in quel “sabato nero” della Capitale. Solo in 16 tornarono: 15 uomini e una donna, Settimia Spizzichino. Da 31 anni, le due Comunità organizzano la cerimonia per mantenere viva la memoria di quel dramma vissuto al Portico d’Ottavia. Un appuntamento che unisce cristiani ed ebrei, giovani e anziani, italiani e stranieri, autorità e cittadini, accomunati dalla stessa convinzione che animava Primo Levi: «Non c’è futuro senza memoria».
La frase era scritta a caratteri cubitali su un cartellone issato sul palco dal quale il primo cittadino ha riflettuto che quello attuale è «un tempo attraversato da nuove paure e incertezze, un tempo fragile di guerre in cui anche le conquiste della democrazia sono a rischio e l’odio antisemita torna ad affacciarsi. Persino in questa città già ferita». Ed è proprio in memoria di quanto accaduto che Roma «vuole essere un laboratorio di memoria, di fraternità, di pace», un dovere che, per il sindaco, non va esercitato solo il 16 ottobre, «ma rinnovato ogni giorno. La responsabilità della memoria e della pace – ha affermato – ci obbliga a contrastare ogni ambiguità, a reagire a ogni forma di antisemitismo, anche quella mascherata da antisionismo, di razzismo e di negazione dell’altro. Ci obbliga a dire che chi fa scempio delle pietre d’inciampo o chi inneggia a Mussolini, oltraggia tutti».
Nello spazio antistante il Tempio maggiore, alcuni partecipanti avevano grandi cartelli blu con scritti in bianco i nomi di diversi campi di concentramento, da Auschwitz a Gross-Rosen, da Risiera di San Sabba a Mauthausen. Quel sabato 16 ottobre 1943 gli ebrei si apprestavano a celebrare la festa del Sukkot. Invece quel giorno è diventato «il simbolo della Shoah italiana», ha detto il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, secondo il quale in questa memoria si intrecciano due dimensioni parallele: quella della comunità ebraica e quella della collettività. La prima perché ritiene che «non c’è un ebreo romano che non possa raccontare cosa sia avvenuto ai suoi parenti quel giorno. È una memoria viva e incancellabile. Accanto a questa c’è la dimensione collettiva della memoria, quella che ha consentito, sulle ceneri della seconda guerra mondiale, di costruire un mondo diverso».
Il rabbino non ha nascosto la preoccupazione per il «capovolgimento» della memoria avvertito in questi anni. Ha parlato di «un’inversione del circuito virtuoso di collaborazione tra la Comunità ebraica e la comunità in generale. Siamo allarmati. Un ministro del governo ha detto: “La mia generazione è cresciuta con la memoria della Shoah. Oggi i più giovani si formano su altre narrazioni”, il che è pericoloso e angosciante».
Per il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi, fare memoria del 16 ottobre 1943 «fa comprendere il valore dello Stato d’Israele». Questo è «un tempo di revisionismo – ha aggiunto -, in cui poco resta un punto fermo. Siamo superati, travolti dalla velocità degli eventi, talvolta così drammatici anche per una generazione che di drammi ne ha visti». Parlando a margine dell’evento ha poi spiegato che «la convivenza tra religioni è possibile, ma ciò che non può esistere è la convivenza tra nazionalismi accesi e l’antisemitismo. Stiamo tornando ai tempi dell’odio».
Il presidente della Comunità ebraica di Roma Victor Fadlun dialogando con i giornalisti ha dichiarato che «negli ultimi due anni c’è stata una recrudescenza orribile di antisemitismo. C’è un gran lavoro da fare di presa di coscienza, di nuovo. È come se 80 anni di lavoro fatto con i viaggi e le Giornate della memoria fosse svanito». Ha quindi sottolineato che «chi colpisce gli ebrei in nome di una guerra che è in Israele è un antisemita. Chi oggi in Italia parla di pace ma predica l’odio contro gli ebrei e contro chi vive in uno Stato che è Israele, che ha subito quello che ha subito, è un antisemita. Questo è predicare odio ed è questo che dobbiamo combattere come società civile. L’Italia, che è la nostra democrazia che amiamo, deve ergersi a difesa di questi diritti che oggi sono calpestati».
17 ottobre 2025
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