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Lunedì 27 Ottobre 2025 14:10

Pizzaballa: «Per Gaza, c’è bisogno di una visione nuova»



L’intervento del patriarca di Gerusalemme in uno dei forum organizzati da Sant’Egidio nell’Incontro internazionale "Osare la pace", a Roma: favorire «un dialogo pubblico e condiviso». Landini: «Contro la guerra, costruire un nuovo modello sociale»

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Ripartire dalle parole, da riempire di contenuto e più di tutto di senso e di valore. Questo il messaggio del cardinale Pierbattista Pizzaballa, dal 2004 al 2016 custode di Terra Santa e dal 2020 patriarca latino di Gerusalemme, intervenuto questa mattina, 27 ottobre, all’Incontro internazionale “Osare la pace” promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Presenti nella Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica anche la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, padre Ibrahim Falas, direttore delle Scuole della Custodia di Terra Santa, e Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio.

«Siamo all’inizio di una nuova fase dopo 20 anni di un conflitto che ci è esploso in faccia il 7 ottobre di due anni fa – ha esordito il porporato rivolgendosi alla platea gremita anche da tanti giovani-. Questa guerra non si è fatta solo con le armi ma anche con le parole, come avviene ogni volta che si parla dell’altro con rifiuto e disprezzo, generando un clima di incomprensione totale». Affinché le cose cambino, ha spiegato Pizzaballa, «c’è bisogno di qualcuno che abbia una visione nuova, una leadership diversa dai leader attuali, troppo compromessi nella situazione»; servono dunque «volti nuovi, capaci di usare un nuovo linguaggio» sia sul fronte istituzionale e politico che religioso, col fine di favorire «un dialogo pubblico e condiviso», laddove anche tra esponenti religiosi, ha ammesso il patriarca, «non siamo stati capaci di intenderci e il 7 ottobre ha inevitabilmente segnato una frattura anche nelle relazioni, ma questo non deve diventare motivo di recriminazione» bensì di una nuova «comprensione reciproca».

Concludendo il suo intervento al centro del panel di confronto intitolato “Una pace disarmata e disarmante” e moderato dal presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, il patriarca latino ha messo in luce «il bisogno di verità» come strumento di ricostruzione, chiamando «e dicendo le cose col loro nome» di fronte  «al nulla che 2 milioni di persone a Gaza si troveranno davanti: non più ospedali né scuole». Fondamentale per Pizzaballa, ancora, sarà «esserci facendo sentire la nostra presenza», laddove «la ricostruzione di Gaza, che è un grande business, la faranno quelli che si sporcheranno le mani», tenuto conto che il rischio è che questa «torta non la mangerà quel 99%» che ha subito il conflitto, mentre la ricchezza e il potere rimane nelle mani dell1%.

Il rimando è alle percentuali utilizzate da Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, per evidenziare la non equa redistribuzione delle ricchezze e la necessità di «cambiare una cultura in cui al centro non c’è più la persona ma il mercato e il profitto», perché questo significa «essere contro la guerra: costruire un nuovo modello sociale, ripensando le regole per misurarsi con i grandi cambiamenti che stiamo vivendo». Landini ha in questo senso richiamato il valore della «dignità della persona, da cui ripartire», guardando anche ai recenti scioperi a sostegno di Gaza, ammonendo su come  «la condizione per poter avere dei diritti, a tutti i livelli, è che ci sia la pace».

Anche Terek Mitri, vice primo ministro del Libano, ha sottolineato che «nessuna pace è stabile se non è giusta», richiamando il ruolo e il valore del «diritto internazionale umanitario, chiamato a mitigare l’effetto delle guerre sulle popolazioni civili, riconoscendo l’umanità come comune, in cui nessuna nazione è superiore alle altre». Dello stesso avviso il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo, per il quale «l’Africa si riprenderà solo se nel mondo si sceglierà la via della solidarietà», smettendo di «saccheggiare e trarre profitto dalle risorse di un Paese e di un popolo che paga il prezzo più caro e che non ha bisogno di promesse ma di una conversione delle menti».

Pure Muhammad Jusuf Kalla, presidente dell’Indonesian mosque council, ha trattato delle «3 g, God, glory e gold, che sono alla base dei conflitti che nascono appunto per fede o ideologia, per un senso di superiorità o per il denaro», sostenendo che «la pace ha bisogno di un pensiero lungimirante» Ecco allora il ruolo dei leader e la criticità data dalla «mancanza oggi di una leadership coraggiosa», come ha detto con forza Kaouach Donia, presidente dell’organizzazione francese “Leader pour la paix”. Per l’esperta di origine tunisina, «è urgente che si levi una voce politica che difenda la dignità della persona umana, investendo e creando una base di finanziamenti per la pace», laddove sono invece «14 mila i miliardi di dollari che le guerre costano all’umanità, ovvero il 10% del Pil mondiale», considerato inoltre che il primo strumento preventivo dovrebbe e potrebbe essere quello dell’«istruzione e della cultura».

Da ultimo, l’intervento del monaco buddista cambogiano Touch Sarith, presidente del Dhamma Raingsei Buddhist association, che, guardando alla «grande sofferenza che abbiamo conosciuto come popolo a motivo della guerra», ha riferito le parole di «un bambino di 6 anni, figlio di madre cambogiana e padre thailandese», secondo il quale «due popoli confinanti non dovrebbero essere in guerra ma essere amici e amarsi come si amano la sua mamma e il suo papà».

Affidate al cardinale Zuppi le conclusioni. Il presidente dei vescovi italiani si è detto «orgoglioso e pieno di speranza» per la presenza e la partecipazione di tanti giovani studenti all’Incontro. Il porporato ha citato le parole di Camus che osservava come «il problema della sua generazione non fosse tanto quello di ricostruire il mondo ma di evitare di distruggerlo», osservando come il modo migliore per «”osare la pace” sia portare la propria presenza e testimonianza».

27 ottobre 2025

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