Venerdì 24 Ottobre 2025 15:10
Benvenuti alla rubrica mensile Cucina e Astrologia nell’Antica Roma! – Ottobre
Benvenuti alla rubrica mensile Cucina e Astrologia nell’Antica Roma! Ispirata al libro “L’arte della tavola nella Roma Imperiale” di P. Drachline e C. Petit-Castelli, rinnoviamo l’appuntamento della rubrica culinaria per il mese di ottobre. Nell’antica Roma, sebbene non esistessero “ricette zodiacali”, si credeva che la dieta fosse influenzata dagli astri e dalle divinità. Nel Satyricon di Petronio, il celebre episodio […]
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Ispirata al libro “L’arte della tavola nella Roma Imperiale” di P. Drachline e C. Petit-Castelli, rinnoviamo l’appuntamento della rubrica culinaria per il mese di ottobre. Nell’antica Roma, sebbene non esistessero “ricette zodiacali”, si credeva che la dieta fosse influenzata dagli astri e dalle divinità. Nel Satyricon di Petronio, il celebre episodio di Trimalcione descrive un vassoio con i dodici segni zodiacali, ciascuno accompagnato da un piatto specifico, intrecciando cucina e simbolismo astrale.
Unisciti a noi ogni mese per scoprire la storia, i sapori e i segreti della cucina dell’antica Roma, celebrando le tradizioni della nostra capitale attraverso piatti che raccontano la sua ricca cultura!
Petronio per il segno zodiacale della Bilancia associa una vera a propria bilancia che aveva su uno dei due piatti una torta al formaggio e sull’altro, un dolce.
Sappiamo che nell’antica Roma alcuni legumi erano consumati come contorno ai dolci. Il cece (cicer) veniva consumato dopo esser stato cotto alla griglia, a mo’ di dolce, ma talvolta serviva anche da contorno a una torta di formaggio, come testimonia il Satyricon di Petronio: “…La pietanza successiva fu una torta fredda sulla quale era stato versato del miele caldo, dell’eccellente miele di Spagna. Della torta non ne mangiai una briciola, ma mi ingozzai di miele. Tutt’attorno c’erano ceci e lupini, nocciole in abbondanza, e una mela per ognuno…”
Per questo mese vi proponiamo due ricette dell’antica Roma, una di Catone per la Torta Cartaginese e un altro dolce dell’antica Roma, il Dolce ai Pinoli.

Baccanale di Stich Abbildung, 1881
- 200g di farina
- 1 / 2 litro di latte
- 800g di formaggio fresco
- 100g di miele di qualità eccellente
- 3 uova intere
“Mescolate la farina al latte, facendo in modo che non si formino grumi. Incorporate a poco a poco tutto il formaggio, quindi aggiungete il miele (che dev’essere un po’ fluido) e le uova. Fate cuocere il tutto in una marmitta di terracotta, finchè non sarà diventato consistente e un po’ untuoso.”
- 1 litro di latte
- 1 pizzico di pepe verde
- 100 g di pinoli
- 2 cucchiai di miele
- il succo di mezzo limone verde
- 1/2 bicchiere di vino passito
- 2 uova
- miele a piacere (o zucchero a velo)
- 1 pizzico di pepe nero
- Tempo di cottura: da 2 a 3 minuti.
“…Preparate un impasto abbastanza liquido mescolando al latte il pepe verde, i pinoli sgusciati, il miele, il succo di limone e il vino; mettetelo a fuoco molto basso, e quando comincia a rapprendersi unite le uova sbattute. Servite versandoci sopra il miele e spolverando di pepe..”

A Bacchanal, Jan Brueghel the Elder and Hendrik van Balen I, 1608-1616, Speed Art Museum
L’Ottobrata romana affonda le sue radici nella storia più antica della capitale. Non si trattava soltanto di un modo di dire per indicare le miti giornate d’autunno, ma di una vera e propria tradizione popolare, che riecheggiava riti ancestrali come i Baccanali, celebrazioni pagane dedicate al dio del vino e al ciclo delle stagioni.

Bartolomeo Pinelli, Stornelli Romaneschi, 1800 circa
Fino ai primi decenni del Novecento, ottobre segnava la fine della vendemmia e rappresentava l’occasione perfetta per uscire dalla città e godersi le ultime giornate calde. Romani di ogni estrazione sociale – dai nobili ai popolani – si riversavano nelle campagne appena fuori le mura, approfittando delle domeniche o dei giovedì liberi. Le mete preferite erano le aree verdi nei pressi di Monteverde, Porta San Pancrazio, Porta San Giovanni, Porta Pia, fino a oltrepassare Ponte Milvio. In particolare, Testaccio divenne uno dei luoghi simbolo dell’Ottobrata, grazie alle sue grotte, conosciute come le “catacombe del vino”, che offrivano le condizioni ideali per la conservazione del vino, protagonista indiscusso di queste giornate di festa.
Chi poteva permetterselo raggiungeva la destinazione a bordo delle “carettelle”, carrozze trainate da cavalli, spesso decorate e animate dalla presenza di giovani donne in abiti colorati. Il resto del gruppo, composto da parenti e amici, seguiva a piedi, tra risate, canti popolari e strumenti musicali. Una volta arrivati “fuori porta”, iniziava la vera festa: vino abbondante, piatti della tradizione romana come gnocchi, trippa e abbacchio e un clima di allegria collettiva. I prati si trasformavano in teatri all’aperto, con giochi popolari come bocce, altalene, cerchi da far ruzzolare e l’immancabile albero della cuccagna. Le note di tamburelli, chitarre e nacchere scandivano il ritmo del “saltarello”, la tipica danza popolare del Lazio.
Queste giornate di festa erano talmente suggestive da attrarre anche l’attenzione di viaggiatori e personaggi illustri. Giacomo Casanova, ad esempio, ne lasciò una vivida testimonianza nei suoi scritti, raccontando la bellezza dell’Ottobrata romana, sebbene con un piccolo rimpianto: il breve tragitto da Roma a Testaccio non gli permise di prolungare la compagnia delle donne che viaggiavano con lui sulla carettella.
L’Ottobrata era più di una semplice scampagnata: era un rituale collettivo, un momento di sospensione tra la fine dell’estate e l’arrivo dell’inverno, in cui la città si lasciava alle spalle la routine per celebrare la gioia della condivisione, del vino e delle radici popolari.
Riferimenti bibliografici:
- P. Drachline, C. Petit-Castelli, L’Arte della Tavola nella Roma imperiale, 110 ricette degli antichi romani riscoperte per i buongustai d’oggi, S. Edizioni, Milano 1984
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