Lunedì 27 Ottobre 2025 13:10
Lo sguardo stilistico di Nooteboom


Tradotto in italiano "Pioggia rossa", una sorta di zibaldone antiromanzesco, dalla forte impronta autobiografica, in continua oscillazione tra sedentarietà e nomadismo
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Ancora una volta Cees Nooteboom, nato all’Aia nel 1933, uno dei più importanti e prolifici autori contemporanei, ci inchioda alla pagina con un libro composito e variegato, sorta di zibaldone antiromanzesco, uscito nel 2007 ma soltanto ora tradotto in italiano da Claudia Di Palermo per Iperborea: Pioggia rossa. Il tema sembra molto simile a quello di 533 Il libro dei giorni, pubblicato sei anni dopo, uno dei suoi capolavori: un breviario quotidiano della vita trascorsa nell’isola di Minorca, la più classica delle residenze estive.
In realtà qui la tipica oscillazione fra sedentarietà e nomadismo, caratteristica peculiare del narratore olandese, assume valore quasi programmatico: mentre i primi capitoli sono infatti incentrati sul soggiorno spagnolo, e sappiamo quanto la penisola iberica abbia contato nell’esistenza di Nooteboom, i successivi rievocano i suoi numerosi viaggi, gli stessi che hanno segnato le tappe della lunga carriera letteraria: molto bello l’esordio dedicato a una gatta dal nome maschile, Pipistrello; splendida la chiusura in pieno Oceano Pacifico.
Ma in fondo non c’è molta differenza fra viaggiare e star fermi: conta piuttosto lo sguardo stilistico. Basta vedere il tratto esotico che contraddistingue la descrizione dei muri intorno all’abitazione: «Negli interstizi vivono le lucertole e una specie di simpatico ratto di campagna, e ai piedi del muro le tartarughe devono aver trovato un varco verso l’interno, anche se non ti fanno mai capire esattamente dove. Solo quando fa un gran caldo vengono sul patio a chiedere acqua, senza chiederla». Sono quegli stessi muri che quando c’è brutto tempo sembrano sanguinare perché dal cielo scende la sabbia rossastra del Sahara: il che suggerisce all’autore la rievocazione del suo primo viaggio in Marocco. Di questi nessi a volte inesplicabili è costruito il testo che presto assume una forte impronta autobiografica: dagli autostop giovanili, da solo o con gli altri, attraverso mezza Europa, al centro l’Italia ritratta nei suoi filtri lirici e pittorici, fino alle trasvolate intercontinentali della maturità.
L’ultimo brano, Paradiso ai margini del tempo, sulle tracce di Robert Louis Stevenson, è forse il risultato più intenso per come i due personaggi fantasmatici fin lì evocati, il casalingo e l’esploratore, tendino fatalmente ad annullarsi l’uno dentro l’altro. Nelle lunghe passeggiate sulle spiagge di Tonga lo scrittore si chiede: «Come sarebbe stato vivere qui per sempre, andare a pesca e raccogliere noci di cocco qua e là?». Prima di salire sull’aereo che lo porterà a Samoa, si risponde così: «E qui la vita sarebbe continuata senza minimamente sentire la mia mancanza, perché nessuno si era accorto di me. Solo comportandoti in modo da passare inosservato diventi in un certo senso parte di un luogo, e questo vale in un’isola del Pacifico esattamente come a Los Angeles o New York».
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