Martedì 21 Ottobre 2025 14:10
XVI edizione del Festival della Letteratura di Viaggio. Intervista a Marco Steiner
Abbiamo incontrato Marco Steiner in occasione della sua partecipazione alla XVI edizione del Festival della...
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Abbiamo incontrato Marco Steiner in occasione della sua partecipazione alla XVI edizione del Festival della Letteratura di Viaggio, che lo ha visto vincere ex equo con Bernardo Notarangelo.
Ci ha colpito moltissimo la profonda umanità e la ricchezza di contenuti che traspariva dai suoi discorsi ogni volta che gli veniva data la parola.
Lo scrittore ha gentilmente accettato di parlare con i lettori di Roma Daily News dell’opera con cui si è aggiudicato ex equo il torneo letterario, il graphic novel in due volumi “Nella musica del vento”; la nostra chiacchierata ha però toccato anche tanti altri argomenti.
Abbiamo assistito con emozione al momento in cui, durante la fase finale della XVI edizione del Festival della Letteratura di Viaggio, lei ha accettato con entusiasmo la proposta di Bernardo Notarangelo di condividere il primo premio ex equo. In questo modo, entrambi avete rinunciato alla possibilità di affermarvi come unico vincitore.
Che messaggio volevate trasmettere al pubblico con questo gesto di altruismo?
A cosa serve vincere un torneo letterario? A premiare il proprio lavoro? A soddisfare il proprio narcisismo? A constatare che una storia che abbiamo scritto riscontra il gradimento del pubblico?
Un po’ di tutto questo, ma nel Festival della Letteratura di Viaggio, incontrare un viaggiatore e scrittore che mi propone questo ex equo è stato, come mi è capitato spesso lungo le strade del mondo, ricevere il regalo del viaggio, cioè quel momento, evento, incontro o paesaggio che rendono diverso e indimenticabile quel viaggio.
Dunque, ho accettato subito, senza alcun retropensiero la generosa proposta di Bernardo perché i nostri libri si sono incontrati davanti a un bel pubblico che ha apprezzato questa decisione. Ritorno sulle sue parole: “abbiamo rinunciato alla possibilità di affermarci…”, credo che rinunciare alla possibilità di affermarsi sia una buona filosofia di qualunque vero viaggiatore.
Lei è stato il più stretto collaboratore di Hugo Pratt. Vuole raccontarci in che circostanze l’ha conosciuto?
È stato un vero incontro fortuito. Mi è successo alla fine del 1988, allora facevo il dentista e lui si è presentato nel mio studio. È iniziata fra noi una conversazione surreale e magnifica che spaziava dai viaggi, alla letteratura, al cinema, alla musica. Da quel giorno ho iniziato a ridurre progressivamente la mia attività professionale fino a quando non l’ho abbandonata del tutto e ho iniziato a diventare il suo “garzone di bottega”, autista, ricercatore nella sua immensa biblioteca di testi e mappe, poi per un periodo importante sono diventato un suo collaboratore letterario e ghost writer (lo scrittore che rimane nell’ombra). Fondamentalmente sono diventato suo amico e questo è stato per me un grandissimo onore e una svolta della mia vita.
Che cosa è cambiato nella sua vita dopo l’incontro con Pratt? Qual è il suo ricordo più bello con lui?
Uno dei ricordi più belli è stato un lungo viaggio notturno che ho fatto guidando per lui da Losanna in Svizzera fino a Saint-Malo in Bretagna, e poi ci sono tanti altri momenti condivisi, quando lui dipingeva degli acquarelli davanti ai miei occhi oppure quando parlavamo di storie e avventure da scrivere, o quando in silenzio ascoltavamo John Coltrane.
Forse il momento più bello e più triste è quando mi ha fatto una dedica molto speciale sul romanzo Una ballata del mare salato edito da Einaudi poco tempo prima di ritornarsene fra le sue amate nuvole. Comunque il ricordo più vivo è il fatto di essermi ritrovato per un periodo accanto non solo a un grande disegnatore, ma a un grande Narratore di storie che mi ha aperto una porta segreta propria a quelle storie.
Come è nato il suo pseudonimo di scrittore “mitteleuropeo”, Marco Steiner?
Quando mi ha spinto a scrivere, gli ho detto che per raccontare avventure nei Mari del Sud o in giro per il mondo il mio nome e cognome “normali” non sarebbero stati adatti, e allora lui, che aveva sempre voglia di scherzare e inventare qualcosa, mi ha fatto rinascere battezzandomi come Marco Steiner, da “Mar”, l’inizio delle lettere di Marlowe il detective di Raymond Chandler, uno dei miei personaggi letterari noir preferiti e “Co” di Corto Maltese il mio marinaio e avventuriero preferito. Poi per il cognome ha scelto Steiner che sarebbe una derivazione mitteleuropea da Steinbeck (uno dei miei autori preferiti) visto che di origine sono friulano. Insomma, su due piedi mi ha dipinto addosso questo pseudonimo in cui mi sono calato con grande gioia, perché una delle cose principali che Pratt mi ha insegnato è racchiusa in questa breve frase: “divertiti sempre seriamente”.
Passiamo ora a parlare più specificatamente dell’opera con cui ha partecipato alla XVI edizione del Festival della letteratura di viaggio, “Nella musica del vento”, che è la versione grafica del romanzo omonimo da lei scritto. Il protagonista è Morgan Jones, un cattivo o, come è stato meglio definito, “un cane randagio”. Come le è venuta l’idea di dare vita ad un personaggio negativo, dopo aver scritto tante storie su un gentiluomo come Corto Maltese?
L’idea è nata da un suggerimento casuale che mi ha dato un altro grande disegnatore, Vittorio Giardino, che, nel corso di una sua presentazione a Bologna mi ha detto: “Marco, ma tu che scrivi le avventure di un gentiluomo di fortuna elegante come Corto Maltese, perché un giorno, magari ispirandoti a qualche personaggio incontrato in uno dei tuoi viaggi, non scrivi la storia di un cattivo, anzi, di un vero bastardo?”
Così un giorno, in una taverna persa in un solitario tratto della Ruta 40 in Patagonia, accanto a diversi monili e reperti appartenuti alle antiche tribù Tehuelche e Mapuche ormai scomparse, appesa a una parete ho visto una fotografia che mi colpì molto, era il ritratto di un ricercato, un cacciatore di Indios, un vero bastardo, un killer spietato. È nato tutto così, quella fotografia è stata il vero regalo del viaggio. A questo incontro casuale sono seguiti altri lunghi viaggi nella pampa, fra le lande solitarie della Patagonia e una navigazione avventurosa fra le gelide acque del canale di Beagle.
Nel corso della narrazione il personaggio di Morgan Jones si modifica, cresce, prende le distanze da se stesso. È un miracolo prodotto dal ruvido amore che Jones vive con Maria Leibowitz, un’altra povera creatura che la vita ha bistrattato senza pietà? Personalmente lei quanto crede nella capacità dell’essere umano di redimersi?
Ci credo profondamente ed è per questo motivo che scrivo: per innescare un pensiero alternativo, una riflessione non scontata, un ascolto. Molto spesso cerco le storie di chi non ha avuto voce, mi piace raccontare avventure che apparentemente sono dei viaggi fisici, ma in profondità sono anche e soprattutto dei viaggi mentali. Mi piace raccontare la complessità dell’essere umano e la sua potenzialità e capacità nel cambiare, conoscere un modo diverso di vivere e, se possibile, evolvere. Viaggiare vuol dire muoversi per conoscere, conoscere vuol dire cambiare ed espandere non solo la visuale, ma il proprio punto di vista e accettare la diversità.
Il suo graphic novel è ambientato in Patagonia all’inizio del Novecento, dove erano in pieno svolgimento alcuni drammi oggi finiti nel dimenticatoio. In particolare, pensiamo alla strage di 12.000 indios e alla tratta delle bianche, della quale sono state vittime tante ragazze provenienti dai paesi poveri dell’Europa dell’Est. Vuole dire ai lettori qualcosa di più su queste tragedie dimenticate, che hanno distrutto la vita di tanta povera gente alla quale lei, con il suo romanzo, ha dato nuovamente voce?
Lavorando con Pratt a una sua storia, Tango, sono venuto a conoscenza di questo drammatico fenomeno della cosiddetta tratta delle bianche nei primi anni del Novecento. Tutto è partito dal resoconto di un gradissimo giornalista e scrittore francese dell’epoca, Albert Londres, che fu veramente uno dei primi grandi viaggiatori e giornalisti d’inchiesta. Individui senza scrupoli arrivavano nei villaggi più poveri della Polonia, dell’Ucraina e non solo dell’est europeo con la promessa di portare quelle giovanissime e disgraziate ragazze in Argentina per farle sposare e trovare una vita migliore, ma in realtà, le compravano dai genitori e, una volta arrivare a Buenos Aires o nelle province del sud, venivano avviate alla prostituzione nei bordelli di lusso.
La tratta di queste ragazze e la vera e propria caccia alle popolazioni locali (colpevoli di uccidere saltuariamente dei capi di bestiame per sfamarsi) sono dei fenomeni storici reali e, in questo ambito, Morgan Jones, il cacciatore di indios al soldo di un latifondista e Maria, la ragazza resa schiava dai tenutari del bordello sono dei ribelli a un sistema violento e inumano.
I cacciatori di indios (c’è un bellissimo libro con questo titolo dello scrittore cileno Francisco Coloane) all’inizio erano dei mandriani che dovevano soltanto spaventare le popolazioni locali “insegnando” loro che non potevano sfamarsi con i capi di bestiame dei loro padroni, latifondisti che possedevano appezzamenti immensi e centinaia di migliaia di pecore, ma in quelle solitudini le abitudini di questi guardiani che, in effetti, erano avanzi di galera provenienti dalla Scozia, Irlanda e Galizia degenerarono in episodi di violenza che si trasformarono progressivamente in una vera e propria caccia all’uomo che provocò un vero eccidio che la Storia ricorda molto raramente.
Il suo graphic novel è ambientato nelle distese sconfinate della pampa argentina, ma non solo. Perché ha scelto di fare affrontare un viaggio in mare ai due protagonisti, un gallese e una polacca, che il mare non lo conoscevano affatto?
Innanzitutto, perché nelle mie storie c’è quasi sempre di mezzo il mare, che amo molto perché rappresenta la libertà, la possibilità di conoscere terre lontane, avventura, e poi perché per fuggire veramente da quei luoghi per ritornare in Europa, due personaggi come Morgan e Maria dovevano provare a mettere miglia fra il loro passato disgraziato e un incerto futuro e poi, e non è l’ultimo motivo, avevo in serbo per loro l’incontro con un altro vero ribelle, Aurelio, un marinaio anarchico italiano che sarebbe potuto essere il loro traghettatore dall’inferno a una diversa condizione e quel personaggio deriva, fantasiosamente, da un mio reale amico toscano. “Racconta le verità come fossero bugie, solo così poi potrai raccontare bugie come fossero verità” mi diceva Pratt.
Nell’opera i dialoghi tra i personaggi, ed in generale il testo, sono fortemente poetici ed evocativi. Come è riuscito a mantenere questo stile così profondo ed onirico nonostante la crudezza di buona parte della trama? E quanto contribuiscono le magnifiche illustrazioni di Giovanni Robustelli a dare l’impressione, scorrendo le pagine del graphic novel, di stare leggendo una poesia illustrata?
Sul mio stile non posso dire niente, ma la ringrazio per queste lusinghiere parole, in realtà sono fatto così, cerco sempre di trovare una luce e il mio tono narrativo è questo. Per quanto riguarda i disegni di Giovanni Robustelli e la necessità di adattare un romanzo di oltre trecento pagine in una graphic novel, devo dire, senza esagerare, che con questo lavoro ho imparato a scrivere in un’altra maniera. I disegni erano talmente belli, espressivi, potenti e allo stesso tempo poetici che mi hanno costretto a tagliare, e sfrondare è una delle cose più importanti in letteratura perché resta l’essenza, scrivendo parole su quelle immagini ho cercato di soppesare davvero ciascuna frase o singola parola.
Nel caso di questa avventura, i disegni illustravano perfettamente determinati paesaggi e non era più necessaria una descrizione particolareggiata degli stessi, le immagini parlavano da sole, raccontavano suggestioni e mi invitavano ad ascoltare i silenzi o i pensieri intimi dei vari personaggi, così a volte ho descritto in poche parole proprio quei pensieri taciuti, altre volte ho raccontato la semplice musica del vento…
Credo che Giovanni Robustelli sia entrato nell’anima profonda di questa storia che personalmente ho sempre sentito molto. Lui non è solo un grande artista, è un uomo colto e sensibile che ha trasmesso questi suoi valori in tutte le sue immagini.
Lei si documenta in maniera molto dettagliata prima di scrivere un’opera; è un’abitudine che le ha lasciato Hugo Pratt. Non a caso, per scrivere i suoi due romanzi su Corto Maltese ha seguito le tracce di questo personaggio viaggiando fra Europa, Africa, Asia, Caraibi e Sud America, i luoghi geografici da lui attraversati.
Quali ricerche ha svolto per “Nella musica del vento”?
La mia grande fortuna sono stati i tanti anni di viaggi che ho fatto nel corso di più di quindici anni sulle tracce di Corto Maltese, viaggi reali, in luoghi reali, ma cento anni dopo il non passaggio di un personaggio che non esiste ed è stato inventato da un grandissimo artista e uomo di cultura come Hugo Pratt.
In tutti questi viaggi ho imparato ad aprire gli occhi e ad ascoltare persone, luoghi e, soprattutto, silenzi. Comunque, Nella Musica del Vento è il prodotto di almeno cinque viaggi in Patagonia. Una terra che mi è entrata nell’anima.
Del resto, un grande scrittore come Proust diceva che non si viaggia per vedere nuove terre, ma per tornare con nuovi occhi. Questa per me non è solo un’affermazione profondamente reale, ma è stata il senso del mio viaggiare e scrivere.
Voglio aggiungere che arrivare alla finale del Festival della Letteratura di Viaggio con una graphic novel è stata per me una graditissima sorpresa perché amo molto questo mezzo espressivo e, sia per me che per Giovanni Robustelli, questo è stato il nostro primo Fumetto, insomma, è stata una grande soddisfazione.
Un’ultima domanda e poi la liberiamo. Vuole dirci qualcosa dei suoi progetti futuri?
Ce ne sono diversi imminenti in cui percorrerò nuovi itinerari letterari: un racconto illustrato sempre da Giovanni Robustelli che parla di natura e cambiamenti climatici come fosse una favola; un noir veneziano con la presenza nel sottofondo di determinati ricordi di Corto Maltese; un racconto che rivede la vicenda storica di Spartaco cambiando però protagonisti e situazione nel senso che i ribelli non sono gladiatori, ma cani da combattimento che reagiscono all’inutile violenza degli uomini.
Poi ci sono altri interessanti progetti più segreti per i prossimi anni su cui sto lavorando con grande passione…
Federica Focà
