Lunedì 20 Ottobre 2025 09:10
Rom, Sinti e Camminanti: esperienza «che ricorda alla Chiesa il suo essere pellegrina»


Davanti alla Torre del primo miracolo, al Divino Amore, la Messa conclusiva del loro Giubileo, con il cardinale Baggio (dicastero Sviluppo umano). Alla vigilia, l'incontro con il Papa, che li ha esortati a essere «protagonisti del cambiamento d'epoca in corso»
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Canti gipsy, strumenti di ogni tipo, preghiere, applausi, e tanta, tanta allegria. Il piazzale antistante l’arco della Torre del primo miracolo del santuario del Divino Amore comincia a riempirsi già dalle prime ore della mattinata. Nel cielo c’è un sole primaverile. Le persone formano dei cerchi. All’interno c’è chi balla, chi suona la chitarra. Le mani scandiscono il tempo. Le bandiere Rom vengono sventolate in aria. C’è grande entusiasmo nell’aria. «Siamo qui innanzitutto per la nostra fede e per portare la Parola del Signore in tutto il mondo», dice Manus, arrivato da Tortona insieme ai suoi parenti e amici. Dietro di lui si continua a cantare. «Siamo molto accoglienti e umili. Vogliamo portare allegria, pace e gioia in tutto il mondo». Intorno alle 11 inizia la Messa, che viene presieduta all’aperto dal cardinale Fabio Baggio, sottosegretario del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale. È la Messa che ieri mattina, 19 ottobre, ha chiuso il Giubileo dei Rom, Sinti e Camminanti. Tra i concelebranti ci sono il cardinale Enrico Feroci, che ha la diaconia del Santuario del Divino Amore, monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore generale di Migrantes, che ha organizzato il Giubileo insieme al dicastero vaticano, don Paolo Salvini, vicedirettore della Caritas diocesana, e il parroco don Remo Chiavarini.
«Vogliamo celebrare oggi la nostra esperienza di cammino per le varie parti del mondo, un cammino che continua a ricordare alla Chiesa il suo essere pellegrina», esordisce il cardinale con un saluto che ripete in spagnolo e inglese. Poi nell’omelia ricorda l’incontro di sabato nell’aula Paolo VI con il Papa, che aveva invitato i partecipanti a «essere protagonisti del cambiamento d’epoca in corso, camminando insieme alle altre persone di buona volontà dei luoghi dove vi trovate, andando oltre la diffidenza reciproca, facendo conoscere la bellezza della vostra cultura, condividendo la fede, la preghiera e il pane frutto di lavoro onesto». Il pontefice aveva sottolineato anche che per quasi mille anni pellegrini e nomadi si sono ritrovati in contesti che, progressivamente, hanno «costruito modelli di sviluppo rivelatisi per molti aspetti ingiusti e insostenibili». E proprio su questo aspetto torna il cardinale Baggio. «Nei secoli – sottolinea – popoli come il vostro hanno subito momenti di disagio, discriminazione, emarginazione, pregiudizio, e preconcetto». Come spiega il Vangelo, continua il porporato, «siamo qui a chiedere al Signore che giustizia sia fatta sempre, che tutti abbiano accesso alla giustizia».
Al tempo di Gesù, ricorda ancora Baggio, «c’erano categorie che non avevano diritto alla giustizia, che dovevano richiedere che la giustizia fosse fatta attraverso terzi: gli orfani, le vedove e gli stranieri. Sono ricordate all’interno della Bibbia come le categorie privilegiate dell’amore di Dio proprio perché molto spesso i loro diritti venivano calpestati». Oggi, aggiunge, «ci riconosciamo anche in queste categorie, in tutte le categorie di coloro che spesso rimangono ai margini, quelli per i quali la giustizia non è uguale per tutti. E chiediamo e invochiamo come la vedova del Vangelo la giustizia, sapendo che il giudice al quale ci dirigiamo non è disonesto ma è un giudice giusto che guarda ai più deboli, ai più poveri e agli ultimi, e li fa risorgere dalle loro ceneri». Perché la giustizia di Dio «è l’unica giustizia che vale, quella umana è sempre limitata».
La Messa è animata dalle melodie di musicisti rom e sinti. Al termine della celebrazione, viene portata in processione la statua della Madonna che san Paolo VI nel 1965 incoronò a Pomezia come “Regina dei Rom, Sinti e Caminanti”. E che Leone XIV ha incoronato nuovamente sabato. La processione, accompagnata dai canti, si ferma nella Chiesa a cielo aperto dedicata al primo martire gitano, il beato Zefferino. Presente anche la sua famiglia. Elena, la pronipote, racconta di provare una grandissima gratitudine per il Signore. «Nonostante sia stato un povero gitano, umile e analfabeta, ha dato una grande testimonianza di vita evangelica, che continua anche dopo la sua morte, perché aveva Dio nel cuore. L’incontro con il Papa è stato molto emozionante. È un uomo semplice e una persona affettuosa». Con lei c’è suo figlio, Daniel Jiménez. «Ho una grande devozione per mio zio Pelè – racconta -. Ho superato i momenti più oscuri della mia vita grazie alla sua intercessione».
Tutti poi si riversano nella spianata ai piedi del nuovo Santuario. La festa si conclude con un grande pranzo. Si formano lunghe tavolate. Non può mancare la musica. I volontari aiutano a distribuire le pietanze. «È stato un Giubileo intenso, profondo, desiderato e preparato da lungo tempo – commenta monsignor Felicolo -. Vogliamo ripartire dalla preghiera, dal lavoro, come ha invitato il Papa, dalla formazione, e dalla tutela delle tradizioni, sperando che ci possa essere sempre più un’integrazione, e che non sia la paura a regolare i sentimenti, ma la conoscenza e il superamento dei pregiudizi». Gli fa eco don Paolo Salvini. «Bisogna tener conto che la maggior parte del popolo romanì, pur custodendo la loro cultura, non vive nei campi come immaginiamo, ma vive del proprio lavoro e nelle proprie case».
Nel grande clima di festa c’è anche Daria Tartamella. La sua storia è di quelle particolari. Nata e cresciuta in una famiglia italiana, durante il Covid ha scoperto di avere origini sinti. E adesso aiuta la comunità Rom di Scampia insieme a padre Eraldo Cacchione, gesuita. «La partecipazione al Giubileo mi permette di confrontarmi e integrarmi con il popolo da cui provengo – racconta -. Un processo bello e pieno di amore».
20 ottobre 2025
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